giovedì 27 ottobre 2011

Al Caffé Della Pace: incontro con Gary Friedman, una prima impressione


Ospito molto volentieri uno splendido contributo della mia amica e collega Alessandra Passerini. Buona lettura!

Per una strana coincidenza l’appuntamento di qualche giorno fa a Roma con Gary Friedman viene da lui fissato al Caffè Della Pace, ritrovo di artisti e nome che certamente evoca la mediazione. Gary, uno dei più conosciuti mediatori americani, avvocato, si trova spesso in Italia per lavoro o per vacanza e questo non è il nostro primo incontro, anche se durante il precedente, ormai risalente a più di quattro anni fa, la mia conoscenza ed esperienza in mediazione erano decisamente più scarse rispetto ad oggi. Tuttavia, già all’epoca, da grande appassionata della materia, in quell’incontro avevo subito potuto apprezzare il suo enorme carisma. Nel 2010, poi, mi ero casualmente imbattuta nel suo nome leggendo il libro “Negoziare con il diavolo”, scritto da un altro famoso mediatore e avvocato americano, Robert Mnookin, in relazione al caso dell’orchesta filarmonica di San Francisco, caso al quale entrambi avevano lavorato anni prima in co-mediazione.

In occasione di quel nostro primo incontro del 2007 ricordo che Gary mi raccontò di quando iniziò negli anni settanta come mediatore, tra i pochi “pionieri” al tempo, mettendo semplicemente una targa dal titolo “Mediation law offices” fuori dalla porta dello studio, e mi raccomandò, se possibile, di assistere i clienti come avvocato con esperienza, oserei dire “specializzazione”, solo in procedure non contenziose, utilizzando la mediazione in tutti i casi ritenuti adatti -nell’ottica della soddisfazione degli interessi del cliente- a gestire la controversia con questo strumento.

Questa volta, invece, parliamo del ruolo del diritto nella mediazione: è indubbio che nell’ultimo anno mi sono spesso trovata a riflettere sul perché l’esperienza italiana in materia stia a mio dire diventando sempre più giuridica e sempre meno negoziale e relazionale, anche nei casi di mediazione volontaria. Motivo per cui mi sono chiesta più volte se il rapporto non sia troppo sbilanciato. Mi risponde che é normale che sia così, quasi rassicurandomi. “All’inizio è sempre così perché non si conoscono altre modalità di risoluzione delle controversie e la mediazione implica un dover imparare a pensare diversamente, che non è facile per nessuno. Nel tempo la situazione si riequilibrerà: da questo punto di vista è consigliabile imparare a separare il momento in cui, negli incontri, si affrontano gli aspetti giuridici da quelli in cui si affrontano quelli emotivi e relazionali”. Mischiare i due momenti potrebbe avere effetti negativi in termini di efficacia della gestione della procedura. Ma ciò, penso io, implicherà certamente un grosso lavoro culturale e di formazione per tutti, non solo per gli aspiranti mediatori. “I mediatori non giuristi dovranno imparare a conoscere il diritto, i giuristi dovranno imparare ad essere più “flessibili” con l’uso del diritto in mediazione”, aggiunge.

Dal seguito della conversazione emerge che il lavoro che si sta facendo in questo momento negli Stati Uniti è infatti soprattutto volto ad insegnare ai mediatori come gestire costruttivamente le proprie emozioni durante gli incontri, per poter svolgere al meglio un ruolo di aiuto e supporto delle parti, facilitando efficacemente la loro negoziazione. “Io prediligo le sessioni congiunte perché amo lavorare insieme alle parti e ai loro legali, anche se a volte ciò può essere complesso o faticoso da un punto di vista emotivo. Gli avvocati, in mediazione, preferiscono di solito lavorare utilizzando le sessioni riservate, soprattutto perché temono che il loro cliente non sappia ben gestire gli incontri congiunti, ma a volte questo può addirittura dare l’impressione alle parti di essere manipolate”. In sostanza questo conferma il grande dilemma, dal punto di vista del mediatore, o almeno quello derivante dalla mia personale esperienza: se, quando e come utilizzare le sessioni riservate.

L’altro aspetto trattato insieme riguarda l’esito della procedura. Personalmente ritengo che la mediazione sia, o meglio dovrebbe essere, un lavoro di gruppo: la troppo spesso scarsa preparazione in materia di mediazione che, come mediatore, ho dovuto riscontrare in capo a molte parti e avvocati quanto a metodologia della procedura e conoscenza delle tecniche di negoziazione, sovente rappresenta davvero un grosso ostacolo all’accordo. Gary ritiene che l’esito non dipenda solo dal mediatore ma è invero legato a molte altre variabili: “bisogna cominciare a preoccuparsi della propria performance come mediatore se gli esiti sono solo positivi o solo negativi; in tal caso c’è qualcosa che non va”. Ovviamente, aggiungo, in caso di esiti solo positivi, ci si dovrebbe chiedere se non si è  troppo “impositivi” in una procedura per sua natura facilitativa, in cui le parti dovrebbero sempre avere il controllo della decisione finale.

Inevitabilmente arriviamo a parlare anche del D.Lgs. 28: “In questo caso neppure si può parlare di un tipo di non binding arbitration se la mancata accettazione della proposta può produrre gli effetti previsti sulle spese nel successivo giudizio” precisa. “Infatti le parti dovrebbero poter sempre stabilire le loro regole del gioco a monte, ma soprattutto essere sempre libere di dire di no all’accordo in qualunque momento e senza alcuna conseguenza”.
Ringrazio Gary per i preziosi consigli e per la ricarica di motivazione, essenziale in questo momento di difficile transizione.

E io ringrazio Alessandra per aver scritto queste ottime pagine di vera mediazione...

1 commento:

  1. ottimi i passaggi relativi al:

    1) ruolo del diritto nella mediazione - se per l'esperienza rappresentata, in fase iniziale prevale l'"intromissione" del diritto, i margini per una mediazione più ortodossa sono ampli e vedremo l'efficacia dell'istituto nel tempo utilizzandola e adattandola alla nostra realtà
    2) se, quando e come utilizzare le sessioni riservate - queste riflessioni lasciano trasparire la grande preparazione e sensibilità che deve avere il mediatore nella conduzione della procedura che, attento a non sbilanciarsi, non teme passi falsi alla presenza delle parti, mantenendo sempre la sua neutralità ed imparzialità

    3)l’esito della procedura - le capacità del mediatore non si misurano in termini maggior numero possibile di mediazioni concluse con accordo

    grazie Stefania Pieroni.

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