lunedì 17 febbraio 2014

Sotto la buona stella… del mediatore

Ieri ho visto l’ultimo film di Carlo Verdone (Sotto una buona stella) e, a parte le impressioni sul film - a mio avviso carino ma non all’altezza delle produzioni migliori dell’attore e regista romano, anche recenti - spiccano la storia e, soprattutto, le implicazioni (positive) che riguardano la comunicazione e la mediazione.

All’inizio ero stato interessato dalla trama (un padre che, “nel mezzo del cammin della sua vita…” - o poco più - ed in presa ad una improvvisa crisi economica, si ritrova a convivere con i due figli - ormai ventenni - con cui, praticamente, non aveva un rapporto da anni), ma poi, scena dopo scena, emergono i due argomenti in tutta la loro evidenza.

Infatti, se fin dall’inizio appare chiaro quanto sia difficile per il personaggio interpretato da Verdone (professionista che si ritrova a non avere più nulla in banca per via del crac della sua holding finanziaria e che improvvisamente si ritrova ad avere due figli a carico perché la ex moglie - da cui aveva divorziato tanti anni prima - muore) “ritrovare” un dialogo con i propri figli (Lia e Niccolò), di cui sa poco o nulla (infatti sa solo che lei è una ragazza-madre che ama scrivere poesie e lui è un aspirante cantautore, faccia rude dal cuore morbido) e che provano per lui un misto tra malinconia e rancore per anni di “mancanza” (non economica, perché l’assegno mensile non è mai mancato, ma di affetto; quello - fondamentale - infatti è mancato sempre).

Ad aiutarlo a (ri)costruire il dialogo e la relazione con loro sarà una vicina di casa che ha il volto di Paola Cortellesi, che dietro l’aria gentile e spiritosa (all’inizio si finge una domestica romena perché intimorita dall’aggressività di Verdone, per un problema di “rumori” condominiali) nasconde un lavoro come “tagliatrice di teste” (nel senso aziendale del termine) e parecchi sensi di colpa.

Da quel momento in poi il film scorre in un “quadretto” simil-familiare (o quanto di più vicino possa essere), di alti e bassi in cui il personaggio interpretato dalla Cortellesi spesso “riformula” (soprattutto a beneficio del “padre ravveduto”) le esigenze ed i bisogni dei figli (che l’hanno presa in simpatia). Perché come ha dichiarato anche lo stesso Verdone in un’intervista che ha accompagnato l’uscita del film “fare i genitori è difficile, è un vero e proprio lavoro, non bisogna solo essere i ‘concierge’ della vita dei figli, ma amici e confidenti; avere la forza e la volontà di trovare il tempo per stare insieme” [1].

E con un mediatore come la Cortellesi (che unisce umanità - nonostante il lavoro “cinico” - e cordialità, ironia ed empatia), forse questo lavoro è anche un po’ più semplice… Film che consiglio, anche per cogliere “sfumature” del lavoro tipico del mediatore…


[1] Carlo Verdone, Zalone ha talento, ma la mia è una comicità… seria, in Best Movie, Febbraio 2014, p. 26

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