Da Blog Conciliazione (5 maggio 2013 - link), un bel post per fare il punto della situazione sulla mediazione.
Ribadisco in questa sede ciò che dico da diverso tempo, ossia che auspico caldamente che si metta mano al "sistema mediazione" nel suo complesso per "ripensarlo", anche alla luce dell'esperienza di questo biennio. Tuttavia ritengo che tali riflessioni non vadano nel senso di rendere la mediazione "una riserva limitata" solo ad alcune professionalità o ai soli enti pubblici.
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L’Italia ha finalmente un governo e conseguentemente un nuovo Ministro della Giustizia. Da parte del mondo della mediazione l’attesa è tanta; la sentenza 272/2012 della Corte Costituzionale ha lasciato le cose a metà, consegnando alla storia un’esperienza di mediazione obbligatoria sui cui esiti ancora si discute. Nel frattempo, oltre a circolare proposte e suggerimenti di vario tipo, si sono espressi i Saggi.
Cosa succederà adesso? La saggezza popolare suggerisce che occorre guardare al passato per capire cosa ci attende nel futuro e, in questo caso, è al passato prossimo che puntiamo lo sguardo. Infatti, diverse azioni propulsive provenienti dall’UE, da associazioni di categoria e, non da ultimo, dagli apporti degli “addetti ai lavori” del settore giustizia, hanno “seminato” il campo con idee favorevoli all’ampliamento dell’utilizzo degli strumenti alternativi al giudizio e, in particolare, con l’utilizzo della mediazione civile.
Per citarne alcuni, pensiamo all’Audizione del Vicepresidente di Confindustria, Aurelio Regina, sul d.l. 18 ottobre 2012, n. 179 (c.d. decreto crescita) nella quale aveva persino risaltato gli effetti positivi dell’obbligatorietà quale mezzo utile a “diffondere la conoscenza degli strumenti ADR” sottolineando come, nonostante la breve applicazione della stessa, i risultati raggiunti fossero degni di nota. Infatti, per le mediazioni avviate nel periodo intercorrente tra marzo 2011 e ottobre 2012, il 77% è stata frutto di questo obbligo e la metà di questi procedimenti ha avuto esito positivo. Lo stesso Vicepresidente aveva poi sottolineato come un maggiore utilizzo degli strumenti ADR avrebbe portato al deflazionamento del numero delle controversie che subiscono i tribunali e che ciò avrebbe comportato notevoli conseguenti benefici per la competitività del Paese.
Altra spinta orientata in tale direzione è avvenuta dapprima con il quadro di valutazione UE della giustizia, strumento della Commissione UE che si occupa di promuovere una giustizia effettiva e la crescita, nel quale è stato osservato e sottolineato come l’utilizzo di strumenti ADR comporterebbero una “rapida risoluzione del contenzioso tra le parti”, riducendo così il numero delle cause pendenti e, conseguentemente, il carico di lavoro dei tribunali.
Sempre sul fronte internazionale, è da sottolineare, come già riportato in questo blog, che il 12/3/2013 sono state approvate dal Parlamento Europeo la Direttiva sulla risoluzione alternativa delle controversie per i consumatori (Alternative Dispute Resolution o ADR) e il Regolamento relativo alla risoluzione alternativa delle controversie per i consumatori (Online Dispute Resolution o ODR) di cui la prima ha imposto agli Stati membri di prevedere organismi ADR per tutti i settori di attività e il secondo ha predisposto l’adozione di una piattaforma web che smisterà i complaints agli organismi che offrono ADR a livello nazionale.
Infine, per quanto riguarda l’apporto di soggetti autorevoli vi è da sottolineare quello del Vicepresidente del CSM, Dott. Michele Vietti, che nel suo libro “Facciamo giustizia” (UBE 2013,) pone particolare attenzione ai riti alternativi quali strumenti da adottare per alleggerire l’enorme mole di domande che affluiscono in Tribunale ed evitare così l’effetto “ingolfamento”. Nello specifico, con uno sguardo al sistema nordamericano, occorre secondo lo stesso autore, effettuare una valutazione costi/benefici nella scelta dei casi da portare in Tribunale, lasciando alla mediazione quelli per i quali si potrebbero ottenere risultati in tempi molto più celeri e con costi nettamente inferiori in termini di risorse economiche, umane e organizzative.
Da ultimo il più recente intervento, riportato in un articolo del Sole24ore, di Giovanni Maria Flick (magistrato, avvocato e professore), il quale aveva già affrontato problemi inerenti l’inefficienza del giudizio civile nell sua veste di Ministro della Giustizia del governo Prodi negli anni ’90. In particolare, anch’egli evidenziava come il miglior modo di far fronte ad una risposta inadeguata, rispetto all’eccessiva domanda giudiziaria e all’inadeguata offerta di giustizia all’interno dei tribunali, era quella di incrementare e promuovere l’adozione di strumenti ADR come la mediazione.
