mercoledì 29 febbraio 2012

Quale formazione per i mediatori?


«Prima di sedersi al tavolo per negoziare,
dico sempre al mio team:
che cosa avete voglia di imparare oggi?»
(Richard Holbrooke) (1)

Nel dibattito sulla mediazione civile e commerciale nel nostro paese, uno dei principali temi di riflessione rappresenta la formazione del mediatore, terzo esterno alla controversia, indipendente, imparziale e neutrale (2), che costituisce l’elemento intorno al quale si muovono le dinamiche facilitative, relazionali e di contenuto che avvengono tra le parti nell’ambito del procedimento.

I requisiti formativi nella normativi europea ed italiana
In realtà la formazione dei mediatori è oggetto di particolari attenzioni anche nella normativa europea. Infatti, già il Libro Verde del 2002 aveva sottolineato che la padronanza delle tecniche essenziali alle Alternative Dispute Resolution (ADR) richiedesse una solida formazione. Inoltre la Direttiva comunitaria 2008/52/CE ha evidenziato l’importanza di un’adeguata formazione del mediatore, considerato il mezzo necessario per arrivare a una piena efficacia della mediazione. Il principio è ribadito nel “Codice europeo di condotta dei mediatori” del 2004 che ha dedicato l’intero art. 11 alla competenza e alla conoscenza del procedimento da parte di chi svolge attività di mediazione (3).
Per quanto riguarda invece la normativa italiana, l’art. 4.4.a del DM 222/2004 ha disciplinato i requisiti professionali dei conciliatori: infatti, fatta eccezione per i professori universitari in discipline economiche o giuridiche, i professionisti iscritti ad albi professionali nelle medesime materie con anzianità di iscrizione di almeno quindici anni e i magistrati in quiescenza (i c.d. “conciliatori di diritto”) per gli altri era necessario il possesso di una specifica formazione acquisita tramite la partecipazione a corsi di formazione tenuti da enti pubblici, università o enti privati accreditati. Il risultato di tale previsione fu che i conciliatori con anzianità “quindicennale” (la maggior parte dei quali all’oscuro, o quasi, delle tecniche di negoziazione) dilagarono con ovvie ripercussioni sulla qualità dei procedimenti. Il decreto dirigenziale del luglio 2006 ha cercato di ovviare a queste difficoltà, stabilendo che i corsi abilitanti all’attività di conciliazione dovevano essere di 40 ore, di cui: non meno di 4 riservate alla valutazione; non meno di 16 alla pratica; per lo meno 32 riservate alla teoria.
Si arriva poi al Decreto del Ministero della Giustizia 180 del 18 ottobre 2010 (d’ora in poi DM 180), che prevede, art. 18.2.f (4), che la formazione dei mediatori (5) debba avere una durata non inferiore alle 50 ore ed essere articolata in corsi teorici e pratici («sessioni simulate partecipate dai discenti») - senza tuttavia indicare per questi ultimi la durata minima - con valutazione finale di almeno 4 ore. Al punto successivo il DM 180 prevede per i mediatori anche un percorso di aggiornamento formativo di durata non inferiore a 18 ore biennali. Infine, l’art. 4.3.b dello stesso decreto (così come modificato dal DM 145/2011) prevede che, nello stesso biennio, il mediatore debba anche partecipare, in forma di “tirocinio assistito”, ad almeno venti casi di mediazione svolti presso organismi iscritti (che nei chiarimenti previsti dalla circolare ministeriale dello scorso 20 dicembre assume le caratteristiche di una specie di “uditorato", nel quale il tirocinante deve limitarsi ad un’attività di osservazione del lavoro del collega senza intervenire, in nessun modo, nella procedura).
Ora, talvolta l’impressione è che il massimo che si riesce a fare in aula non è tanto formare alla mediazione, bensì riuscire ad informare i partecipanti sulla mediazione. Infatti, pur tenendo conto dell’aumento del numero di ore del corso - peraltro minimo - rispetto alla normativa del 2004, accade che, nei programmi proposti dagli enti di formazione, la parte teorica e normativa “assorba” spesso almeno l’80% del totale di ore. Per cui alla parte pratica si finisce per riservare solo un esiguo numero di ore di formazione, di gran lunga insufficiente rispetto alle esigenze dei partecipanti. In più, se consideriamo anche che nelle materie del percorso formativo previste dall’art. 18.2.f del DM 180 trovano poco spazio le tecniche di gestione dei conflitti e le modalità relazionali e comunicative, la provenienza quasi esclusivamente giuridica dei formatori, la mancanza di chiarezza su cosa debba intendersi per formazione teorica e pratica (infatti ogni ente di formazione deve presentare un percorso formativo e di aggiornamento che deve essere autorizzato dal Ministero) la mia impressione è che, alla fine, molti dei programmi sono orientati su una formazione di tipo essenzialmente normativo e di carattere nozionistico.

