giovedì 31 gennaio 2013

Il formatore e le "risposte"


Il mio personale buongiorno con questo pensiero di Sergio Di Giorgi e Dario Forti che hanno sottolineato che il formatore "dovrebbe saper 'proporre, tra le infinite narrazioni possibili, quella più efficace di affascinare, di coinvolgere emotivamente un uditorio'; dovrebbe saper 'accompagnare gli altri nel costruire risposte'".

Il formatore quindi non da risposte, ma da piuttosto supporto alle persone nel costruire le loro (questa è mia) J

Citazione tratta da (a cura di) Sergio Di Giorgi e Dario Forti, Formare con il cinema, Franco Angeli, Milano, 2011, p. 49.

mercoledì 30 gennaio 2013

Comunità di pratica per professionisti formatori di professionisti


Dopo il post di qualche giorno fa che anticipava l’iniziativa (link), ho l’onore ed il piacere di presentarvi  la comunità di pratica di “professionisti formatori di professionisti” (sicuramente originale nel suo genere), “nata” ieri nell’ambito delle attività 2013 della Delegazione regionale Lazio dell’AIF (Associazione Italiana Formatori), della quale sono consigliere del Direttivo.

L’iniziativa è nata su iniziativa mia e della collega Beatrice Lomaglio e conta, fino ad ora, oltre dieci colleghi. Non faccio nomi, ma alcuni sono persone di riferimento nel panorama formativo romano e italiano. Di questo non posso che esserne assolutamente lieto.

Ci aspetta una “sfida” impegnativa che riguarda la promozione di un confronto (secondo modalità di leadership condivisa e diffusa) su alcuni temi fondamentali:
- Il modo di intendere la formazione dei professionisti;
- La differenza esistente tra “esperti dei contenuti” e “formatori”;
- La possibilità di intendere un nuovo approccio per la formazione professionale;
- Le modalità più efficaci per la condivisione di esperienze e know-how.

A presto sul blog per aggiornamenti sulle attività del gruppo di ricerca/lavoro.
Stefano

martedì 29 gennaio 2013

Sun Tzu, Harvard e Manù


Da mediare senza confini (link) - 25 gennaio 2013.
Di Carlo Alberto Calcagno.

Torno ad ospitare molto volentieri un contributo dell’amico Carlo Alberto, molto interessante sulla “cultura” della mediazione. Da leggere come ottimo spunto di approfondimento...
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Nel 1972, durante uno scavo in Cina [1], all’imbocco del Fiume Azzurro, venne alla luce il testo integrale su listelli di bambù di un manuale di strategia militare del IV secolo a.C. [2]Quest’opera era già parzialmente conosciuta nel mondo occidentale [3] con il titolo de “L’arte della Guerra” (Bingfa) [4].

Secondo la tradizione la scrisse un generale di umili origini chiamato Sun Tzu [5]; egli desiderava ingraziarsi il suo signore in modo che gli affidasse il comando delle armate, cosa che secondo la tradizione si verificò. Nel 1975 questo testo venne rielaborato all’università di Harvard ed alcuni studiosi diedero alla stampe il celeberrimo volume “L’arte del negoziato” [6]Ma ci sono anche altre opere in materia di management e marketing che si ispirano al testo di Sun Tzu[7]. I manager americani hanno in particolare cercato nella formazione classica [8] spunti d’immediata utilizzazione: se nel mondo antico sono esistiti tanti eroi e l’eroe è stato evidentemente un uomo di successo, quale deve essere un manager, ci si poteva allora ispirare all’eroe omerico greco, o al politico romano o al comandante di armate cinese.

