giovedì 12 luglio 2012

Formazione dei mediatori: destinazione prossima-ventura?


Riporto il testo del mio intervento allo Speaker's corner della mediazione civile e commerciale. Io non potrò essere presente (per un sopraggiunto impegno) e il mio intervento sarà letto dall'Avv. Mario Tocci (che ringrazio per la disponibilità) :)
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Buongiorno a tutti. 
Esprimo innanzitutto il mio rammarico per non poter essere dei vostri, tuttavia esprimo la mia piena soddisfazione perché mi è stata data comunque la possibilità di "partecipare", sia pur "virtualmente", a questa importante manifestazione che da finalmente l'opportunità di dare voce a chi crede nella mediazione e se ne occupa in modo continuativo... In breve la "vive", ben oltre i comportamenti, gli atteggiamenti e le cose dette, ma soprattutto ascoltate, durante le varie sessioni (congiunte o separate che siano). La vive, perché cerca di farsene portatore durante la vita di tutti i giorni, in tutti i "teatri" in cui si trova coinvolto, nella sfera personale e professionale.

Prima di iniziare, un breve ringraziamento a chi ha reso possibile tutto questo, sperando che sia il primo di una lunga serie di eventi... E un personale ringraziamento all'Avv. Tocci, che ha dato la sua disponibilità (da me molto apprezzata) a condividere questo mio intervento.

Ho visto dal programma che ci sono anche altri ottimi relatori, amici prima ancora che colleghi, che faranno il punto sulla formazione, tema a me molto caro, visto che intorno ad essa (in buona compagnia insieme alla mediazione, ovviamente), sto investendo gli ultimi 15 anni del mio percorso professionale. Tuttavia, vorrei integrare le loro parole con alcune brevi considerazioni, che riguardano in particolare la formazione, dei mediatori ma soprattutto dei formatori. Questi ultimi infatti hanno a mio avviso un ruolo decisivo nello sviluppo del "sistema-mediazione", perché in un modo o nell'altro i potenziali mediatori nei corsi-base ed i mediatori già operanti (nei corsi di aggiornamento), passano tutti davanti a noi; in un certo senso, come formatori, in aula abbiamo davanti agli occhi il “futuro” della mediazione.

I requisiti formativi per i mediatori nella normativa europea ed italiana

La formazione dei mediatori è oggetto di particolari attenzioni a partire dalla normativa europea. Infatti, già il Libro Verde del 2002 aveva sottolineato che la padronanza delle tecniche essenziali alle Alternative Dispute Resolution (ADR) richiedesse una solida formazione. Inoltre la Direttiva comunitaria 2008/52/CE ha evidenziato l’importanza di un’adeguata formazione del mediatore, considerato il mezzo necessario per arrivare a una piena efficacia della mediazione. Il principio è ribadito nel “Codice europeo di condotta dei mediatori” del 2004 che ha dedicato l’intero art. 11 alla competenza e alla conoscenza del procedimento da parte di chi svolge attività di mediazione.

Per quanto riguarda invece la normativa italiana, l’art. 4.4.a del DM 222/2004 ha disciplinato i requisiti professionali dei conciliatori: infatti, fatta eccezione per i professori universitari in discipline economiche o giuridiche, i professionisti iscritti ad albi professionali nelle medesime materie con anzianità di iscrizione di almeno quindici anni e i magistrati in quiescenza (i c.d. “conciliatori di diritto”) per gli altri era necessario il possesso di una specifica formazione acquisita tramite la partecipazione a corsi di formazione tenuti da enti pubblici, università o enti privati accreditati. Il risultato di tale previsione fu che i conciliatori con anzianità “quindicennale” (la maggior parte dei quali all’oscuro, o quasi, delle tecniche di negoziazione) dilagarono con ovvie ripercussioni sulla qualità dei procedimenti. Il decreto dirigenziale del luglio 2006 ha cercato di ovviare a queste difficoltà, stabilendo che i corsi abilitanti all’attività di conciliazione dovevano essere di 40 ore, di cui: non meno di 4 riservate alla valutazione; non meno di 16 alla pratica; per lo meno 32 riservate alla teoria.

Si arriva poi al Decreto del Ministero della Giustizia 180 del 18 ottobre 2010 (d’ora in poi DM 180), che prevede, art. 18.2.f, che la formazione dei mediatori debba avere una durata non inferiore alle 50 ore ed essere articolata in corsi teorici e pratici («sessioni simulate partecipate dai discenti») - senza tuttavia indicare per questi ultimi la durata minima - con valutazione finale di almeno 4 ore. Al punto successivo il DM 180 prevede per i mediatori anche un percorso di aggiornamento formativo di durata non inferiore a 18 ore biennali. Infine, l’art. 4.3.b dello stesso decreto (così come modificato dal DM 145/2011) prevede che, nello stesso biennio, il mediatore debba anche partecipare, in forma di “tirocinio assistito”, ad almeno venti casi di mediazione svolti presso organismi iscritti (che nei chiarimenti previsti dalla circolare ministeriale dello scorso 20 dicembre assume le caratteristiche di una specie di “uditorato", nel quale il tirocinante deve limitarsi a un’attività di osservazione del lavoro del collega senza intervenire, in nessun modo, nella procedura).