Quali competenze per i formatori?
Il decreto del 2006 ha stabilito che i formatori fossero persone «in possesso dei requisiti di qualificazione professionale dei conciliatori» e che avessero «maturato esperienza almeno triennale quali docenti in corsi di formazione nelle materie giuridiche o economiche». «In sostanza docenti universitari in diritto processuale civile, canonico, internazionale privato o esperti nella teoria neoclassica della determinazione del prezzo in un mercato in equilibrio perfetto» (6). La domanda è: Quanti di loro avevano sentito parlare di empatia, ascolto attivo e dinamiche della facilitazione (tanto per fare qualche esempio sugli argomenti relazionali e comunicativi) e/o di interessi e posizioni, migliori alternative all’accordo negoziato, creazione di opzioni negoziali, fasi della procedura di mediazione (sempre in tema di esempi, riguardo gli specifici argomenti relativi a negoziazione e mediazione), ma soprattutto... quanti di loro erano esperti negli aspetti legati alla gestione delle dinamiche d’aula?
Il mio timore, anche alla luce della mia esperienza come formatore accreditato presso il Ministero della Giustizia, è che queste domande possano essere considerate valide anche alla luce della normativa attuale, che ha certamente innalzato i requisiti dei docenti (7), ma che tuttavia non risolve le perplessità riguardo la definizione delle competenze dei formatori, dando per scontato che le docenze fatte (anche poche, visto che non è previsto un numero minimo) comportino automaticamente l’acquisizione di competenze di gestione d’aula.
Gli enti di formazione cercano sempre di “strutturare” il corso in maniera tale da utilizzare i “docenti giusti al posto giusto” (il Ministero della Giustizia ha sottolineato che siano previsti almeno due diversi docenti: uno per la parte teorica e uno per quella pratica (8)). Tuttavia, alle volte si assiste ad un eccessivo “frazionamento” del corso, nel senso che nell’ambito delle 50 ore si registra un vero e proprio “valzer” di docenti, con evidente mancanza di continuità (infatti interviene l’esperto di normativa, quello di tecniche di comunicazione, quello di metodologie di mediazione, quello di tecniche di mediazione, l’esperto in PNL, ecc.). In ogni caso questo non elimina la questione di fondo, ossia: quali specifiche competenze di formazione hanno i docenti sulla mediazione? Infatti, se è vero che in generale parlare di certificazione delle competenze dei formatori è sempre un argomento delicato e particolare, mi sembra, onestamente, che manchino specifiche competenze di gestione dei processi formativi.
Infatti, vedo in giro troppi colleghi preoccupati unicamente di reperire “batterie di slides da mostrare in sequenza”, senza un’adeguata analisi sulla progettazione dell’intervento formativo o  su quali potrebbero essere gli strumenti utilizzare (spezzoni di filmati, role-play, esercitazioni, lavori di gruppo, ecc.). Inoltre, ci si preoccupa ancora poco di “lavorare” sul gruppo di partecipanti, sul clima d’aula, sul necessario coinvolgimento di tutti, a partire dalle loro specifiche esigenze e così via. In breve - anche confrontandomi con diversi colleghi - la mia impressione è che, in generale, i docenti sulla mediazione civile e commerciale (teorici o pratici che siano) in realtà siano più “esperti dei contenuti” che formatori veri e propri (e comunque poco esperti nei processi formativi). Peraltro, nei requisiti del DM 180 non si parla di un numero minimo di ore di docenze effettuate, per cui, in linea teorica, è sufficiente che qualcuno abbia modo di partecipare a qualche convegno come relatore (soprattutto se organizzato da enti riconosciuti) per acquisire il requisito delle docenze.
Tutto ciò, a mio avviso, può incidere molto sulla qualità dei corsi (e quindi sulla preparazione dei mediatori e di conseguenza sulla qualità delle procedure di mediazione), anche in considerazione del fatto che ai corsi partecipano persone con background i più diversi tra loro (9) e la capacità di facilitazione e di gestione dell’aula diventa una sfida - anche per i formatori con grande esperienza - e un vero e proprio valore aggiunto. Infatti, se è vero che in questo primo anno di corsi le aule potevano dirsi più o meno omogenee (poiché la maggioranza dei partecipanti aveva una preparazione giuridica, 2 su 3 secondo le statistiche), oltre che piene fin quasi alla massima capienza potenziale di 30 persone - stabilito sempre dal DM 180, è altrettanto vero che i partecipanti ai corsi hanno competenze e professionalità diverse (commercialisti, ingegneri, geometri, medici, psicologi, sociologi, ecc.) e l’esigenza di “personalizzare” diventa al tempo stesso sempre più pressante e sempre più difficile.