Così il leader che sa gestire i conflitti in azienda è divenuto “colui che trova il modo di far parlare tutte le parti interessate, che sa capire le loro differenti prospettive, e riesce infine a trovare un ideale comune che tutti siano disposti a sottoscrivere. Costui fa affiorare il conflitto, riconosce i sentimenti e i punti di vista di tutti e poi reindirizza l’energia verso un ideale comune[9]

Gli studiosi americani [10] cercarono di sviluppare un modello di negoziazione, ispirandosi alle tattiche e ai modelli strategici utilizzati per porre fine al combattimento campale. Ne è esempio illuminante il suggerimento di una tecnica detta di “jujitsu negoziale” da utilizzare quando l’avversario in una disputa si dimostri completamente sordo alle nostre richieste e completamente arroccato sulle proprie; tecnica che consiste nello schivare e piegare la sua forza ai nostri fini [11].

Le regole della negoziazione estrapolate da un manuale, lo si ripete, di arte militare, hanno fornito la base per la conciliazione e per la mediazione. I principi ricavati dalla Bingfa sono oggi riconosciuti in mediazione. Ne vediamo alcuni.

Il mediatore devono possedere delle abilità, ma alcune sono innate. Quindi vale il detto: uno può sapere come vincere senza però, essere in grado di farlo[12].

Il mediatore deve pianificare il setting per tempo e con attenzione. Il generale vincitore, prima che venga combattuta una battaglia, fa molte riflessioni nella sua tenda[13]“Chi prende posizioni sul campo per primo ed attende la venuta del nemico, sarà fresco per lo scontro. Chi giunge secondo sul campo e deve affrettarsi alla battaglia arriverà esausto[14].

Il mediatore è flessibile. Uno dovrebbe modificare i propri piani secondo che le circostanze siano favorevoli o meno[15] “Perciò come l’acqua modella il suo corso secondo la natura del terreno su cui scorre così il generale trova la vittoria in relazione al nemico che ha di fronte”[16]“Colui che può modificare le proprie tattiche in relazione al nemico e, pertanto, ottenere la vittoria può essere definito un condottiero divino[17]Il generale che ha piena consapevolezza dei vantaggi che derivano dalle variazioni tattiche sa come guidare le truppe[18].

Il mediatore sa dominarsi ed è riservato. Spetta al generale essere calmo e perciò assicurare il riserbo…[19].

Il mediatore non può essere autoritario, ma deve essere considerato autorevole. Maltrattare gli uomini e poi temerne le reazioni indica una suprema mancanza di intelligenza[20]Ora, quando le tue armi saranno spuntate, il tuo ardore caduto, la tua forza esaurita ed il tuo tesoro speso… nessun uomo sarà capace di evitare l’inevitabile[21].

Il mediatore ha però bisogno di far rispettare a coloro che negoziano alcune regole di comportamento. Quando gli alti ufficiali sono incolleriti ed insubordinati, ed all’incontro con il nemico danno battaglia di loro iniziativa per una sorta di risentimento e, comunque prima che il comandante in capo dica se è, o meno, in grado di combattere, il rischio è la rovina[22]“Quando un generale, incapace di stimare la forza del nemico, permette che una forza inferiore si scontri con una superiore… il risultato sarà la rotta”[23].

Il mediatore resta fedele ai principi etici e alle regole dell’arte. "Il perfetto comandante coltiva la Legge Morale e resta fedele al Metodo ed alla Disciplina; per questo è in suo potere il controllo del successo[24].

Ci sono tuttavia precetti più antichi di quelli della Bingfa che agli studiosi di ADR potrebbero risultare assai familiari. Un paio di secoli prima dell’Arte della Guerra sempre nel mondo orientale ed in particolare in India veniva steso per iscritto il Manava-Dharmasastra (मानव धरमसस्त्र)[25] detto Codice di Manù, un manuale di vita pratica per gli esseri umani e anche di strategia militare[26], i cui principi risalgono con tutta probabilità al XII secolo a. C.[27]Fu pubblicato per la prima volta in Francia nel 1830 e poi tradotto in francese nel 1833[28]: alcuni suoi principi furono sicuramente ripresi dal naturalismo, e tra i suoi estimatori troviamo anche importanti intellettuali italiani dell’Ottocento[29].

