domenica 20 ottobre 2013

Come talk to me… ovvero come parlare della difficoltà di comunicare attraverso la splendida canzone di Peter Gabriel


Questa splendida canzone di Peter Gabriel mi ha "ispirato" una riflessione sulla difficoltà di comunicare. Forse è solo un delirio da sabato pomeriggio o forse è un modo per guardare alle relazioni interpersonali (e per guardarsi dentro) e cercare di capirne un po' di più sulla capacità di comunicare ricorrendo a un "intreccio" tra spunti per la formazione, la musica e i video...

Della canzone ne ho parlato lunedì 21 ottobre, durante la mia trasmissione GODOT PRIDE, in onda su www.radiogodot.net (link per ascoltare il podcast - della canzone ne parlo da 1.45.15 a 1.55.00). Il mio contributo è stato anche pubblicato su L'Altra pagina...

Ho sempre cercato di unire in un unico intreccio le cose che mi piacciono di più, ossia la formazione sulla gestione dei conflitti, i video e la musica e cercando sempre ispirazione per portare in aula spunti derivanti dall’intreccio di questi mondi (soprattutto la musica, visti i miei trascorsi), sto anche preparando un elenco i canzoni che trattano il tema della comunicazione e della gestione dei conflitti per farne un giorno, chissà, amari anche una pubblicazione (e visto che nel frattempo ne sto preparando una sui film). In ogni caso, tempo al tempo...

E d’improvviso un sabato pomeriggio (a proposito di canzoni, sembra il titolo della famosa canzone di Claudio Baglioni) ecco che mi viene in mente una delle più belle canzoni di Peter Gabriel, Come talk to me, che peraltro ho risentito dopo un po’ di tempo grazie all’album And I’ll scratch yours uscito da poco, nel quale grandi artisti “rileggono” alcuni grandi successi del musicista e polistrumentista inglese.

Curioso mi metto a risentire il testo e scopro che la canzone tratta il tema dell'incomunicabilità tra uomo e donna, tema trattato anche attraverso libri (mi viene in mente il best-seller Gli uomini vengono da Marte e le donne da Marte di John Gray - Sonzogno, 1992 - che la mia amica Alessandra mi aveva consigliato qualche mese fa e che io ho provveduto a rimettere nello scaffale dopo aver letto qualche pagina e aver constatato che io di donne non ne ho mai capito nulla o quasi...) e trattato anche in alcuni films, ricorderete Hitch, lui sì che le capisce le donne, del 2005, in cui Will Smith fa la parte del “Dottor Rimorchio”, ossia di una persona che di professione aiuta gli uomini a conquistare le donne di cui sono innamorati, salvo dover sfidare i suoi convincimenti quando si trova a gestire la sua vita sentimentale attraverso le strategie e tecniche che proponeva ai suoi clienti.

In Come talk to me Peter Gabriel affronta il problema dell’incomunicabilità tra uomini e donne scavando in profondità nelle contraddizioni e nei condizionamenti che tutti noi abbiamo. E' il brano che apre il suo sesto album, Us, peraltro dedicato interamente alle problematiche che riguardano la vita di coppia e il rapporto con l'altro sesso. Un lavoro non facile ma che l’artista inglese affronta con grande coraggio e capacità introspettiva. Di questa canzone ricordo soprattutto la splendida versione dal vivo (ad es. durante il Secret world Tour del 1993), nel corso della quale Peter Gabriel trova il modo di rappresentare la difficoltà di comunicare tra uomini e donne eseguendo la canzone partendo da una cabina telefonica, di quelle belle rosse che si trovavano in Inghilterra, per esprimere la difficoltà di doversi spiegare senza potersi guardare negli occhi, ma solo usando parole e frasi, magari attraverso quel telefono che può essere uno strumento che avvicina le orecchie delle persone, ma alle volte allontana il cervello ed il cuore delle stesse. 