Conclusioni
Concludendo, alla luce dell’esperienza acquisita alla luce del DM 180, è possibile disegnare uno scenario per la formazione sulla mediazione? Intanto, tracciando un bilancio che sia il più possibile oggettivo, direi che, nonostante le difficoltà, se valutiamo con l’occhio rivolto al passato non possiamo non constatare comunque un miglioramento nella definizione dei requisiti e delle caratteristiche della formazione per i mediatori (per es. non ci sono più i “conciliatori di diritto” ed è stato allargato il campo dei potenziali mediatori - anche se quest’ultimo punto è stato oggetto di critiche per la mancanza, almeno stando all’opinione di alcuni, delle “necessarie” competenze giuridiche) e nella definizione dei requisiti per i formatori (per i teorici è stato previsto un numero minimo di contributi scientifici e per i pratici un numero minimo di mediazioni svolte).
In futuro auspico che, come miglioramento della situazione attuale, anche la formazione diventi un oggetto di attenzione specifica da parte del Ministero, soprattutto dal punto di vista di una migliore qualificazione professionale dei docenti, così come d’altra parte sta avvenendo anche per i mediatori. In fin dei conti la crescita degli attori principali del processo di formazione (nei quali consideriamo, ovviamente, anche gli enti di formazione e i Responsabili scientifici), può creare efficaci sinergie in vista delle crescita dell’intero sistema della mediazione. In tal senso un’occasione opportuna sarà sicuramente fornita dalla risoluzione 2011/2026 del Parlamento europeo (della metà di settembre) che ha sottolineato l’importanza di definire standard di qualità per la formazione dei mediatori e il loro accreditamento nell’Unione. La speranza è che, alla luce dell’esperienza maturata in questo primo periodo, questa “sensibilità” sulla formazione a livello europeo trovi il nostro paese pronto a fare il passo successivo. 
L'articolo, in parte "riarrangiato" dalla redazione, è stato pubblicato nel numero di febbraio di AIF Learning News (anno VI, n.2), rivista on-line dell'Associazione Italiana Formatori.
Note:
(1) Kohlrieser, La scienza della negoziazione, Sperling&Kupfer, Milano, p. XXII.
(2) Che significa assenza di legami e di interessi con le parti e assenza di interessi nei confronti dell’esito della controversia.
(3) «Elementi rilevanti comprendono una formazione adeguata e un continuo aggiornamento della propria istruzione e pratica nelle capacità di mediazione [...]».
(4) L’art. 18 fa parte del Capo V, che riguarda anche gli Enti di formazione (che organizzano gli interventi di formazione per i mediatori) e i Responsabili scientifici (che hanno il compito di garantire l’idoneità dell’attività svolta dagli Enti di formazione). Tuttavia in questo articolo preferisco limitare la mia attenzione ai requisiti di formazione ed i formatori, preferendo approfondire gli aspetti legati agli Enti di formazione ed ai Responsabili scientifici in altra sede.
(5) Si parla di mediatori e non di conciliatori poiché il DM 180 (e prima ancora il d.lgs 28/2010) ha introdotto la distinzione tra mediazione e conciliazione, intendendo con la prima il procedimento e con la seconda l’esito positivo del procedimento. Tuttavia, nella pratica, mediatore e conciliatore sono utilizzati ancora come sinonimi.
(6) Matteucci, Mediazione avanti tutta. Ma... la formazione?, in Altalex, 3 gennaio 2012, Link: www.altalex.com/index.php?idstr=24&idnot=16703&mid=56.
(7) Per i docenti “teorici”, la pubblicazione di almeno tre contributi scientifici in materia di mediazione, conciliazione e risoluzione alternativa delle controversie; per i docenti “pratici”, aver svolto almeno tre mediazioni; per tutti i docenti, aver svolto attività di docenza in corsi o seminari in materia di mediazione, conciliazione e risoluzione alternativa della controversie presso ordini professionali, enti pubblici o loro organi, università pubbliche o private riconosciute nazionali o straniere (art. 18.3.a del DM 180).
(8) Vedi FAQ del Ministero: https://www.giustizia.it/giustizia/prot/it/mg_3_4_15.wp?tab=f.
(9) L’art. 4.3 del DM 180 stabilisce che per diventare mediatori è necessario un titolo di studio non inferiore alla laurea triennale o, in alternativa, essere iscritti a un ordine o a un collegio professionale.

martedì 28 febbraio 2012

Obbligo di mediazione come terapia del conflitto?

Da un bel post di Nicola Giudice nel blog della Camera di Commercio di Milano, uno spunto di riflessione a proposito dell'obbligatorietà (tema sempre attuale, che determina, a volte, anche duri confronti tra gli operatori del settore) e dell'impatto che ha nei confronti della "volontà" delle parti che vanno davanti a un mediatore.

Due gli aspetti essenziali:
1) "Dover mediare". Sinteticamente, "il percorso concettuale è esattamente opposto: da 'vado in mediazione e, se va male, in giudizio' al 'vado in giudizio ma, prima, passo dalla mediazione'. Una sorta di tappa da gioco dell’oca, che la parte spesso vive con sofferenza, come una perdita di tempo ed un aggravio di costi".

2) "Poter mediare". In breve, "questa seconda condizione coglie di sorpresa proprio coloro che, 'costretti al tavolo', si accorgono che forse questa sosta, forzata e indesiderata, può diventare la via d’uscita inaspettata da una spirale viziosa e pericolosa". Secondo Nicola Giudice, vista in questo senso, l'obbligatorietà potrebbe essere vista "come una sorta di terapia del conflitto: abituare le parti ad utilizzare la mediazione in modo che possano apprezzarne, con il tempo, i benefici".

Conflitto nel Darfur e situazione nel Sudan meridionale



Una volta tanto per parlare anche di altro, riporto nel mio blog la pagina di Slideshare con la presentazione usata ieri per la lezione al Master in Peacekeeping and Security studies a Roma Tre. Ho parlato di conflitto nel Darfur e la difficile situazione nel Sudan meridionale

Buona lettura! Stefano

venerdì 24 febbraio 2012

Quale stile per i mediatori?