Manù è un demiurgo a cui fu affidata la creazione del mondo e dunque è personaggio di invenzione: probabilmente il testo è frutto dell’elaborazione secolare dei sacerdoti.

I precetti che vengono consigliati al sovrano sono fondamenti della negoziazione più avanzata, specie per quella esercitata durante le relazioni sindacali.
“169 Quando il re valuta che dopo la sua superiorità sarà certa,  e che nel presente non deve soffrire che un lieve danno, ricorra ai negoziati pacifici”[30].
“199 Siccome non si prevede mai in modo certo da qual parte uscirà la vittoria, il re deve, per quanto può fuggire dal venire alle mani”[31].
“206 Il vincitore può concludere alla fine una pace con il perdente, e prenderlo come alleato con calore,  considerando che i tre frutti di una spedizione sono l’amicizia, l’oro, e l’accrescimento del territorio[32].

Il Codice di Manù ci spiega poi mirabilmente quali devono essere le caratteristiche di un ambasciatore. L’ambasciatore è stato presso tutti i popoli il primo negoziatore/mediatore della storia; per garantirgli lo svolgimento del suo compito era considerato presso tutti i popoli sacro ed inviolabile. In Grecia veniva detto Araldo, in Magna Grecia Irenofeciale (portatore di pace) e a Roma Feciale.
 “63 (Il re) Scelga ambasciatore chi ha cognizione di tutti i Sastra, che sappia interpretare i segni, il contegno ed i gesti, puro nei costumi, incorruttibile, abile e di illustre nascita”[33].
 “64 Viene lodato l’ambasciatore di un re , quando affabile, puro, destro, di buona memoria, pratico dei luoghi e dei tempi, di bella presenza, intrepido ed eloquente”[34].
 65 Dal capitano dipende l’esercito, dalla giusta applicazione delle pene il buon ordine, il tesoro ed il paese dal re, la guerra e la pace dall’ambasciatore” [35].
66 L’ambasciatore ricongiunge i nemici, divide gli alleati, perché tratta gli affari determinanti rottura e buona armonia[36].
“67 Nei negoziati con re straniero, l’ambasciatore indovini le intenzioni di questo re da certi segni, dal contegno e dai gesti di lui, e per i segni e gesti dei suoi emissari segreti…”[37].

Le caratteristiche che vengono qui descritte stanno alla base del mediatore così come è stato delineato ancora nel 2012 dall’ONU[38].

Il mediatore deve conoscere le regole (Sastra)[39]: si tratta delle norme di legge ma anche di quelle deontologiche, delle regole dell’arte, degli usi ecc… Gli Anglosassoni aggiungono opportunamente anche le regole del rapporto commerciale tra le parti. Deve essere un esperto del linguaggio del corpo: su questo requisito dovremmo riflettere a lungo, specie noi formatori di mediatori.
La purezza e l’incorruttibilità dell’ambasciatore, e più in generale del cittadino romano, si ritrovano anche nei Mores maiorum romani che sono richiamate oggi dall’ONU: si fa diretto riferimento alla gravitas[40], ossia al contegno irreprensibile.

Il mediatore deve possedere delle abilità[41], deve essere affabile[42], scaltro[43], di buona presenza[44], coraggioso[45] ed in grado di utilizzare la parola[46]Quale è il suo compito primario? Facilitare la comunicazione ossia ripristinare ciò che è stato rotto dagli affari, proprio la buona armonia del rapporto.

Nei corsi di mediazione che io ho frequentato viene spiegato agli studenti che nel proporre un’alternativa per la composizione del conflitto colui che media dovrebbe individuare una soluzione che non dipenda per il suo avveramento dall’altro mediante.

