giovedì 16 aprile 2015

Nessuno è perfetto... nemmeno noi

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Un post che ho trovato ieri su Facebook mi ha permesso di fare una riflessione sulle modalità che, più o meno consapevolmente, usiamo per comunicare con gli altri. 

Un famoso proverbio cinese recita: “Quando punti il dito per condannare, tre dita rimangono puntate verso di te…”

“Tu sei…”, “Tu NON sei…”; “Tu vuoi…”, “Tu NON vuoi…”; “Tu hai capito…”, “Tu NON hai capito…”Quante volte ci è capitato di dirlo… e quante volte ci è capitato di sentircelo dire. E come ci siamo sentiti quando ci è capitato? Ci vuole poco a capire che, soprattutto nel secondo caso, non l’abbiamo presa bene, o no?


Marshall Rosenberg parlava di “comunicazione ecologica” o "non aggressiva" (Le parole sono finestre - oppure muri, 2003) e per fare questa, diceva, è opportuno usare “messaggi-io” piuttosto che “messaggi-tu”. Ciò significa che è più opportuno dire “ho bisogno di aiuto…” piuttosto che “non mi aiuti mai…”, “mi sento discriminato…” piuttosto che “sei razzista!”. In breve, rivolgere il dito verso se stessi e non verso gli altri. Parlare delle cose secondo il proprio punto di vista, senza puntare quel dito, senza rivolgerlo verso gli altri, appunto…

Puntare il dito, infatti, significa avere un approccio “valutativo” nei confronti degli altri e questo dice poco o nulla su come ci sentiamo e cosa proviamo… non diciamo nulla su cosa provocano in noi i comportamenti degli altri. Queste, in fondo, sono le cose più importanti. Eppure, spesso non lo consideriamo. Valutare gli altri porta le persone a sentirsi attaccate e non a riflettere sui propri comportamenti (anche se fossero davvero "sbagliati", o forse "non adatti?), con tutto il peso “distruttivo” sulla relazione che la difesa (della propria persona, della propria identità, del proprio orgoglio…) comporta. 

Allora, proviamo a rivolgere il dito verso di noi, parliamo di noi stessi, del nostro punto di vista. Lasciamo che gli altri capiscano i nostri sentimenti (e prima ancora che li conoscano)… in questo modo riusciremo, forse, a cogliere anche il peso “costruttivo” della comunicazione e, più in generale, delle relazioni. Non è detto, infatti, che ci riusciremo… ma certo finché questo dito è puntato verso gli altri, non ci riusciremo di sicuro… e questo può essere importante, almeno se la relazione con quella persona specifica (di qualsiasi tipo sia: familiare, amicale, di lavoro, sentimentale, ecc.) “conta”.

Questo, secondo me, è il solo modo per provare a comprendersi. Aprirsi, svelarsi, conoscersi poco a poco, ma senza valutazioni, senza comunicazioni unilaterali, senza cattedre in cui salire. Anche perché, se ci pensiamo, nessuno, a parte a scuola o all’università (ma tanto, ormai, nemmeno più in queste) può permettersi di farlo per dire agli altri cosa sono o non sono… Nessuno è perfetto… ricordiamocelo, la prossima volta che punteremo quel dito.

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