venerdì 28 ottobre 2011

giovedì 27 ottobre 2011

Al Caffé Della Pace: incontro con Gary Friedman, una prima impressione


Ospito molto volentieri uno splendido contributo della mia amica e collega Alessandra Passerini. Buona lettura!

Per una strana coincidenza l’appuntamento di qualche giorno fa a Roma con Gary Friedman viene da lui fissato al Caffè Della Pace, ritrovo di artisti e nome che certamente evoca la mediazione. Gary, uno dei più conosciuti mediatori americani, avvocato, si trova spesso in Italia per lavoro o per vacanza e questo non è il nostro primo incontro, anche se durante il precedente, ormai risalente a più di quattro anni fa, la mia conoscenza ed esperienza in mediazione erano decisamente più scarse rispetto ad oggi. Tuttavia, già all’epoca, da grande appassionata della materia, in quell’incontro avevo subito potuto apprezzare il suo enorme carisma. Nel 2010, poi, mi ero casualmente imbattuta nel suo nome leggendo il libro “Negoziare con il diavolo”, scritto da un altro famoso mediatore e avvocato americano, Robert Mnookin, in relazione al caso dell’orchesta filarmonica di San Francisco, caso al quale entrambi avevano lavorato anni prima in co-mediazione.

In occasione di quel nostro primo incontro del 2007 ricordo che Gary mi raccontò di quando iniziò negli anni settanta come mediatore, tra i pochi “pionieri” al tempo, mettendo semplicemente una targa dal titolo “Mediation law offices” fuori dalla porta dello studio, e mi raccomandò, se possibile, di assistere i clienti come avvocato con esperienza, oserei dire “specializzazione”, solo in procedure non contenziose, utilizzando la mediazione in tutti i casi ritenuti adatti -nell’ottica della soddisfazione degli interessi del cliente- a gestire la controversia con questo strumento.

Questa volta, invece, parliamo del ruolo del diritto nella mediazione: è indubbio che nell’ultimo anno mi sono spesso trovata a riflettere sul perché l’esperienza italiana in materia stia a mio dire diventando sempre più giuridica e sempre meno negoziale e relazionale, anche nei casi di mediazione volontaria. Motivo per cui mi sono chiesta più volte se il rapporto non sia troppo sbilanciato. Mi risponde che é normale che sia così, quasi rassicurandomi. “All’inizio è sempre così perché non si conoscono altre modalità di risoluzione delle controversie e la mediazione implica un dover imparare a pensare diversamente, che non è facile per nessuno. Nel tempo la situazione si riequilibrerà: da questo punto di vista è consigliabile imparare a separare il momento in cui, negli incontri, si affrontano gli aspetti giuridici da quelli in cui si affrontano quelli emotivi e relazionali”. Mischiare i due momenti potrebbe avere effetti negativi in termini di efficacia della gestione della procedura. Ma ciò, penso io, implicherà certamente un grosso lavoro culturale e di formazione per tutti, non solo per gli aspiranti mediatori. “I mediatori non giuristi dovranno imparare a conoscere il diritto, i giuristi dovranno imparare ad essere più “flessibili” con l’uso del diritto in mediazione”, aggiunge.

Dal seguito della conversazione emerge che il lavoro che si sta facendo in questo momento negli Stati Uniti è infatti soprattutto volto ad insegnare ai mediatori come gestire costruttivamente le proprie emozioni durante gli incontri, per poter svolgere al meglio un ruolo di aiuto e supporto delle parti, facilitando efficacemente la loro negoziazione. “Io prediligo le sessioni congiunte perché amo lavorare insieme alle parti e ai loro legali, anche se a volte ciò può essere complesso o faticoso da un punto di vista emotivo. Gli avvocati, in mediazione, preferiscono di solito lavorare utilizzando le sessioni riservate, soprattutto perché temono che il loro cliente non sappia ben gestire gli incontri congiunti, ma a volte questo può addirittura dare l’impressione alle parti di essere manipolate”. In sostanza questo conferma il grande dilemma, dal punto di vista del mediatore, o almeno quello derivante dalla mia personale esperienza: se, quando e come utilizzare le sessioni riservate.