Dalla lettura del volume "La promessa della mediazione" di Baruch Bush e Folger (presto mi "lancerò" in una recensione) scaturiscono tanti aspetti interessanti, tra l'altro anche sulle differenze tra mediazione  trasformativa (focalizzata, sulla ristrutturazione della relazione tra le parti) e mediazione focalizzata sul "problem-solving" (la risoluzione della controversia) rispetto alle attività del mediatore nel corso del procedimento.

In particolare, estrapolo questa pagina, ripresa da Kolb-Kressel:
“[Per alcuni mediatori] concludere un accordo costituisce l’obiettivo principale […]. I mediatori orientati alla soluzione sono alla ricerca di un esito concreto, che assuma la forma di un ‘patto’ tra le parti […]. Inizialmente, il mediatore rivolge alle parti numerose domande, finalizzate a capire come gestire al meglio la situazione, o risolvere un problema specifico […]. Come riconoscono gli stessi mediatori, essi si pongono alla guida del processo: sanno già chiaramente che direzione dovrebbe prendere il processo e si impegnano affinché questo accada. Così, la discussione arriva spesso a un punto d’arresto; le parti rimangono bloccate e continuano a reclamare le loro pretese, incapaci di considerare altri modi di vedere la questione […]. [I mediatori orientati alla risoluzione] tendono ad adottare uno stile direttivo, finalizzano i loro interventi alla soluzione di problemi concreti [problem-solving] dando spesso suggerimenti. Molti si sentono a proprio agio nel ruolo di esperti della materia della controversia, e utilizzano tutte le loro abilità di persuasione e influenza. Questi mediatori ammettono di buon grado di esprimere giudizi di valore sugli accordi possibili e di cercare di indirizzare le parti verso soluzioni considerate ‘accettabili’. Intervengono in maniera risoluta e sono solitamente convinti che senza le loro conoscenze e competenze, le parti annasperebbero confuse intorno a un risultato irraggiungibile” (Kolb D.M. – Kressel K., When talk works: profile of mediators, San Francisco, Jossey-Bass, 1994, pp. 470-474 in Baruch Bush R.A. – Folger J.P., La promessa della mediazione, Vallecchi, Firenze, 2009, p. 208).

A mio avviso questa pagina si inserisce molto bene non solo nel dibattito tra i due tipi di mediazione, ma anche nelle riflessioni sull'"ibrido" facilitazione/valutazione con cui il mediatore deve fare quotidianamente i conti nella propria attività. A tal fine un mediatore americano era solito che “alle 9 di mattina è più facile essere facilitativi, mentre alle 6 del pomeriggio è molto più facile essere valutativi…”.

martedì 21 febbraio 2012

Articoli de Il Sole 24 ore - 20 febbraio 2012 – Una sintesi


Sul quotidiano economico-finanziario di ieri sono apparsi alcuni articoli che permettono di fare il punto della situazione sulla mediazione civile e commerciale in Italia, dopo 11 mesi dall’introduzione della obbligatorietà. In particolare, il quadro che emerge (per la “fase 1”, cioè dal marzo 2011) parla di risultati non all’altezza delle aspettative in attesa della “svolta” (la “fase 2” di cui parla Il Sole 24 ore?) rappresentata dal completamento della lista delle materie per cui scatteranno i tentativi obbligatori di mediazione ma anche dalla “sospirata” pronuncia della Corte Costituzionale (i cui tempi, in ogni caso, non sono brevi).

Qualche dato interessante:
- Numero delle procedure. Gli articoli parlano di una stima di circa 80 mila controversie iscritte presso gli organismi accreditati, nei primi dodici mesi di mediazione obbligatoria. Mentre, per quanto riguarda le previsioni future, si parla di 320 mila controversie solo per le materie “neo-obbligatorie” (condominio e RC auto).
- Numero dei mediatori. Il Sole 24 parla di un “esercito” di 40 mila mediatori, anche se non chiarisce se si tratta di numeri effettivi o di stime, visto che in mediatore può essere accreditato con organismi diversi e quindi comparire in più elenchi di organismi contemporaneamente.
- Difficoltà degli organismi. Secondo Luigi Federico Brancia, vicepresidente di Assomediazione, “è segnato dall’incertezza, a partire dalla lunga attesa per la sentenza della Corte costituzionale, che dovrà esprimersi sull'obbligatorietà”. Nel frattempo, diversi organismi riescono a "stare a galla" solo affiancando alla mediazione le attività di formazione, anche se la partecipazione ai corsi è andata via via calando. L’articolo mette inoltre in evidenza le difficoltà degli organismi privati delle grandi città, rispetto alle quali alla scarsità di pratiche da trattare si aggiunge la concorrenza di ordini professionali e camere di commercio. Mentre nei piccoli centri la situazione appare diversa, dove le prospettive sembrano migliori.
- Cultura della mediazione. Di fondo resta una mentalità ancora poco aperta nei confronti della mediazione, anche per la scarsa conoscenza dell’istituto. Come più volte detto in questo e in altri contesti), sarebbe opportuno prevedere iniziative di sensibilizzazione, un po’ come sta accadendo in alcune regioni (es. Toscana, Sicilia, ecc.), dove si prevedono dei seminari di informazione sulla mediazione all’interno delle scuole di diverso ordine e grado. Ma anche organizzare iniziative di sensibilizzazione e approfondimento anche per i media (come peraltro riportato anche in un precedente post). Infatti, per es., anche Il Sole 24 ore parla di “giudici alternativi” evidenziando una scarsa conoscenza dell’istituto e del ruolo del mediatore.