Tutte queste attività, dunque, rappresentano un “tracciato” che porta in una direzione sia nazionale che transnazionale orientata ad un implemento dello strumento della mediazione, sebbene rivisitato, e non resta che aspettare di vedere le intenzioni del nuovo Ministro.
Sono d'accordo Stefano.
RispondiEliminaMa il problema è capire quale tipo di mediazione abbiano in testa queste persone.
:-(
Giuseppe, sono perfettamente d'accordo... anzi ti dirò che la "vera" partita secondo me non sarà tanto tra sostenitori e critici verso la mediazione, ma all'interno dello stesso fronte dei "presunti" sostenitori...
Eliminaps Tuttavia ci tengo a sottolineare che il mio è un discorso in generale, che si basa su alcune cose che sto leggendo in questo periodo, e non si riferisce, nello specifico, a Blog Conciliazione, emanazione della Camera arbitrale di Milano...
RispondiEliminaMoltissimi dei mediatori che non sono contestualmente avvocati, grazie ad una breve indagine sul web, sono del parere che anche in questo ultimo Decreto del fare siano stati inseriti, all’interno della normativa che regola l’Istituto della mediazione civile, “concetti giuridici”, come del resto sono già presenti in tutta la normativa che regola l’Istituto della mediazione, che non appartengono alla “DISCIPLINA DELLA MEDIAZIONE” e che impediscono, così, all’Istituto di essere realmente funzionale: primo fra tutti vi era, e vi è, il ruolo valutativo del mediatore nel formulare la proposta conciliativa che lo assimila ad un “arbitro”; forse è meglio che questa asserzione la esplicitiamo con un semplice esempio, uno sui tanti che si potrebbero esporre.
RispondiEliminaEsempio: oggi, con il c.d. Decreto del fare, al comma 1 dell’art. 8 del D. Lgs. 180/2010 si prevede “… un primo incontro di programmazione, in cui il mediatore verifica con le parti le possibilità di proseguire il tentativo di mediazione”.
Tutti noi mediatori sappiamo che la maggior parte dei conflitti nasce per la mancanza di dialogo tra le parti, e prendiamo questo come un assioma.
Sappiamo che appena generatosi il conflitto le informazioni a disposizione dei belligeranti sono estremamente scarse; al primo incontro, in sede di mediazione, lo stesso mediatore ancora non può effettuare nessuna indagine “seria” sugli interessi o sulla natura del conflitto (non c’è tempo) e, se sono presenti dei delegati, non può ancora dissipare in loro alcun dubbio relativo al conflitto o, in ogni caso, non può sviluppare il dialogo tra le parti arricchendo il procedimento di informazioni di ogni genere e, quindi, non c’è tempo a disposizione per elaborare e sviluppare soluzioni alternative, sostanzialmente, il mediatore non può verificare con le parti se è possibile un tentativo di mediazione.
In sede giudiziale al primo incontro si prende conoscenza delle “posizioni” e si verifica se è possibile “transare”, cioè si verifica se è possibile trovare un punto di equilibrio tra queste; spesso la “transazione” conduce ad un fallimento della trattativa poiché è un paradosso (dal punto di vista dei mediatori) pensare di risolvere un conflitto sulla base degli stessi elementi che lo hanno generato, ossia, sulle poche informazioni ancora a disposizione.
Pertanto, ciò premesso, riferendoci al comma citato sopra, al primo incontro sarà possibile verificare se esiste un punto di equilibrio tra le posizioni, se è possibile “transare”, MA non sarà certo possibile verificare se portare avanti un tentativo di mediazione che richiede necessariamente il ripristino del dialogo, l’arricchimento d’informazioni (che possono essere anche documenti, prove, verifiche, accertamenti, ecc.), che trascende le posizioni iniziali e le questioni di diritto palesate.
Anche in questo caso si ritiene che siano state inserite metodologie giuridiche nell’Istituto, quelle che applica il G. di P. alla prima udienza per intenderci, probabilmente confondendo la “transazione” con la “mediazione”, appunto, quando si richiede di “verificare con le parti le possibilità di proseguire il tentativo di mediazione” al primo incontro MA così facendo si rende completamente inefficace il procedimento: non si tiene conto della “disciplina della mediazione”.
Ebbene: il parere pressoché unanime di molti di quei mediatori, che non sono contestualmente avvocati, è sostanzialmente che con questo decreto abbiamo cancellato la “mediazione” sostituendola con l’Istituto della negoziazione assistita (il verbale d’accordo lo possono oggi solo firmare gli avvocati) e ridotto il procedimento di mediazione ad una “mera udienza preliminare a quella di causa” dove si potrà valutare solo se si trova un punto d’equilibrio tra le posizioni. A questo punto ci si domanda: cosa di tutto ciò ha a che fare con il ripristino del dialogo, con l’acquisizione d’informazioni, con l’indagine sugli interessi, cosa rimane di quello che era un sistema ALTERNATIVO alla Giustizia? La risposta di costoro è: ASSOLUTAMENTE NULLA!