L’altro aspetto trattato insieme riguarda l’esito della procedura. Personalmente ritengo che la mediazione sia, o meglio dovrebbe essere, un lavoro di gruppo: la troppo spesso scarsa preparazione in materia di mediazione che, come mediatore, ho dovuto riscontrare in capo a molte parti e avvocati quanto a metodologia della procedura e conoscenza delle tecniche di negoziazione, sovente rappresenta davvero un grosso ostacolo all’accordo. Gary ritiene che l’esito non dipenda solo dal mediatore ma è invero legato a molte altre variabili: “bisogna cominciare a preoccuparsi della propria performance come mediatore se gli esiti sono solo positivi o solo negativi; in tal caso c’è qualcosa che non va”. Ovviamente, aggiungo, in caso di esiti solo positivi, ci si dovrebbe chiedere se non si è  troppo “impositivi” in una procedura per sua natura facilitativa, in cui le parti dovrebbero sempre avere il controllo della decisione finale.

Inevitabilmente arriviamo a parlare anche del D.Lgs. 28: “In questo caso neppure si può parlare di un tipo di non binding arbitration se la mancata accettazione della proposta può produrre gli effetti previsti sulle spese nel successivo giudizio” precisa. “Infatti le parti dovrebbero poter sempre stabilire le loro regole del gioco a monte, ma soprattutto essere sempre libere di dire di no all’accordo in qualunque momento e senza alcuna conseguenza”.
Ringrazio Gary per i preziosi consigli e per la ricarica di motivazione, essenziale in questo momento di difficile transizione.

E io ringrazio Alessandra per aver scritto queste ottime pagine di vera mediazione...

martedì 25 ottobre 2011

Tirocinio assistito: qualche novità (?)

In un mio precedente post, dell’inizio di settembre, scrissi qualche mia impressione sul tirocinio assistito previsto dal DM 145. Da allora tutti gli operatori della mediazione (mediatori e formatori, organismi ed enti di formazione) sono in attesa di una circolare interpretativa che (si spera) possa finalmente dare qualche indicazione operativa e, soprattutto, ufficiale. 

Il 20 ottobre scorso si è svolto a Firenze un convegno a cui ha partecipato anche il dott. Giancarlo Triscari, magistrato addetto all’Ufficio II della Direzione generale della Giustizia civile, referente coordinatore per gli Organismi di mediazione. Nel corso del convegno Triscari ha mostrato una bozza di circolare, non dando tuttavia alcuna informazione circa i tempi di pubblicazione, sottolineando che “se ne sta ancora discutendo”. Sul tirocinio il magistrato ha detto che ha l’obiettivo di creare occasioni di confronto tra le diverse esperienze dei mediatori e deve considerarsi come una sorta di uditorato, sul modello di quello per i magistrati (?!).

Il tirocinio inoltre riguarderebbe tutti i mediatori (quindi anche quelli accreditati prima della pubblicazione del DM 145), si potrebbe fare anche in organismi diversi rispetto a quelli di accreditamento e, rispetto al biennio di aggiornamento, per i mediatori accreditati prima del 145 questo decorrerebbe dalla data di pubblicazione del decreto, mentre per quelli accreditati successivamente decorrerebbe dalla data del primo accreditamento. Infine, per “casi di mediazione” si dovrebbe intendere la partecipazione anche a una sola fase della procedura (incontro congiunto, sessione riservata, ecc.).

Ovviamente, queste non sono da considerarsi vere e proprie anticipazioni dei contenuti della prossima circolare, ma semplici ipotesi su cui tuttavia ci si sta ancora confrontando. Il tutto in attesa della famosa circolare, sperando che arrivi il prima possibile… peccato che nel frattempo tutti gli organismi avranno modificato il proprio regolamento.

sabato 22 ottobre 2011

Negoziare con il diavolo, ovvero articolo di Mnookin sulla liberazione di Gilad Shalit

Una delle mie grandi passioni è quella di unire l’interesse per lo studio della negoziazione e della mediazione con le applicazioni nella politica interna ed internazionale. Per questo motivo non posso farmi sfuggire l’occasione di commentare uno splendido articolo di Bob Mnookin (uno dei massimi esponenti del Program on Negotiation dell’Università di Harvard) sul Wall Street Journal relativo alla liberazione di Gilad Shalit, avvenuto la scorsa settimana, in seguito ad un accordo tra il governo israeliano e Hamas, facilitato dal “nuovo” governo egiziano. 

Secondo alcuni l’accordo raggiunto qualche giorno fa può definirsi irrazionale. Infatti, in cambio della liberazione del soldato israeliano rapito da Hamas nel 2006 il governo Netanyahu ha rilasciato oltre 1.000 prigionieri palestinesi. Cosa può spiegare questa decisione? Israele si è sempre rifiutato di negoziare con organizzazioni che considera terroristiche, soprattutto con Hamas, che non ha mai nascosto di considerare quale suo obiettivo la distruzione dello stato ebraico. Ora, riguardo l’accordo dell’11 ottobre Israele potrà certamente dire che nessuno nel suo governo si è mai incontrato faccia a faccia con rappresentanti di Hamas, poiché le trattative sono avvenute attraverso un’attività di “shuttle diplomacy” dei rappresentanti del Cairo. Tuttavia questa “foglia di fico” di mera facciata non può nascondere la verità, ossia che un accordo è stato raggiunto. 