Anche se durante l'esecuzione Peter Gabriel si avvicina alla sua partner (la bravissima Paula Cole) guardandola negli occhi, in realtà è come se la immaginasse, restando sempre aggrappato alla cornetta (il cui filo fatica a tirare e che lo riporta inesorabilmente al punto di partenza, nemmeno fosse una versione bizzarra e sentimentale di Monopoli) ad una comunicazione, un contatto, che in realtà non si realizzerà, perchè forse, anche se non vorremmo, restiamo prigionieri di noi stessi, delle nostre barriere, delle nostre difese e perché no, anche dei diversi modi di interpretare le cose, di sentirle, per differenze biologiche ma anche culturali e legati all’educazione. Ecco, l’intreccio si è così compiuto... formazione sulla comunicazione, musica e video si sono uniti insieme per dare vita a qualcosa di senso compiuto affinché parlare di qualcosa (attraverso media diversi) sia davvero un modo per dare una rappresentazione esaustiva del problema, ma soprattutto per cercare (e trovare?) un modo possibile per risolverlo. 


E allora direte voi? Di fronte al problema dell’incomunicabilità, comprendersi equivale a una Mission impossibile (dal titolo della serie di film con protagonista Tom Cruise)? No, tuttavia è opportuno acquisire la consapevolezza che tra di noi esistono profonde differenze ed accettare di gestirle senza considerarle come ineluttabili per imparare a rispettarci, ascoltandoci, utilizzando in modo efficace il tempo in cui l’altro o l’altra ci parla per ascoltare quello che dice e non per prepararci mentalmente a rispondere a qualcosa che in effetti abbiamo solo presunto, al massimo sentito, ma non certo ascoltato... e questo vale soprattutto per noi uomini che, e qui parlo in generale, dobbiamo essere più pronti ad ascoltare, a sospendere valutazioni e giudizi, per accogliere l’altro perché alle volte le persone vogliono solo essere ascoltate e non vogliono vedersi “appioppare” soluzioni-stile piatti pronti da utilizzare alla bisogna, quasi fosse una condizione informatica “if x, then y”.



Dal testo della canzone prendo solo una delle ultime strofe molto significativa...
“Posso immaginare quel momento, che esce fuori attraverso il silenzio
con tutte le cose che noi potremmo dire, in modo che il cuore non sia negato
Fino a che saremo entrambi su questo stesso maledetto lato
e tutte le barriere saranno spazzate via”.

E mi piace pensare che Peter Gabriel sia ben consapevole della limitatezza del suo punto di vista, in quanto frutto di un unico modo di pensare, ed anzi vuole anche sottolineare che questo è il punto di vista di un uomo in crisi che vuole ritrovare se stesso mettendosi in gioco. Ora, la mia domanda è: quante sono le persone (e quanti sono gli uomini) realmente disposte a mettersi in gioco? Perché fare questo significa rendersi conto di essere vulnerabili e perdere i propri riferimenti sicuri per arrivare tuttavia ad un grado di conoscenza di sè stessi (e degli altri) superiore. Conoscersi fa sempre correre dei rischi, perché come diceva Lello, il personaggio interpretato da Lello Arena in Ricomincio da tre (famoso film del 1981 del compianto Massimo Troisi), “Chi parte sa da cosa fugge ma non sa che cosa cerca”, ma non possiamo farne a meno se vogliamo andare avanti...

Vorrei dedicare questa mia breve riflessione (chissà che non sia solo l’ennesimo delirio) e la bellissima canzone di Peter Gabriel, a mia moglie, alle mie amiche ed a tutte le donne che, in un modo o nell’altro, hanno accompagnato un tratto più o meno lungo e più o meno accidentato della mia vita... perché visto che alcune di loro mi hanno anche detto talvolta di essere un bravo ascoltatore, mi piace pensare che allora lavorando su sè stessi alla fine magari si riesce anche ad arrivare a delle conclusioni positive... e di questi tempi, tutto sommato mi sembra un buon risultato, anche se qualcuno continua a voler sminuire “le magiche tecniche di negoziazione” (che poi tanto magiche non sono, se ci pensiamo, ma assolutamente “logiche”, di una logica razionale e, soprattutto, emozionale). E poi in fondo la strada per diventare guru (e mediatori) passa anche attraverso la rinuncia alle proprie certezze, o no?

Buona riflessione e buona musica a tutti, perché è anche del recupero di esse che abbiamo bisogno...
Stefano

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