Concludo con un punto che non mi è chiaro. In uno degli articoli si parla di “conciliazioni buone e cattive”, intendendo con le prime “le conciliazioni che fanno ottenere alla parte tutto quello cui ha diritto [ndr ribadisco, “tutto quello cui ha diritto”…], o almeno ci si avvicinano […] ovvero le conciliazioni che riescono a trovare un soddisfacente punto di equilibrio tra le parti” e con le seconde “conciliazioni dove il creditore, sotto la spada di Damocle delle siderali durate del processo, si sente costretto ad accettare che il suo credito venga enormemente decurtato”. “[…] Quando si tratta di soldi, molto spesso il creditore preferisce ottenerne ‘pochi, maledetti e subito’, magari con l’assistenza del mediatore, piuttosto che tutti e benedetti dal giudice, ma chissà quando”. Ora, fatta la premessa che nella mediazione contano gli interessi e quindi, a mio avviso, non sarebbe possibile fare una valutazione generale su ciò che è giusto è ciò che è sbagliato, perché bisognerebbe entrare nel dettaglio delle soluzioni “appropriate”, rispetto alla controversia, alle persone e alle situazioni specifiche, al tempo stesso mi domando: è la mediazione che in questi casi è “cattiva” di suo o è il sistema giudiziario talmente inefficace da rendere di fatto impossibile ogni altra alternativa?

lunedì 20 febbraio 2012

Caratteristiche del mediatore


Dal bel volume di Howard Raiffa "The art and science of negotiation" ho tratto questo bel "profilo" che contiene alcuni interessanti caratteristiche del mediatore: 
- la pazienza di Giobbe;
- la sincerità e l'ostinazione di un inglese;
- lo spirito di un irlandese;
- la resistenza fisica di un maratoneta;
- l'abilità di gioco di un regista su un campo di football;
- l'astuzia di Machiavelli;
- la capacità di analisi psicologica di un buon psichiatra;
- la capacità di mantenere il segreto;
- il dorso di un rinoceronte.
- la saggezza di Salomone. 

Inoltre, deve avere: 
- conoscenze fondamentali e fiducia dei processi di negoziato;
- profonda credenza nei valori umani e nel loro potenziale, temperata dalla capacità di valutare le debolezze personali;
- capacità di analizzare il possibile, in rapporto al desiderabile;
- sufficiente personalità, temperata dalla disponibilità a non apparire.

In aula può diventare, per i corsisti, un utile strumento di approfondimento "pragmatico" sulle caratteristiche ideali del mediatore... Sottolineo che di "italiano" c'è solo l'astuzia.  
"Stereotipi" anglosassoni o "criterio oggettivo"?  :)

domenica 19 febbraio 2012

Quinto rapporto sulla diffusione della giustizia alternativa in Italia

In un post di qualche giorno fa avevo già parlato della pubblicazione del rapporto sulla diffusione della giustizia alternativa in Italia riferito all'anno 2010. Prendo spunto da un articolo comparso su etribuna.it per riprendere la notizia e approfondire soprattutto gli aspetti riguardanti la mediazione.

Nel 2010 si riscontrano i primi segnali positivi, nonostante sia stato un anno "di transizione". Le mediazioni amministrate sono state oltre 18.500, le negoziazioni paritetiche oltre 17.000 e le conciliazioni presso i Corecom sono state oltre 49.000. "Cresce il numero dei successi: quando le parti si presentano in mediazione, viene raggiunto l’accordo in più del 74% dei casi, tendenza che viene confermata per il 2011 dalle proiezioni fornite da Unioncamere Nazionale. Aumenta anche il numero delle parti chiamate in mediazione che decidono di partecipare agli incontri e il professionista mantiene un ruolo centrale, assistendo la parte nell’84% dei casi".

Inoltre, "la giustizia alternativa si conferma più veloce di quella ordinaria: [...] circa 56 giorni per la mediazione amministrata, contro i 7 anni e tre mesi per la definizione dei procedimenti di giustizia civile, così come dichiarato dal Ministro Severino nella relazione sull’amministrazione della Giustizia nell’anno 2011". Il valore-medio è di circa 16.300 euro per le mediazioni amministrate e "le materie del contendere sono state soprattutto telecomunicazioni, commercio e contratti bancari e finanziari per la mediazione, diritto societario, appalti, commercio e immobiliare per gli arbitrati".

La giustizia alternativa delle Camere di commercio. "Nel 2010 sono state 17.387 le mediazioni amministrate presso le Camere di commercio (94% del totale), di cui il 71% tra imprese e consumatori e il 26% tra imprese". [...] “I dati dell'osservatorio Unioncamere sulla mediazione, rileva il presidente Ferruccio Dardanello, mostrano che le 93 Camere di commercio iscritte nel registro del Ministero della giustizia dal marzo a dicembre 2011 hanno gestito circa 15.000 mediazioni che costituiscono il 25% di tutte le mediazioni obbligatorie gestite in Italia e circa il 70% risulta gia definito. Di queste nel 40% dei casi la controparte ha accettato di presentarsi davanti al mediatore e nel 55% dei casi si è conclusa con un accordo soddisfacente per entrambe le parti. Con l'entrata in vigore a marzo dell'obbligatorietà per rcauto e condominio ci si aspetta una ulteriore crescita che contribuirà alla riduzione del contenzioso ad alleggerirete il carico di lavoro degli uffici giudiziari ma soprattutto una riduzione di tempi e costi per cittadini e imprese".