Attenzione: Mnookin nel suo articolo non intende dire che il governo Netanyahu non avrebbe dovuto negoziare con Hamas. Infatti, sono tanti i governi che ufficialmente si rifiutano di negoziare con movimenti o gruppi che considerano terroristi ma che poi, quando gli interessi in gioco sono molto alti, mantengono, sia pure in segreto, sempre aperto il canale del dialogo, secondo un approccio tipicamente “pragmatico”. Approccio che, peraltro, lo stesso governo israeliano ha tenuto anche altre volte; ad es. nel 1985 con l’accordo di Jibril (con il Fronte Popolare di Liberazione della Palestina), attraverso il quale Israele ha rilasciato 1.150 prigionieri in cambio della liberazione di tre soldati israeliani catturati durante la prima guerra in Libano, oppure quello del 1988, quando Israele e il suo alleato, l’esercito sud-libanese, acconsentì al rilascio di 65 prigionieri di Hezbollah in cambio dei resti di un soldato israeliano ucciso. Israele ha giustificato questo tipo di accordi sulla base della considerazione che il suo esercito ha bisogno di ogni uomo disponibile e che, in cambio della richiesta ai suoi cittadini di rischiare la propria vita per servire il paese, il governo è pronto a sostenere ogni tipo di impegno per liberare chi è caduto in mani nemiche. 

Tuttavia, in questa situazione, secondo Mnookin, questa motivazione sembra poco sostenibile, soprattutto, se interpretata attraverso la logica di costi e benefici di lungo periodo e ciò per diversi motivi. Prima di tutto perché la liberazione di oltre 1.000 prigionieri palestinesi (di cui alcuni coinvolti in atti terroristici che hanno causato la morte di cittadini israeliani) potrebbe creare problemi anche per il prossimo futuro, come è accaduto anche in occasioni precedenti. Ad es. nel 2004, Israele ha scambiato diverse centinaia di prigionieri palestinesi in cambio della liberazione di un soldato (e dei resti di altri tre) tenuti in ostaggio da Hezbollah. Successivamente, secondo un rapporto del Jerusalem Center for Public Affairs, alcuni dei prigionieri rilasciati hanno ucciso 35 persone. 

Un altro costo ingente è dato dal fatto che questo episodio potrà costituire un precedente perché potrebbe incoraggiare i nemici di Israele a intraprendere o proseguire la via del rapimento, poiché permette di ottenere ottimi risultati. Peraltro, questa considerazione è in linea con le dichiarazioni di alcuni rappresentanti di Hamas che hanno dichiarato di voler proseguire con queste iniziative fino a che “le carceri israeliane non rimarranno vuote”. Un terzo costo è politico. L’accordo sembra dare vantaggi soprattutto a Hamas a scapito del suo rivale Fatah, che ha sostanzialmente fatto buon viso a cattivo gioco. Infatti, l’impegno di Hamas per il rilascio di oltre 1.000 persone (di diverse appartenenze) potrebbe legittimamente portare il movimento a sostenere di rappresentare non solo una parte ma tutto il popolo palestinese.

Allora, di fronte a queste considerazioni, perché Israele ha raggiunto l’accordo? La risposta di Mnookin è che Shalit rappresenta un simbolo; la sua immagine campeggia in tutto il territorio israeliano e il suo nome è ben conosciuto a tutti. Rappresenta quello che gli psicologi definiscono “un essere identificabile”. Invece i cittadini israeliani che potranno, eventualmente, correre rischi in futuro sono un gruppo non identificabile di persone; sono ciò che gli psicologi chiamano “vite statistiche”. Importanti ricerche nel campo della psicologia hanno dimostrato che, nell’assunzione delle decisioni, gli esseri umani spesso sono disposti a sostenere costi anche molto ingenti per salvare nell’immediato anche una sola vita “identificabile” piuttosto che adottare misure per la sicurezza di molte vite “statistiche”. Mnookin conclude dicendo che questo tipo di scelta è umana, anche se non è razionale, e questo rappresenta una pressione decisionale molto importante in situazioni del genere.

