lunedì 24 dicembre 2012

Un po' di storia... Il conciliatore nell’Italia unita (seconda parte)


Segue dalla prima parte (vedi post).
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Rilevante è ancora che il conciliatore potesse essere delegato dal pretore [1] a convocare e presiedere i consigli di famiglia o di tutela che furono introdotti nella legislazione francese per le cause tra congiunti sulla scorta del diritto romano [2]. Tra le competenze minori ricordiamo: ricevere testamenti nel comune [3] infetto da malattia contagiosa [4]; autorizzare pignoramenti immediati subito dopo la notifica del titolo e del precetto [5]; vistare e sottoscrivere i bandi di vendita al pubblico di beni mobili [6]; apporre i sigilli nei comuni ove non ci fosse il pretore [7]; far parte della commissione che forma la lista dei giurati [8]; ricevere per antico uso in un registro le polizze di obbligazione dei monti frumentari [9]; giudicare le contestazioni al ruolo delle prestazioni d’opera per le strade obbligatorie [10]; essere delegato dal pretore a dispensare le pubblicazioni di matrimonio e a rilasciare atto notorio in luogo del certificato di nascita [11].

Con legge 16 giugno 1892 n. 261 si sentì l’esigenza di modificare, come già accennato, la competenza del conciliatore e di regolare più compiutamente il funzionamento dell’ufficio di conciliazione a cui viene per la prima volta riconosciuta una denominazione organica [12]. Venne mutato il sistema di nomina, revoca e sospensione del conciliatore che faceva ora capo al primo presidente di Corte d’Appello su delegazione del Re [13]; il conciliatore veniva scelto da una lista [14] di dieci nomi che il consiglio comunale inviava alla Corte e che andavano individuati, nonostante la scelta fosse assai criticata, con particolare riferimento ad alcune categorie di soggetti: notai, farmacisti, avvocati e procuratori, figure queste ultime particolarmente avversate dal legislatore [15], laureati di qualunque disciplina, ex soldati, maestri elementari, coloro che avessero ottenuto la licenza di maturità, ex deputati e senatori, ex dipendenti pubblici, ex sindaci, consiglieri provinciali, e i contribuenti che versavano all’erario almeno 100 lire di imposte all’anno [16].
Si aveva dunque normalmente di mira la cultura e professionalità [17] del pacificatore e l’esperienza di vita; il tipo di professione poteva essere il più vario [18]; era stato considerato anche il censo perché si presumeva che il possidente fosse più interessato di altri a mantenere la pace e la concordia nel comune (stesso principio dunque che reggeva l’elezione del Conciliatore delle Due Sicilie).
Per rimediare alle obiezioni circa “l’apertura” alle professioni forensi, si stabilì che gli stessi esercenti la professione legale e rivestiti della qualità del conciliatore o vice-conciliatore, non potessero prestare assistenza alle parti o rappresentarli davanti all’ufficio di conciliazione del quale fossero titolari [19]. Questa norma che peraltro è transitata per un certo tempo anche nell’attuale ordinamento con riferimento a giudice di pace [20], è una nitida esplicazione del principio d’indipendenza che il mediatore odierno ricorda alle parti nel momento introduttivo della procedura e che nel regolamento della conciliazione societaria ha dato evidentemente luogo all’esclusione del giudice conciliatore dal novero di coloro che possono prestarla.

La legge di riforma stabilì [21] anche che in ogni controversia il conciliatore dovesse innanzitutto procurare la conciliazione delle parti: è quella che anche noi chiamiamo conciliazione giudiziale e che è attualmente prevista dall’art. 320 C.p.c. [22]; sino ad allora il Codice di procedura civile [23] prevedeva che si estendesse al conciliatore la norma sulla conciliazione pretorile [24]. Peraltro la norma pretorile è interessante perché ci presenta uno schema simile a quello che verrà utilizzato successivamente anche per la sessione congiunta iniziale della conciliazione ad hoc [25]: “Il pretore, sugli atti avanti indicati, sentite le parti in persona nelle loro ragioni ed eccezioni ulteriori, deve procurare di conciliarle”. Ancora l’art. 12 della legge di riforma considerava l’efficacia del verbale della conciliazione volontaria preventiva.