Afferma Giovanni Deodato, presidente Isdaci: “Anche grazie alla riforma della mediazione, l’importanza della giustizia alternativa va affermandosi sempre di più nel nostro Paese, nonostante rappresenti ancora un fenomeno piuttosto limitato. Il nostro Rapporto annuale costituisce uno dei mezzi più adeguati per contribuire alla crescita e alla conoscenza degli strumenti extragiudiziali di composizione delle controversie.”

venerdì 17 febbraio 2012

Linee-guida dell'ANIA per la gestione della mediazione

Dal sito dell'ANIA - Associazione Nazionale fra le Imprese Assicuratrici riprendo la pagina che riporta le linee-guida per la gestione della mediazione a fini conciliativi in materia assicurativa.

Come si legge nel sito, "le linee guida sono volte a facilitare la gestione delle mediazioni a fini conciliativi di controversie derivanti da contratti di assicurazione, responsabilità civile sanitaria e, a partire dal 20 marzo 2012, responsabilità derivante dalla circolazione dei veicoli che costituiscono condizione di procedibilità per l'esercizio di un'eventuale azione giudiziaria ordinaria.
Esse hanno la funzione di individuare modalità operative per il concreto svolgimento del nuovo istituto che tengano conto delle peculiarità della materia assicurativa, garantendo agli organismi di mediazione e alle imprese procedure coerenti con l'attività industriale tipica della liquidazione dei danni. In tale ottica, mirano a:
- rendere conoscibili alle imprese le caratteristiche degli organismi di mediazione, le eventuali specializzazioni nelle diverse materie assicurative, le procedure e criteri di designazione dei mediatori e di calcolo dei relativi compensi, l'esistenza di eventuali accordi con altri organismi di mediazione per la gestione delle istanze di mediazione;
- facilitare la partecipazione delle imprese assicuratrici, degli assicurati e dei danneggiati alla procedura di mediazione. A tal fine è stato predisposto un modello di domanda di mediazione di mero riferimento che evidenzia gli elementi qualificanti dal punto di vista assicurativo tali da permettere l'identificazione di una controversia effettivamente sussistente e, al contempo, consente all'impresa la tempestiva individuazione della pratica coinvolta".

lunedì 13 febbraio 2012

Notizia riportata sul sito tuodiritto.it


Dal sito tuodiritto.it rimbalza la notizia di "un ulteriore rinvio per la decisione della Consulta", presumibilmente a fine marzo.

Infatti, "al rinvio 'metereologico' si è aggiunto un rinvio di carattere procedurale che sembra essere stato provocato proprio dalle correnti giurisprudenziali che contrastano, o quanto meno mettono in dubbio, la legittimità costituzionale della normativa [...].

In conseguenza dell'ennesimo rinvio, se come da molti paventato si dovesse ricorrere ad una riunione delle varie questioni di legittimità sollevate dai vari giudici, i tempi per la fissazione dell'udienza e per il deposito delle deduzioni scritte si dovranno necessariamente allungare - venti giorni più venti giorni decorrenti dalla pubblicazione dell'ordinanza in Gazzetta Ufficiale - facendo così slittare la decisione, con ogni probabilità a fine marzo 2012".

Link 

Articolo su LiberoQuotidiano.it

Imprese: giustizia alternativa, 86mila casi in 2010, boom conciliazioni

Milano, 13 feb. (Adnkronos)
Sono oltre 86mila le procedure di giustizia alternativa avviate in Italia nel 2010 tra arbitrati amministrati (753), conciliazioni Corecom (49.348), negoziazioni paritetiche (17.407), mediazioni amministrate (18.525) e riassegnazioni di nomi a dominio (50). E' quanto emerge nel quinto rapporto sulla diffusione della giustizia alternativa in Italia, realizzato da Camera di commercio di Milano, Unioncamere e Isdaci.

Boom di procedimenti per i Corecom, che con 49.348 domande (57,3%), registrano il maggior incremento con un +13,7%. Cresce anche il numero dei successi: quando le parti si presentano in mediazione, viene raggiunto l'accordo in piu' del 74% dei casi. La giustizia alternativa, inoltre, si conferma piu' veloce di quella ordinaria: 228 giorni in media la durata di una procedura di arbitrato, circa 56 giorni per la mediazione amministrata, contro i 7 anni e tre mesi per la definizione dei procedimenti di giustizia civile, cosi' come dichiarato dal ministro Severino nella relazione sull'amministrazione della Giustizia.