Io da parte mia aggiungo soltanto una cosa, che riguarda direttamente la situazione in Medio oriente e le prospettive di pace. Shalit, una volta liberato, ha detto di sperare che la sua liberazione sia un primo passo verso la pace, il primo fondamentale tassello capace di mettere in moto un processo più ampio. Ad esempio, ho letto che in virtù dell’accordo sarà allentato il blocco di Gaza che ormai da troppo tempo tiene in scacco la popolazione palestinese della Striscia. Bene, in virtù di questo alcuni si domandano se, così come il rapimento di Shalit è stato un simbolo delle tensioni in Medio Oriente negli ultimi anni, magari la sua liberazione potrà diventare un possibile simbolo di un percorso di “de-escalazione” del conflitto, in vista di un processo di pace finalmente efficace.

venerdì 21 ottobre 2011

Un buongiorno... di massima!

“Scoraggia la lite, Favorisci l’accordo ogni volta che puoi.
Mostra come l’apparente vincitore  sia spesso un reale sconfitto .....” 

(Abraham Lincoln )

Photo credits

giovedì 20 ottobre 2011

La “vittoria” e le negoziazioni win-win


Il post mi viene suggerito dal blog di Larry Susskind, utile per approfondire alcuni concetti del metodo negoziale, in particolare quelli che riguardano il rapporto tra competizione e collaborazione nel negoziato integrativo. Una delle domande che spesso ci si pone quando si parla di “win-win solution” (io vinco-tu vinci) è: cosa significa in concreto e quali comportamenti sottointende al tavolo negoziale? Qualche risposta arriva dal post di Susskind, da cui estrapolo gli elementi che mi sembrano più significativi.

Per il negoziato integrativo è importante creare un’area di scambio
Spesso i negoziatori pensano che per essere efficaci sia sufficiente definire i propri obiettivi e ciò che vogliono raggiungere i propri interlocutori. Sulla base di questo, al tavolo delle trattative, iniziano a “premere sull’acceleratore” delle rispettive richieste e argomentazioni, spesso anche esagerando, per ottenere almeno ciò che sentono di “dover” ottenere. Pertanto, ciò che accade di solito è che le parti iniziano le trattative facendo richieste oltremodo elevate per poter poi, attraverso le concessioni, arrivare a raggiungere ciò che vogliono realmente. Studi scientifici hanno anche dimostrato che questa specie di ping-pong di “approssimazioni successive” garantirebbe il mantenimento di buone relazioni tra le parti molto più che partire con una richiesta ragionevole ma “non negoziabile”.
Susskind sottolinea che, ai fini della soluzione, sarebbe forse più utile che le parti fossero reciprocamente disposte a dare informazioni su ciò che ritengono importante e lavorare insieme nella zona che si crea attraverso l’integrazione delle rispettive priorità. In questo spazio di reciproco scambio, infatti, può accadere che, rispetto a elementi specifici della trattativa (che deve pertanto essere vista come un mosaico di questioni tra loro collegate), ciò che per una parte è essenziale per l’altra invece potrebbe non esserlo (e viceversa). Ciò significa, ad es. che una parte potrebbe essere disposta a fare grandi concessioni su questioni ritenute poco importanti e così via. Questo è il modo per integrare i reciproci interessi e, tutto sommato, per “creare valore” nel negoziato.

Win-win = Buono per te, ottimo per me
Alcuni credono che la modalità “io vinco-tu vinci” significhi che, in un negoziato, tutte le parti possono ottenere ciò che vogliono. In realtà non è così, perché non esiste alcun negoziato in cui ognuno può ottenere ciò che vuole. Win-win in quest’ottica significa che le parti ottengono, attraverso il negoziato, un risultato superiore a quello che si otterrebbe in caso di mancato accordo. Ciò tuttavia non significa che tutti otterranno lo stesso risultato, perché un accordo integrativo non è detto che produca risultati che garantiscono benefici uguali alle parti. Ad es. una parte potrebbe accettare un accordo perché va al di sopra della propria MAAN (miglior alternativa all’accordo negoziale o BATNA - Best alternative to a negotiated agreement), mentre l’altra lo potrebbe accettare solo perché gli da di più del risultato che otterrebbe in caso di mancato accordo. Ecco quindi la prospettiva che offre una visione “io vinco-tu vinci”: ottenere, attraverso la creazione dell’area di scambio e il lavoro su di essa, il metodo problem-solving e l’esplicitazione dei rispettivi interessi e priorità, un esito migliore della stima più realistica di cosa le parti farebbero in caso di mancato accordo.

venerdì 14 ottobre 2011

Vuoi saperne di più su negoziazione e mediazione? Ci sono le app!