L’art 7 del C.p.c. del 1865 prevedeva l’esecutività [26]  del verbale entro le 30 lire; tale valore venne portato nel 1892 a 100 lire; sopra questa quota il verbale mantenne la forza di scrittura privata riconosciuta in giudizio. Lo schema peraltro verrà adottato anche dall’art. 322 [27] C.p.c., seppure naturalmente siano diversi gli attuali limiti di competenza per materia e per valore [28]. Quel che è importante ricordare è che sia nel nostro come nell’antico ordinamento la conciliazione volontaria non contenziosa del conciliatore (e oggi del giudice di pace) non aveva limite alcuno di materia e di valore.
Ma la norma più rilevante ai fini del procedimento di conciliazione, a sommesso parere dello scrivente, era contenuta nel regolamento di esecuzione della legge [29] e stabiliva all’art. 12 quello che poi sarà lo schema di fondo della mediazione odierna: ”Per tentare l’esperimento della conciliazione il conciliatore avrà diritto di chiamare le parti separatamente o congiuntamente in privata udienza. Non riuscendo lo esperimento, il conciliatore potrà rinviare al discussione della causa alla prossima udienza e ripetere anche nella medesima i suoi buoni uffici. Se le parti non si conciliano, procederà senz’altro alla trattazione della causa”. 

Questa norma ha una portata rivoluzionaria anche per i nostri tempi, perché prevede la possibilità d’incontri separati, e quindi in assenza di contraddittorio, in ambito di conciliazione giudiziale; il legislatore del tempo aveva cioè compreso che per la conciliazione, sia essa preventiva volontaria o giudiziale, vigono regole differenti dal giudizio. In continuazione con le pregresse esperienze si stabilì che tale conciliazione giudiziale poteva essere tenuta anche in presenza dei soli difensori che avessero specifico mandato.
L’art. 13 del predetto regolamento stabiliva infine che “il mandato per farsi rappresentare innanzi al conciliatore dovrà contenere la facoltà di transigere e conciliare a nome della parte, salvo sempre al conciliatore la facoltà di chiamare le parti personalmente di fronte a sé per l’esperimento della conciliazione [30] o di farle sentire sopra fatti specificati dal conciliatore”, dal collega del luogo di residenza. E se le parti non si presentavano personalmente il conciliatore procedeva al giudizio.

La facoltà del conciliatore di ordinare la comparizione delle parti si prevede espressamente sino al 1995 nel caso di conciliazione fuori dalla sede di pretura [31], ovvero quando le parti, caso estremamente raro, si costituissero in cancelleria: in questo ultimo caso il giudice poteva convocare le parti e prima dell’udienza tentare di conciliarle. Davanti al conciliatore e poi al giudice di pace la comparizione personale [32] sarà in definitiva sempre e solo facoltativa e per il giudice e per le parti. E anche per quanto riguarda il processo di cognizione [33]  la comparizione personale sarà prevista sempre come un’eventualità. Sino al 1995 verrà disposta dal giudice “quando occorre”; a partire dagli anni ’90, quando disposta,  lascerà comunque libere le parti di farsi rappresentare con l’unico limite della conoscenza dei fatti di causa in capo al procuratore.