Ora, talvolta l’impressione è che il massimo che si riesce a fare in aula non è tanto formare alla mediazione, bensì riuscire a informare i partecipanti. Infatti, pur tenendo conto dell’aumento del numero di ore del corso - peraltro minimo - rispetto alla normativa del 2004, accade che, nei programmi proposti dagli enti di formazione, la parte teorica e normativa “assorba” spesso almeno l’80% del totale di ore. Per cui alla parte pratica si finisce per riservare solo un esiguo numero di ore di formazione, di gran lunga insufficiente rispetto alle esigenze dei partecipanti. In più, se consideriamo anche che nelle materie del percorso formativo previste dall’art. 18.2.f del DM 180 trovano poco spazio le tecniche di gestione dei conflitti e le modalità relazionali e comunicative, un numero elevato di partecipanti che impediscono spesso la continuità delle attività didattiche (soprattutto nella parte c.d. pratica), la provenienza quasi esclusivamente giuridica dei formatori, la mancanza di chiarezza su cosa debba intendersi per formazione teorica e pratica (infatti tra gli enti di formazione, i responsabili scientifici e gli stessi formatori ci sono talvolta profonde differenze rispetto ai significati), la mia impressione è che, alla fine, molti dei programmi sono orientati su una formazione di tipo essenzialmente normativo e di carattere prevalentemente nozionistico.

Serve questo tipo di impostazione? E se sì quanto, nel concreto? Nel film “Men in black III” uno dei protagonisti, l’agente K suggerisce a un giovane collega: “Non fare domande di cui non vuoi sentire le risposte…”. Chissà, forse questo suggerimento può tornare utile anche a proposito delle domande appena fatte...

Quali competenze per i formatori?

Il decreto del 2006 ha stabilito che i formatori fossero persone «in possesso dei requisiti di qualificazione professionale dei conciliatori» e che avessero «maturato esperienza almeno triennale quali docenti in corsi di formazione nelle materie giuridiche o economiche». «In sostanza docenti universitari in diritto processuale civile, canonico, internazionale privato o esperti nella teoria neoclassica della determinazione del prezzo in un mercato in equilibrio perfetto» (sottolinea l’amico Giovanni Matteucci in un articolo pubblicato su Altalex lo scorso mese di gennaio). La domanda è: Quanti di loro avevano sentito parlare di empatia, ascolto attivo e dinamiche della facilitazione (tanto per fare qualche esempio sugli argomenti relazionali e comunicativi) e/o di interessi e posizioni, migliori alternative all’accordo negoziato, creazione di opzioni negoziali, fasi della procedura di mediazione (sempre in tema di esempi, riguardo gli specifici argomenti relativi a negoziazione e mediazione), ma soprattutto... quanti di loro erano esperti negli aspetti legati alla gestione delle dinamiche d’aula?

Il mio timore, anche alla luce della mia esperienza come Responsabile scientifico di enti di formazione accreditati presso il Ministero della Giustizia, è che queste domande possano essere considerate valide anche alla luce della normativa attuale, che ha certamente innalzato i requisiti dei formatori, ma che tuttavia non risolve le perplessità riguardo la definizione delle loro competenze, dando per scontato che le docenze fatte (anche poche, visto che non è previsto un numero minimo) comportino automaticamente l’acquisizione di competenze di gestione d’aula.

Gli enti di formazione cercano sempre di “strutturare” il corso in maniera tale da utilizzare i “docenti giusti al posto giusto” (il Ministero della Giustizia ha sottolineato che siano previsti almeno due diversi docenti: uno per la parte teorica e uno per quella pratica). Tuttavia, alle volte si assiste ad un eccessivo “frazionamento” del corso, nel senso che nell’ambito delle 50 ore si registra un vero e proprio “turn-over” di docenti, con evidente mancanza di continuità e con il rischio di sovrapposizioni e ripetizione. In ogni caso questo non elimina la questione di fondo, ossia: quali specifiche competenze di formazione hanno i docenti sulla mediazione? Infatti, se è vero che in generale parlare di certificazione delle competenze dei formatori è sempre un argomento delicato e particolare, mi sembra, onestamente, che manchino specifiche competenze di gestione dei processi formativi.