I ritardi per la giustizia "rappresentano un costo di circa 23 miliardi per le imprese italiane - spiega Carlo Sangalli, presidente della Camera di commercio di Milano. Una cifra troppo elevata soprattutto in un contesto di crisi economica come quello che stiamo attraversando. Imprenditori e consumatori hanno bisogno di un sistema veloce ed efficiente che consenta di risolvere in modo economico le controversie. La mediazione diventa quindi, su molti temi, la prima via di soluzione permettendo di alleggerire i procedimenti in tribunale". (segue)

sabato 11 febbraio 2012

Video su una controversia condominiale



Ho il piacere di presentarvi il trailer del video che abbiamo girato con Claudia Nicosia, Elisabetta Mazzoli e Alessandra Passerini. I commenti sono di Paolo Nicosia

Il video ha un taglio didattico, è stato realizzato da Nicos ADR e riguarda un procedimento di mediazione in un caso di controversia condominiale. Due parole sulla musica... memore dei miei trascorsi musicali giovanili ho "firmato" la colonna sonora del video :)

Per informazioni sul video www.nicosadr.com.

venerdì 10 febbraio 2012

Media e mediazione

Dal blog della Camera di Commercio di Milano un post molto interessante con alcuni spunti per la promozione della cultura negoziale e della mediazione nel nostro paese.

"Chiunque conosca in modo professionale un determinato argomento, è abituato a scorgere molto spesso imprecisioni, inesattezze ed errori circa notizie relative a quel tema, leggendo i giornali o seguendo i notiziari tv o quelli sul web.
La necessità di rendere la notizia in tempi rapidi fa vittime innocenti: basta parlare di un signor Tal del Tali come di “evasore” e la notizia è data. Poco rileva se poi, andando ad approfondire, ci si rende conto che questa persona ha un contenzioso con il fisco circa una somma comunque dichiarata (e quindi non evasa). Si parla di “posto fisso”, di “responsabilità civile dei giudici”, di “aumento dello spread” in poche righe, evitando le complessità che si celano dietro questi argomenti. La notizia è data, l’informazione un po’ meno… La mediazione non fa eccezione. Si parla di mediatori come di “decisori” (?), “giudici” (??), “arbitri” (???). Si parla dell’obbligo di mediazione come se questo significasse trascinare le parti incatenate in mediazione, e via discorrendo. I tempi e gli spazi dei media non sono adatti ad approfondire concetti complessi come lo scopo della mediazione, le modalità con cui viene offerta, la qualità degli organismi di mediazione.
Se la percentuale di accordi è bassa (ma bassa rispetto a cosa, poi?) la mediazione “non funziona”. Poco importa se dietro una percentuale o un giudizio c’è un mondo che meriterebbe di essere analizzato, approfondito, dibattuto. E, ovviamente, il ragionamento vale anche in senso inverso: se si parla della mediazione come dello strumento che “svuoterà i tribunali”, “risolverà i problemi della giustizia italiana”, “toglierà lavoro ai giudici”, la necessità di approfondire meglio il tema dovrebbe essere evidente.
Fin qua, ahimè, niente di nuovo. Il tema ricorre da tempo e certo non lo si può affrontare in poche righe. Interessa invece ragionare su qualche possibile via di fuga che consenta ai professionisti dei media di lavorare bene e informare meglio i lettori.
Una prima proposta costruttiva che mi sentirei di fare è organizzare un momento di sensibilizzazione (un seminario, un corso, libero spazio all’iniziativa) proprio per gli addetti ai lavori della comunicazione, in modo da far loro capire che, al di là dei titoli e degli slogan pro o contro la mediazione, c’è una realtà molto più complessa che merita più di un approfondimento."

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giovedì 9 febbraio 2012

Calano i nuovi processi per l’effetto mediazione

Le statistiche 2011 del Ministero della Giustizia in tema di mediazione  obbligatoria sottolineano la diminuzione delle iscrizioni a ruolo e l’aumento della percentuale dei procedimenti in cui la parte decide di presentarsi.

Nel corso del convegno dedicato a «Il giusto rapporto tra giurisdizione e mediazione: prima e dopo la direttiva comunitaria», è stato fatto il punto sullo stato di attuazione della conciliazione obbligatoria con i dati del ministero della Giustizia relativi a tutto il 2011. Dalla lettura, con una rilevazione in 43 tribunali nelle materie oggetto della mediazione, emerge un calo del 30% delle iscrizioni a ruolo
Inoltre, segnali confortanti, dal punto di vista del ministero, arrivano anche sul versante della partecipazione al procedimento con un tasso che è andato via via crescendo dal 25 al 38 per cento. E, come si conferma, quando l’aderente si presenta davanti all’organismo di conciliazione nella maggioranza dei casi un’intesa viene trovata.
Per quanto riguarda invece il consuntivo sull’azione dei vari organismi di mediazione, la migliore performance è quella degli organismi allestiti dagli ordini professionali, con l'eccezione di quelli degli avvocati. Le statistiche del ministero sottolineano, ancora, la velocità della procedura di mediazione che, secondo quanto emerso dalle rilevazioni, dura circa la metà dei quattro mesi massimi previsti dalla legge. Infine, resta invece allarmante il dato sulla conciliazione delegata che cresce poco, attestandosi al solo 2%, ovvero occupando un posto irrilevante nel quadro generale del ricorso all’istituto della mediazione.