[1] Cui la legge attribuiva il compito di sorvegliare le tutele. V. Relazione al re del 26 dicembre 1892 sul regolamento per l’esecuzione della l. 16 giugno 1892 n. 261.
[2] Cfr. art. 14 l. 16 giugno 1892 n. 261. Venivano deliberati gli atti per cui era poi necessaria la omologazione del tribunale: autorizzazione di atti di alienazione, pegno ipoteca, mutui, transazioni, compromessi, divisioni ereditarie, dispense del tutore, pro-tutore o curatore dal loro ufficio ecc.
[3] Di domicilio del conciliatore.
[4] Art. 789 C.c. - r.d. 25 giugno 1865 n. 2358. Non importava che il testatore fosse o meno infetto, ma che si trovasse in quel comune. Peraltro trascorsi sei mesi il testamento così redatto era nullo.
[5] Art. 578 C.p.c. – r.d. 25 giugno 1865.
[6] Art. 629 C.p.c. – r.d. 25 giugno 1865.
[7] Art. 21 C.c. - r.d. 25 giugno 1865 n. 2358.
[8] L. 8 giugno 1874.
[9] In pratica si concedevano ai contadini le semenze a credito ed essi sottoscrivevano apposita polizza di debito confezionata dal conciliatore in apposito registro.
[10] L. 30 giugno 1868; anche il giudice di pace inglese aveva attribuzione simile. Ogni capo famiglia doveva prestare obbligatoriamente alcune giornate di lavoro per costruire le strade; in merito a tali giornate si compilava un ruolo ogni due anni che poteva essere appunto contestato.
Tale attribuzione del conciliatore verrà ribadita dal r.d. 13 dicembre 1903, n. 551 con riferimento alle strade comunali di accesso alle stazioni ferrovie.
[11] Sempre ad uso di matrimonio.
[12] Art. 1 del regolamento 26 dicembre 1892, n.728.
[13] Art. 8 del regolamento 26 dicembre 1892, n.728.
[14] Per le formazione v. articoli 2-6 del Regolamento 26 dicembre 1892, n. 728.
[15] Basta leggere la Tornata senatoria del 6 aprile 1892, p. 2927: ai senatori sembravano incompatibili con la figura del conciliatore, “sia per le loro abitudini naturalmente avverse alla conciliazione, sia per quel certo sospetto che nasce dal trovarsi quei professionisti eventualmente conciliatori o giudici davanti ai loro clienti dell’oggi e del domani”. Peraltro gli avvocati, procuratori, notai e farmacisti vennero nominati esplicitamente dalla legge perché, specie nel Sud, molti di loro non possedevano la laurea, né la licenza od altro titolo equivalente; solo nel 1874 quelli esercenti da almeno dieci anni vennero pareggiati ai laureati (art. 60 l. 8 giugno 1874). L. SCAMUZZI, Manuale teorico-pratico dei Giudici Conciliatori, op. cit., p. 77 e ss.
[16]  V. art. 3 l. 16 giugno 1892 n. 261.
[17] Tale modo di vedere giungerà sino alla metà del secolo successivo. Ne è espressione ad esempio l’art. 12 del decreto legislativo luogotenenziale 7 gennaio 1946, n. 1 che vede il conciliatore come “giudice” della prova di alfabetizzazione che dovevano sostenere coloro che volessero candidarsi a consiglieri comunali.
[18] L. SCAMUZZI, Manuale teorico-pratico dei Giudici Conciliatori, op. cit., p. 78 e ss.
[19] Art. 7 l. 16 giugno 1892 n. 261. Il regime delle incompatibilità ha una lunga storia. Vedasi ad esempio la legislazione savoiarda di Vittorio Amedeo del 1729 che peraltro in parte (art. 6) riprendeva quella del 1430 (Statuta Sabaudiae) di Amedeo VIII. Art. 6 libro II Titolo I Leggi e Costituzioni di Sua Maestà  del 1729. “Non sarà lecito a qualunque dei nostri Ministri , ed Uffiziali de’ Nostri Magistrati d’avvocare, e patrocinare in qualunque Causa, che s’agiti de’ Nostri Tribunali, quantunque avanti d’essere ammessi al Nostro Servizio avessero per alcuno delle Parti esercitato il loro patrocinio, sotto pena della perdita dello stipendio per un anno”. Art. 7 libro II Titolo I Leggi e Costituzioni di Sua Maestà  del 1729 “Non solo non potranno avvocare per qualsivoglia Persona, ma nemmeno essere Giudici. Ed Assessori in verun altro Tribunale fuori dai de’ Nostri, alla pena della privazione degli Uffizi da Noi a Loro conceduti”.
[20] Così successivamente l’art. 27 del Regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12 (in Gazz. Uff., 4 febbraio, n. 28). - Ordinamento giudiziario e successivamente l’art. 8 bis della l. 21 novembre 1991 n. 374, peraltro inserito nel 1994 ed abrogato nel 1999.
[21] Art. 9 l. 16 giugno 1892 n. 261. Per le cause sino a lire 50 se ne faceva menzione nel verbale di udienza; per quelle sopra le lire 50 in sentenza. Principio storico questo risalente alla legislazione sui Difensori di città.
[22]  “Nella prima udienza il giudice di pace interroga liberamente le parti e tenta la conciliazione. Se la conciliazione riesce se ne redige processo verbale a norma dell'articolo 185, ultimo comma. Se la conciliazione non riesce, il giudice di pace invita le parti a precisare definitivamente i fatti che ciascuna pone a fondamento delle domande, difese ed eccezioni, a produrre i documenti e a richiedere i mezzi di prova da assumere”.
[23] Art. 464 C.p.c. – r.d. 25 giugno 1865.
[24] Art. 417 C.p.c. – r.d. 25 giugno 1865.
[25] Ed oggi pure per la mediazione di cui al decreto 4 marzo 2010 n. 28.
[26] L’esecuzione prescelta era quella mobiliare cui soprintendeva lo stesso conciliatore (art. 13).
[27] “L'istanza per la conciliazione in sede non contenziosa è proposta anche verbalmente al giudice di pace competente per territorio secondo le disposizioni della sezione III, capo I, titolo I, del libro primo. Il processo verbale di conciliazione in sede non contenziosa costituisce titolo esecutivo a norma dell'articolo 185, ultimo comma, se la controversia rientra nella competenza del giudice di pace. Negli altri casi il processo verbale ha valore di scrittura privata riconosciuta in giudizio”.
[28] Quella territoriale è, infatti, irrilevante.
[29] Regolamento 26 dicembre 1892, n. 728.
[30] Peraltro abbiamo visto che le Pandette attribuivano pure all’arbitro la facoltà di costringere le parti a partecipare alla lettura della sentenza.
[31] Perché qui la rappresentanza poteva darsi anche a persona non legale che non poteva autenticare il mandato.
[32] Art. 320 C.p.c.
[33] Cfr. a seconda dei momenti l’art. 183 c. 1 (dal 1995 al 2006)  e l’art. 185 C.p.c. (dal 2006 ad oggi).

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