Tale impostazione viene chiaramente individuata con riferimento al Bramino, nel Codice di Manù.
“159 Fugga ogni atto dipendente dall’altrui soccorso; s’applichi invece a tutto quello che dipende da lui stesso”.( Libro III Codice di Manù).
Il testo sacro ci reca anche la motivazione di una tale impostazione.
160 Ciò che dipende da sé reca piacere; ciò che da altri, noia; sappia che questa è in somma la ragione del piacere e del dolore”.
Altro suggerimento che viene dato in tutti i corsi riguarda il lavoro del mediatore che deve sforzarsi di eliminare gli agganci emotivi, di non esprimere giudizi e di “depurare” le narrazioni dei medianti degli elementi negativi che le connotano.
“161 Non mostrare cattivo umore nemmeno nell’afflizione; né nuocere altrui, neppure col pensiero; né proferire parola da cui alcuno possa essere trafitto, la quale chiuderebbe l’accesso al Cielo” (Libro II Codice di Manù).
Degni di massimo rilievo sono i principi dedicati al giudice.
“23 Il re o il giudice da lui eletto cominci l’esame delle cause collocandosi sulla sedia nella quale deve rendere giustizia, decentemente vestito, e raccogliendo tutta l’attenzione…;
24 Esamini le ragioni delle parti per ordini di classi, considerando quel che è utile o dannoso, e principalmente quel che è legale o no” (Libro VIII Codice di Manù).

Il mediatore ha oggi come ordinario scrupolo quello di chiedersi durante tutto il corso della procedura se l’opzione negoziale che le parti scelgono sia utile o meno rispetto alla migliore alternativa che esse hanno all’accordo ed in seconda battuta se l’opzione utile rispetti la legalità.

Ma i principi più straordinari sono quelli espressi qui di seguito sempre come doveri del giudice.
“25. Scopra la mente degli uomini per mezzo dei segni esterni, del suono di loro voce, del colore del volto, del contegno, del portamento del corpo, degli sguardi e dei gesti.
26. Dal contegno, dal portamento, dai gesti, dalle parole, dai moti degli occhi o del volto si indovina l’intero pensiero”[47].

Di questi due precetti sarebbe superfluo il commento, se non fosse che risalgono a tremila anni fa. La cosa che più mi stupisce è che si riferiscano al giudice, anche se in precedenza hanno riguardato già l’ambasciatore. Allora si potrebbe dire, non è solo il verbale, non è solo il documento che porta verso la verità processuale, specie se ci sono altri mezzi che possono portarla a coincidere con quella sostanziale.

Per un mediatore e più in generale per un esperto di comunicazione lo studio del linguaggio analogico costituisce una tappa ineludibile: ci potrebbero raccontare a lungo che quei due precetti riassumono l’essenza del loro lavoro.
Uno psicanalista sa bene che Es si sfoga attraverso gli arti e che il movimento è lo specchio del pensiero, un neuro scienziato potrebbe al proposito raccontarci cose mirabili dei percorsi della percezione nel cervello medio.

Ma l’uomo antico aveva fatto ben di più: aveva  messo tutto ciò in una legge e quella legge doveva essere osservata dal giudice, dall’ambasciatore e da tutti gli altri uomini.

L’uomo antico ci racconta ancora che il sovrano istruito antepone i negoziati alla corruzione, al seminare discordia e alla guerra. La migliore forma per vincere e dunque per soddisfare i propri interessi è quella di negoziare perché tutti, potremmo aggiungere noi, ci trovino il loro tornaconto. Il giudizio è ed era in antichità davvero l’ultima ratio.
107 Così disposto a far conquiste, sottoponga gli opponenti alla propria autorità col negoziare, e coi tre altri mezzi che sono: spandere doni, seminare discordia, e usar le armi;
108 Se non riesce coi primi tre mezzi, gli assalga a forza aperta, e li costringa successivamente a sottomettersi;
109 Fra questi quattro mezzi d’esito, incominciando dai trattati, gli uomini istruiti antepongono sempre i negoziati pacifici alla guerra per l’utile dei regni”;[48].
“198 Faccia ogni sforzo per diminuire i suoi nemici con negoziati, con doni, fomentando discordie; adoperi i suoi mezzi insieme o separati, senza ricorrere alla pugna;” [49].
In mediazione però ciò che conta è la cooperazione tra le parti e col mediatore.
55. Una cosa facilissima diventa difficile per un uomo solo; con più forte ragione il governare un regno senza essere assistito;” [50].
Ed il mediatore deve essere neutrale: su cosa sia la neutralità si sono scritti fiumi di parole; quanto al re il Codice di Manù reca bellissimi principi che sono anche patrimonio di ogni mediatore.
 “211. La bontà,  l’arte di conoscere gli uomini, il valore della compassione, un’inesauribile liberalità, formano l’ornamento di un principe neutrale”[51]

