giovedì 15 settembre 2011

Ubuntu, ovvero l'"arte della reciproca necessità"...


Sinceramente stanco, e perchè no anche un po' annoiato dalle quotidiane schermaglie tra interpretazioni del DM 145 e attesa per la pronuncia della Corte Costituzionale (per quanto consapevole che, ai fini dello sviluppo della nostra amata mediazione, tali aspetti sono molto importanti), voglio parlare di tecniche di mediazione, che restano la parte migliore del c.d. "metodo negoziale", peraltro applicabili ai diversi contesti della nostra vita (nella nostra professione come nella nostra vita). Lo faccio attraverso uno splendido video di Elizabeth Lesser, che ci parla del confronto e del dialogo con l'"altro", questo sconosciuto (quando non giudicato e disprezzato).
La Lesser parla di "ubuntu", splendido concetto di origine africana che è molto più che una "filosofia di vita". E' cultura e costruzione di identità, ma anche senso di appartenenza nell'integrazione. Confronto e non condanna. Una frase molto semplice, eppure così difficile da accettare da parte di molti, per riassumerla: "I need you, in order to be me... You need me in order to be you".

Quali sono i passaggi importanti (almeno secondo me) di questo video?
Un primo elemento riguarda il dialogo con gli altri, all'interno del quale non si deve cercare di difendere la propria posizione o interrompere l'altro per impedirgli di parlare. Per una corretta comprensione è necessario essere aperti, curiosi a ciò che l'altro dice e soprattutto... ascoltarlo! Non pensare (fintamente) di farlo e pensare (realmente) solo a quello che vogliamo dire. Nel dialogo, per conoscere il punto di vista dell'altro, può essere utile fare qualche semplice domanda, ad es. quali cose ti preoccupano di più? Cosa vorresti chiedere a qualcuno che non la pensa come te? Anche solo da queste se ne potrebbero trarre informazioni utili per avere un quadro più ampio della situazione. Chissà, in fine dei conti la "peggiore cosa che ci potrebbe capitare" è di cambiare la nostra opinione su qualcuno o qualcosa. Le informazioni facciamocele dare dagli altri e non pensiamo di saperle già. Andare oltre i propri preconcetti significa questo...

Altro elemento importante riguarda la risposta alla domanda: in che cosa, nel concreto, consiste l'ubuntu? E' il luogo in cui si trovano le soluzioni ai problemi che sembrano più intricati. Semplice, no? Rappresenta solo una meta ideale? Chissà; certo che se ho un problema con qualcuno e interrompo la comunicazione non vado verso l'ubuntu ma verso qualche altra parte (e magari avrò mandato questo qualcuno, anche solo con la mente, verso chissà quale ameno paese). Tuttavia, l'ubuntu non è una bacchetta magica, richiede disponibilità, tempo e applicazione. Richiede due persone disposte a rinunciare a dire "lo so già!", due persone che passano dalle armi delle proprie argomentazioni agli strumenti rappresentati dal dialogo e il confronto.

Per chiudere, infine, la Lesser cita il poeta persiano Rumi: "Aldilà delle idee, del cosa è giusto e cosa è sbagliato esiste un luogo. Io vi incontrerò lì". Che sia questo il luogo (ideale, se ragioniamo con scetticismo, ma reale, se pensiamo ai concreti risultati che può raggiungere la trasformazione costruttiva dei conflitti) del mediatore? Mi limito a dire una cosa: non siamo su Pandora o su Utopia, ma nel mondo e la capacità di comunicare con l'altro è vecchia come il mondo (appunto), così come le capacità dell'uomo di agire come "terzo" per far andare d'accordo gli altri. Questi sono strumenti a nostra disposizione. Sta a noi usarli, anche solo per saperli sempre meglio usare. Hai visto mai che magari cominciamo pure ad andare d'accordo?
Ringrazio Anna Maria per l'"imbeccata".

Sul sito di TED è possibile selezionare i sottotitoli in italiano.

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