Una logica che vedo spesso applicare è reperire “batterie di slides all’ultima moda da mostrare in sequenza”, senza un’adeguata analisi sulla progettazione dell’intervento formativo o  su quali potrebbero essere gli strumenti da utilizzare (spezzoni di filmati, role-play, esercitazioni, lavori di gruppo, simulazione, ecc.). Inoltre, ci si preoccupa ancora poco di “lavorare” sul gruppo di partecipanti, sul clima d’aula, sul necessario coinvolgimento di tutti, a partire dalle loro specifiche esigenze. In breve - anche confrontandomi con diversi colleghi – l’impressione è che, in generale, i docenti sulla mediazione civile e commerciale (teorici o pratici che siano) in realtà siano più “esperti dei contenuti” che formatori veri e propri (e comunque poco esperti nei processi formativi). Peraltro, nei requisiti del DM 180 non si parla di un numero minimo di ore di docenze effettuate, per cui, in linea teorica, è sufficiente che qualcuno abbia modo di partecipare a qualche convegno come relatore (soprattutto se organizzato da enti riconosciuti) per acquisire il requisito delle docenze.

Tutto ciò, a mio avviso, può incidere molto sulla qualità dei corsi (e quindi sulla preparazione dei mediatori e di conseguenza sulla qualità delle procedure di mediazione e, in ultima analisi, sulla qualità dell’intero “sistema), anche in considerazione del fatto che ai corsi partecipano persone con background i più diversi tra loro (anche se questa si rivela spesso una risorsa) e la capacità di facilitazione e di gestione dell’aula diventa una sfida - anche per i formatori con grande esperienza - e un vero e proprio valore aggiunto. Infatti, se è vero che nel 2011 le aule potevano dirsi più o meno omogenee (poiché la maggioranza dei partecipanti aveva una preparazione giuridica, 2 su 3 secondo le statistiche), oltre che piene fin quasi alla massima capienza potenziale di 30 persone - stabilito sempre dal DM 180, è altrettanto vero che nel 2012 i partecipanti ai corsi hanno competenze e professionalità diverse (commercialisti, ingegneri, architetti, geometri, medici, psicologi, sociologi, ecc.) e l’esigenza di “personalizzare” diventa al tempo stesso sempre più pressante e sempre più difficile.

Conclusioni

Concludendo, alla luce dell’esperienza acquisita, è possibile disegnare uno scenario per la formazione sulla mediazione? Intanto, tracciando un bilancio che sia il più possibile oggettivo, direi che, nonostante le difficoltà, se valutiamo con l’occhio rivolto al passato non possiamo non constatare comunque un miglioramento nella definizione dei requisiti e delle caratteristiche della formazione per i mediatori (per es. non ci sono più i “conciliatori di diritto” ed è stato allargato il campo dei potenziali mediatori - anche se quest’ultimo punto è stato oggetto di critiche per la mancanza, almeno stando all’opinione di alcuni, delle “necessarie” competenze giuridiche) e nella definizione dei requisiti per i formatori (per i teorici è stato previsto un numero minimo di contributi scientifici e per i pratici un numero minimo di mediazioni svolte).

In futuro auspico che, come miglioramento della situazione attuale, anche la formazione diventi un oggetto di attenzione specifica da parte del Ministero, soprattutto dal punto di vista di una migliore qualificazione professionale dei docenti, così come d’altra parte sta avvenendo anche per i mediatori. In fin dei conti la crescita degli attori principali del processo di formazione (nei quali consideriamo, ovviamente, anche gli enti di formazione e i Responsabili scientifici), può creare efficaci sinergie in vista delle crescita dell’intero sistema della mediazione. In tal senso un’occasione opportuna sarà sicuramente fornita dalla risoluzione 2011/2026 del Parlamento europeo (del settembre 2011) che ha sottolineato l’importanza di definire standard di qualità per la formazione dei mediatori e il loro accreditamento nell’Unione. La speranza è che questa “sensibilità” sulla formazione a livello europeo trovi il nostro paese pronto a fare il passo successivo. 

Il tutto nella logica di un grande negoziatore americano, il compianto Richard Holbrooke, il quale, prima di sedersi al tavolo delle trattative diceva al suo staff: «Bene, cosa abbiamo voglia di imparare oggi?». Io dico che se un grande esperto di negoziazione come lui si poneva, ogni giorno in ognuna delle trattative che hanno contraddistinto la sua carriera diplomatica, nella logica di migliorarsi continuamente, credo che possiamo farlo anche noi. In questo modo la formazione e la mediazione diventerebbero davvero ESEMPIO, davvero AZIONE. E dove c’è FORMA-MEDI-AZIONE non ci sono resistenze, culturali o di casta, anche le più potenti, che possano tenere il passo dell’innovazione e del cambiamento.

Ringrazio Mario, gli organizzatori dello Speaker's corner, le persone presenti, ma soprattutto ringrazio la mediazione, per la splendida opportunità che ci offre, tutti i giorni, di imparare qualcosa di nuovo.
Un caro saluto a voi tutti.
Stefano Cera

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