La liberalità del mediatore attiene soprattutto al tempo e alla pazienza che sono per lui inesauribili.

Il Codice di Manù detta infine una regola preziosa per l’esito della negoziazione.
“215 Concentrandosi nell’esame dei tre soggetti che sono: chi dirige l’affare, l’oggetto che si propone ed i mezzi di riuscita, si sforzi di raggiungere almeno la metà dei suoi desideri;[52]”.

In conclusione di questo piccolo excursus si può ragionevolmente pensare che i tempi antichi ci diano copiose indicazioni su come imbastire e mantenere i nostri rapporti cogli altri; sta solo a noi farne uso nel modo più proficuo.
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NOTE

[1] Nella provincia di Shantung venne scoperta una tomba della dinastia Han. [2] In realtà sembrerebbe che i fatti narrati appartengono anche a periodi successivi (tra il 400 ed il 320 a. C.): all’epoca dell’autore, ad esempio, la cavalleria non veniva utilizzata in battaglia come risulta dal testo. V. amplius M. CONTI, Introduzione a “L’arte della Guerra”, RL Gruppo Editoriale S.r.l., Santarcangelo di Romagna (Rn), 2009. [3] J. J. M. AMIOT, Art Militaire des Chinois, Paris, 1772. [4] Troviamo peraltro le stesse argomentazione in Tucidide, Tito Livio e Bartolo da Sassoferrato. Quest’ultimo ad esempio nel De Tyrannis si sofferma  sull’importanza di istituire  un regolare servizio di spionaggio interno (q. VIII, 605-610) <ut corrigant delicta et alia quae iniuste fiunt in civitate>, spionaggio che, anche se ad altri fini, come ci rivela il capitolo XII dell’Arte della Guerra, è uno dei capisaldi addirittura delle dinastie: “Sii sagace! Sii acuto! Ed usa le tue spie per ogni genere di affare… Anticamente la fondazione della dinastia Yin fu dovuta a  Y Zhi che avva servito sotto gli Xia…”). Anche in Machiavelli che scrive peraltro un’opera celeberrima dall’identico titolo, possiamo ritrovare concetti molto simili. [5] Per lui si ripropone peraltro la vexata quaestio  filologica sull’identità di Omero: c’è chi nega che sia mai esistito. Probabilmente il volume venne composto nel periodo successivo alla predicazione di Confucio in un momento in cui in Cina vi erano diversi Stati combattenti. [6]  Di R. FISHER – W. URY – B. PATTON, Getting to Yes: Negotiating Agreement Without Giving In. Houghton Mifflin Company, 1981.  È opera fondamentale non solo per la negoziazione, ma anche per le strategie di management. In Italia si può trovare in una traduzione del 2008 di A. GIOBBIO per l’editore Corbaccio, Cles (TN). [7] Cito ad esempio M. McNEILLY, Sun Tzu and the Art of Business: Six strategic, Principles for Managers, New York, Oxford University Press, 1996. [8] Non solo aprendosi al mondo orientale, ma anche quello greco e romano. [9] D. GOLEMAN-R. E. BOYATZIZ-A. MCKEE, Essere leader, R.C.S. Libri, Milano, 2002, 308. [10]  Dell‘Harvard Negotiation Project, in particolare R. FISHER e W. URY. [11] Quando la controparte asserisce la propria posizione non è utile né accettarla, né respingerla, ma trattarla come una opzione possibile. Invece di difendere la propria idea è più fruttuoso chiedere agli altri di criticarla per capire ciò che in essa non va e migliorarla. Se la controparte ci attacca personalmente non bisogna opporsi, ma lasciare che si sfoghi e riciclare alla fine il suo attacco verso il problema. È più utile utilizzare domande e non affermazioni che creano resistenze e restare in silenzio ad attendere la risposta.  