Navigando sulla rete si trovano spesso cose interessanti sul negoziazione e mediazione. Ultimamente ad esempio ho scoperto che esistono delle applicazioni gratuite per Iphone (disponibili su Apple Store) utili per saperne di più su questo argomento. In particolare, oggi vi vorrei parlare dell'applicazione su "Getting to yes" (L’arte del negoziato, in italiano), lo splendido volume di Roger Fisher e William Ury che rappresenta una vera e propria “bibbia” per chi vuole studiare, approfondire o semplicemente entrare in contatto con il mondo della cultura negoziale. L’applicazione, in lingua inglese, è molto semplice e permette di scorrere i contenuti dei diversi capitoli come un normale e-book. Ovviamente non è riportato tutto il libro (oltre 200 pagine!), ma è pur sempre un’ottima sintesi, utile come checklist per “rinfrescare” suoi elementi essenziali. Alla fine si trovano anche alcuni commenti di lettori.

Inoltre, questa volta tutta italiana, trovo interessante l'applicazione "IMediazione”. Intanto perché è tra le pochissime che si occupa di questo argomento nella nostra lingua (almeno che io sappia) e poi perché in poche sezioni cerca di descrivere il “mondo” che ruota intorno alla mediazione, ossia cosa è la mediazione e come funziona, la parti, il mediatore, l’organismo di mediazione, il ruolo dell’avvocato, la normativa, ecc. Per la verità lo stile non mi sembra particolarmente elaborato (scusate se eccedo in dettagli grafici, ma quel carattere – trito e ritrito - in Times New Roman e quei paragrafi non giustificati non sono il massimo dell’estetica); tuttavia, più che lo stile dell’applicazione in questo caso mi sembra più importante salutare la sua esistenza.

Ovviamente non si può pretendere che queste iniziative bastino a colmare il "gap culturale" che separa l'Italia da altri paesi, anche non particolarmente evoluti nelle procedure non contenziose (infatti, tutto sommato, vedo queste applicazioni più che altro come strumenti divertenti nelle mani di “addetti ai lavori”). Tuttavia, se anche il "rutilante" mondo delle applicazioni Apple sforna prodotti sul metodo negoziale, chissà forse non siamo poi così lontani dal momento in cui la mediazione smetterà di vestire i panni della parente "che nessuno conosce" per indossare quelli certamente più comodi di ospite gradito al tavolo della gestione delle controversie.

giovedì 13 ottobre 2011

Una pillola, un giorno...

“Non puoi fermare le onde, ma puoi imparare a padroneggiare il surf” (Jon Kabat-Zinn)

Ossia, non possiamo impedire alle controversie di esistere, ma possiamo invece trovare il modo di gestirle nella maniera più efficace possibile. Chissà, in tal senso, la mediazione potrebbe essere opportuna, no?

mercoledì 12 ottobre 2011

Presentazione seminario 5 ottobre - Ordine degli Ingegneri di Roma


La mia presentazione utilizzata nel corso del seminario "La mediazione delle controversie", svoltosi il 5 ottobre scorso presso l'Ordine degli Ingegneri di Roma.

martedì 11 ottobre 2011

Premio Italia Diritti Umani 2011


Comunicato-stampa del "Premio Italia Diritti Umani 2011" che si svolgerà a Roma il prossimo 13 ottobre. Io parlerò in qualità di Responsabile scientifico dell'AICOM - Associazione Italiana Conciliatori e Mediatori
Il titolo del mio intervento (h. 15,30) è "Aggiornamenti dal Sudan". Parlerò del processo di pace nel paese dopo l'indipendenza della regione meridionale degli scorsi mesi.

giovedì 6 ottobre 2011

Goodbye Steve




Nella mia sfera personale sono fiero di non aver avuto altre persone ispiratrici che non me stesso e la mia ristretta cerchia familiare (mia moglie e i miei due splendidi figli) e che ho cercato sempre di riprendermi con forza e determinazione dalle curve che la vita, talvolta, mi ha “saputo” regalare (chi mi conosce bene sa a cosa mi riferisco). Tuttavia, nella sfera professionale riconosco che ci sono persone che in qualche modo occupano un posto importante nella mia personale galleria di riferimenti. Steve Jobs era, ed è, uno di questi.

martedì 4 ottobre 2011

Pillola di saggezza negoziale...

“E’ saggio persuadere le persone a fare cose e portarle a pensare che sono idee loro” (Nelson Mandela)

lunedì 3 ottobre 2011

Seminario "La mediazione delle controversie" - Roma, 5 ottobre 2011, ore 15,30



La locandina del seminario organizzato dall'Ordine degli Ingegneri della provincia di Roma. Il titolo del mio intervento è: "La formazione in materia di mediazione: mediatori si nasce o si diventa?".