
Interessante post nel blog della Camera di Commercio di Milano che permette di affrontare un tema "caldo", quale quello relativo al tirocinio.
Non sono d'accordo sul numero di fasi (per me quelle "canoniche" restano quattro, anzi una più tre - come nella figura riportata - fermo restando che questo è un argomento che appassiona molto in dottrina, addirittura alcuni autori ne prevedono ben dodici!), ma certo, se c'è una cosa che emerge chiaramente, è che, ai fini della partecipazione dei tirocinanti ai procedimenti di mediazione, ci sarebbe bisogno di maggiore chiarezza da parte del Ministero.
In ogni caso mi domando: perchè verbalizzare il numero e il tipo di fasi se poi l'art. 8.2 del d.lgs. 28/2010 dice che il procedimento di svolge senza alcun obbligo di formalità? E, domanda di carattere più generale, ma perché in Italia riusciamo a rendere tutto così "tecnicistico" e burocratico? Ma pure la mediazione "la dovemo fa' pe' forza strana"? :)
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Di Eugenio Vignali
Quante sono le fasi della mediazione? La Circolare
20 dicembre 2011 del Ministero della Giustizia – Interpretazione e misure
correttive del decreto interministeriale 145/2011 – nel portare chiarimenti
rispetto agli obblighi di tirocinio assistito a carico di ciascun mediatore,
specifica che “il compimento del tirocinio formativo richiede che il mediatore
assista, in modo diretto, allo svolgimento … di taluna delle fasi in cui si
svolge il percorso di mediazione in presenza delle parti (dalla prima sessione
a quella di redazione del verbale conclusivo)” e conclude che “ciascuna fase
del percorso di mediazione costituisce momento utile per il conteggio dei venti
casi di mediazione da attuare nel biennio” e che “costituisce partecipazione
anche la sola presenza ad una singola fase di cui si compone il percorso di
mediazione“, potendosi ritenere che i termini “fase” e “sessione” siano utilizzati
alternativamente.
Questo fondamentale
chiarimento ha portato gli Organismi di Mediazione a specificare in vario modo
già nel verbale conclusivo, a beneficio dei mediatori tirocinanti presenti, che
“sono state svolte le seguenti fasi del procedimento di mediazione: (segue
elenco delle fasi svolte)” e anche la certificazione loro rilasciata riporta
ora il dettaglio delle fasi effettivamente svolte.
Mancando nelle
indicazioni ministeriali l’elencazione “ufficiale” delle fasi in cui si
dovrebbe articolare il procedimento di mediazione, vi è la tendenza ad assumere
come dato di fatto e riferimento “dottrinale” quanto la quasi totalità dei
testi e manuali sulle tecniche di mediazione pubblicati in Italia in effetti
propone come suddivisione teorico/pratica dello svolgimento della procedura,
ovvero (in sintesi): fase introduttiva di presentazione (o monologo del
mediatore); fase congiunta di discussione fra le parti; fasi di approfondimento
in incontri riservati fra il mediatore e ciascuna delle parti (caucuses); fase
conclusiva di discussione e redazione del verbale di mediazione con eventuale
accordo allegato. Dunque, la sostanziale uniformità della proposta metodologica
sembra costringere la suddivisione dello svolgimento della mediazione lungo un
unico binario composto di quattro fasi.
Il numero e il nome di
queste ripartizioni di un continuum procedurale, compreso fra i due estremi
dell’inizio e della conclusione, sono tuttavia definiti dagli arbitrari criteri
di riferimento a ciò utilizzati e possiamo dunque chiederci se sia ipotizzabile
un modello di mediazione che si sviluppi attraverso una serie di fasi
diversamente strutturate per numero e denominazione. La suddivisione sopra
esposta sembra considerare ad esempio il ruolo attivo delle parti e la loro
interazione, per cui in un modello semplificato risultano:
- prima fase in cui
interviene solo il mediatore;
- seconda fase in cui
intervengono il mediatore e le parti congiuntamente;
- terza fase in cui
interviene il mediatore e ciascuna parte singolarmente (caucuses) anche in più
incontri ripetuti;
- quarta fase in cui
intervengono il mediatore e le parti congiuntamente.
Già questo modello può
presentare varianti di combinazioni se alterniamo più incontri riservati con
sessioni congiunte prima di quella finale, oppure se si incontrano
separatamente anche i legali che accompagnano le parti, ecc.