V. amplius R. FISHER-V. URY-B. PATTON, L’arte del negoziato, Corbaccio, Milano, 2005, pp. 148 e ss. [12] Sun Tzu, Bingfa, IV, 4. [13] Sun Tzu, Bingfa, I,25. La traduzione dei passi è tratta da M. CONTI, Introduzione a “L’arte della Guerra”, RL Gruppo Editoriale S.r.l., Santarcangelo di Romagna (Rn), 2009. [14] Sun Tzu, Bingfa, VI, 1. [15] Sun Tzu, Bingfa, I, 16. [16] Sun Tzu, Bingfa, V, 32. [17] Sun Tzu, Bingfa, V, 33. [18] Sun Tzu, Bingfa, VIII, 4. [19] Sun Tzu, Bingfa, XI, 35. [20] Sun Tzu, Bingfa, IX, 37. [21] Sun Tzu, Bingfa, II, 4. [22] Sun Tzu, Bingfa, X, 17. [23] Sun Tzu, Bingfa, X, 19. [24] Sun Tzu, Bingfa, IV, 16. [25] Il termine dovrebbe significare “Leggi fondamentali dell’uomo”. [26] Si veda in particolare il libro VII che ha diverse affinità con l’Arte della Guerra. [27] Cfr. C. CANTÙ, Storia universale, Volume I,  Cugini Pomba e C. Editori, Torino, 1838, p. 300 e ss.  Questo testo sacro non tiene conto degli insegnamenti del Budda che tremila anni fa aveva protestato contro l’ortodossia braminica. [28] L’edizione italiana è di Cesare Cantù (v. C. CANTÙ, Documenti alla Storia Universale, Tomo II, Guerra, Religione, Legislazione, Filosofia, Cugini Pomba e C. Editori, Torino, 1851, p. 363 e ss.).
[29] Romagnosi, Cantù, Mazzoleni, De Giorgi, Puccinotti, Montanari, Troya, Brunetti. [30] Codice di Manù, Libro VII. [31] Codice di Manù, Libro VII. [32] Codice di Manù, Libro VII. [33] Codice di Manù, Libro VII. [34] Codice di Manù, Libro VII. [35] Codice di Manù, Libro VII. [36] Codice di Manù, Libro VII. [37] Codice di Manù, Libro VII. [38] Cfr. United Nations Guidance for Effective Mediation[39] Per l’Onu anche quelle internazionali. [40]The mediator needs a level of seniority and gravitas commensurate to the conflict context and must be acceptable to the parties”. [41] Da ultimo espresse nelle rules Californiane: saper comunicare chiaramente; saper ascoltare in modo efficacesaper facilitare la comunicazione tra tutti i partecipanti; saper proporre l’esplorazione di opzioni di accordo che trovino il consenso di tutte le parti; ed in ultimo saper condurre se stessi in modo neutrale. [42] Noi parliamo di assertività, di capacità di usare in sincronia lo sguardo ed il sorriso. [43] Nel senso di conoscitore della psicologia umana. [44] Anche in mediazione la prima impressione è quella che conta. [45] Sappiamo che il mediatore può fare domande inusuali e che non ha paura ed anzi tende a sollecitare le persone a sfogare le proprie emozioni. [46] Un mediatore che non è in grado di formulare domande non può fare adeguatamente il suo mestiere. [47] Codice di Manù, Libro VIII. [48] Codice di Manù, Libro VII. [49] Codice di Manù, Libro VII. [50] Codice di Manù, Libro VII. [51] Codice di Manù, Libro VII.