Questa è solo un'anteprima sui dati al 31/12/2011, che saranno pubblicati dal Ministero entro pochi giorni (neve permettendo)...

mercoledì 8 febbraio 2012

Articolo Il Sole 24 ore on line - La mediazione: una risorsa per le imprese


L’articolo prende le mosse dal Rapporto Doing Business 2012 (vedi specifico post), realizzato dalla Banca Mondiale, in cui l’Italia si pone al 158° posto (su 183 economie esaminate) nella graduatoria sulla efficienza del processo di risoluzione di una controversia commerciale. La situazione nel nostro paese appare piuttosto complicata; infatti, per risolvere una controversia commerciale sono necessari oltre 1.200 giorni (più del doppio del valore medio a livello mondiale, fissato in 500 giorni) e con costi procedurali pari a circa il 30% del valore della controversia (oltre il 10% in più della media mondiale).



Successivamente, l’articolo passa a sottolineare i vantaggi della mediazione per le imprese:

- La breve durata del procedimento, che non può andare oltre i 4 mesi, come fissato dal d.lgs. 28/2010. La risoluzione tempestiva delle controversie e l’adozione di procedimenti più efficaci contribuiscono a creare un clima di fiducia che costituisce uno dei presupposti per lo sviluppo del sistema economico-finanziario.

- La correttezza formale del procedimento è garantito dalla terzietà degli organismi di mediazione, la neutralità, indipendenza ed imparzialità dei mediatori e la riservatezza della procedura. Presupposti questi molto importanti per la gestione delle controversie civili e commerciali.

- I costi contenuti previsti dalle tabelle previste dal DM 180/2010 (che peraltro prevedono anche delle riduzioni per le materie obbligatorie), ma anche la possibilità di godere di agevolazioni fiscali.

- La possibilità di rendere il verbale di conciliazione titolo esecutivo attraverso l’omologazione da parte del Presidente del Tribunale.

- La possibilità di ricorrere alla mediazione anche per la risoluzione di controversie transnazionali; elemento molto importante in un contesto globalizzato.



La fine dell’articolo è molto chiaro sulle opportunità che la mediazione offre per le aziende e per l’intero sistema economico nazionale: “La capacità di prevenire e gestire le controversie attraverso l’utilizzo di strumenti efficaci che siano snelli, veloci, economici e riservati genera un riscontro positivo immediato in termini di attrattività sul mercato, sui potenziali clienti, sugli investitori”.

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Paperone, la Banda Bassotti e la teoria dei giochi

La mia amica Maria mi ha suggerito questo splendido post, dal blog dell'Associazione Omega. Lo riprendo moto volentieri, per presentare un esempio (ahinoi, non virtuoso...) di applicazione della teoria dei giochi. Buona lettura!

In occasione dell'audizione di De Magistris, Travaglio e Grillo presso il Parlamento Europeo a Strasburgo, cui sono stato presente con questa storia, l'Omega inaugura un nuovo modo per presentare il punto di vista della generazione under 35, utilizzando le teorie economiche in modo semplice e comprensibile.
La domanda che ci siamo posti è: cosa accade se applichiamo la teoria dei giochi alla Banda Bassotti (i malviventi in generale) ed a Paperon de' Paperoni (gli speculatori tutti)?
Assumendo che la Banda Bassotti voglia "rubare in santa pace" il più possibile, mentre Paperon de' Paperoni vuole difendere il suo patrimonio e lucrare il più possibile, si può tranquillamente affermare che: 
- se la Banda Bassotti ruba a Paperone, questi li denuncia
- se Paperon de' Paperoni preventivamente usa il suo denaro per "monitorare i bassotti", questi faranno di tutto per "eludere la sorveglianza" e Paperone dovrà quindi spendere altri soldi per correre ai ripari e aumentare il monitoraggio.

Inoltre, accade che, se Paperone monitora la Banda Bassotti, ne beneficiano tutti gli abitanti di Paperopoli, quindi i paperopolesi sono ben contenti di aiutare Paperone a sorvegliare i Bassotti e gli danno anche un contributo (es. le tasse), ma ovviamente Paperone deve usare quei soldi per monitorare e non tenerli per se. Come spiega la "teoria dei giochi", questo può funzionare quando i due attori non si accordano: ma cosa succede se i Bassotti e Paperone si accordano? Ce lo spiega la teoria dell' "equilibrio di John Nash".
Potrebbe succedere che i Bassotti promettano a Paperone di non rubargli nulla, se questi smette di monitorarli, così possono tranquillamente rubare agli altri abitanti di Paperopoli!

Conseguenza: Paperone è contento perché non spende più soldi per monitorare, anzi, si tiene anche i soldi dei paperopolesi, facendo finta di monitorare e semmai chiamando ad amministrare la giustizia il clemente “Ministro” Gambadilegno, che al grido di “la legge è uguale per tutti”, essendo i Bassotti liberi, libera anche Macchianera, Spennacchiotto e la Maga Magò. La Banda Bassotti, dal canto suo, è contenta perché può rubare come e più di prima in tutta tranquillità, anzi, può anche dire che non sono loro i colpevoli dei furti, visto che sono costantemente monitorati.
I due attori, oltre ad raggiungere il c.d. “equilibrio di Nash”, arrivano anche ad una situazione “Pareto Ottimale”, in quanto qualsiasi altra combinazione ridurrebbe il beneficio di uno dei due attori.
...meno male che ci troviamo in Italia e non a Paperopoli! O sbaglio?
...speriamo che, come in tutte le storie, a Paperopoli almeno qualcuno ascolti il “Grillo Parlante”!

Di Massimiliano Gambardella