In alternativa potremmo
considerare ad esempio l’aspetto negoziale dell’incontro e individuare così le
seguenti fasi:
1 esposizione
delle posizioni iniziali;
2 elicitazione
degli interessi reali;
3 ricerca delle
soluzioni alternative;
4 negoziazione
conclusiva.
In considerazione
dell’obiettivo formativo per il tirocinante sembra però ragionevole
considerare il ruolo del mediatore all’interno del procedimento e dunque:
fase uno, il mediatore introduce
il procedimento;
fase due, il mediatore ascolta
le posizioni delle parti, guidandole nell’esposizione degli argomenti, e
le riassume;
fase tre, il mediatore
approfondisce con ciascuna parte le singole posizioni e ricerca con loro i
reali interessi;
fase quattro, il mediatore guida il
confronto fra le parti sui loro reali interessi aiutandole eventualmente nella
ricerca di una soluzione condivisa;
fase cinque, il mediatore procede
alla formalizzazione dell’accordo raggiunto e alla redazione del verbale.
Come appare evidente,
anche in questo caso le singole fasi potrebbero essere oggetto di ulteriori
divisioni, ad esempio la fase due potrebbe scindersi nella esposizione
delle parti e nella sintesi del mediatore, e la fase quattro vedere un momento
di confronto sulle proposte emerse dalle sessioni riservate formalmente
distinto da quello della ricerca di possibili soluzioni alternative (per cui il
mediatore applica tecniche ad hoc). Lascio al lettore
continuare l’esercizio di individuazione di macro e micro-fasi variando i
possibili parametri di riferimento.
Una scorsa veloce alla
letteratura anglosassone in tema di mediazione propone modelli a quattro,
cinque, sei e perfino sette fasi, considerando, ad esempio, anche la fase di
pre-mediazione, da noi normalmente amministrata dalla segreteria
dell’organismo, ma oltre oceano gestita invece dallo stesso mediatore
attraverso colloqui preliminari con le parti, l’invio e la raccolta di
questionari, ecc.
Una vera e propria sfida
a superare il modello “a fasi” viene poi da approcci alla mediazione diversi da
quello tradizionale e prevalente di tipo problem-solving, quale è ad esempio
quello della Mediazione Trasformativa. Secondo la visione
trasformativa il conflitto fra le parti è in realtà un momento di crisi nella
loro interazione e dunque l’intervento di ADR non è più immaginato come una
parentesi a sé stante nella vita degli individui, con un inizio e una
conclusione definiti e limitati dall’azione del mediatore finalizzata a
consentire loro di trovare una soluzione alla specifica controversia, ma questa
figura terza si fa invece carico di un prima, e soprattutto di un dopo, che
estendono l’orizzonte temporale del suo intervento oltre lo svolgimento del
mero procedimento, incidendo sulla capacità soggettiva delle parti di
affrontare in generale le questioni della vita, fra cui anche le liti di tipo
“commerciale” come potrebbe essere quella che le ha portate davanti a lui. Questo particolare
approccio lascia molto spazio alle parti nella scelta degli argomenti di cui
discutere, delle modalità e dei tempi di svolgimento dell’incontro, tanto da
vedere più diluiti e sfumati i contorni delle fasi così come descritte
precedentemente. Addirittura esso si qualifica come un processo interattivo
“circolare” rispetto a quello “lineare” classico e la suddivisione in sessioni
ne risulta dunque più arbitraria e meno formalizzabile.
In conclusione, senza
voler entrare ulteriormente nel confronto fra i diversi approcci alla
mediazione, ciò che voglio evidenziare è la obiettiva arbitrarietà dello
scegliere di definire in modo categorico quante e quali sono le fasi o sessioni
della procedura e i rischi sostanziali connessi al vincolare il mediatore al
loro rigoroso rispetto, senza permettergli, invece, di partecipare inter-partes
(e non super-partes) ad un percorso più fluido e dai contorni definiti solo dal
divenire della interazione fra le parti stesse. Ciò è forse più facile
da realizzare se si supera una visione “tecnicistica” del fine della mediazione
permettendo invece al mediatore di perseguire nella massima libertà di azione
il proprio scopo “facilitativo”, magari all’interno della più ampia visione
trasformativa, ma non solo.
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