mercoledì 29 febbraio 2012

Quale formazione per i mediatori?


«Prima di sedersi al tavolo per negoziare,
dico sempre al mio team:
che cosa avete voglia di imparare oggi?»
(Richard Holbrooke) (1)

Nel dibattito sulla mediazione civile e commerciale nel nostro paese, uno dei principali temi di riflessione rappresenta la formazione del mediatore, terzo esterno alla controversia, indipendente, imparziale e neutrale (2), che costituisce l’elemento intorno al quale si muovono le dinamiche facilitative, relazionali e di contenuto che avvengono tra le parti nell’ambito del procedimento.

I requisiti formativi nella normativi europea ed italiana
In realtà la formazione dei mediatori è oggetto di particolari attenzioni anche nella normativa europea. Infatti, già il Libro Verde del 2002 aveva sottolineato che la padronanza delle tecniche essenziali alle Alternative Dispute Resolution (ADR) richiedesse una solida formazione. Inoltre la Direttiva comunitaria 2008/52/CE ha evidenziato l’importanza di un’adeguata formazione del mediatore, considerato il mezzo necessario per arrivare a una piena efficacia della mediazione. Il principio è ribadito nel “Codice europeo di condotta dei mediatori” del 2004 che ha dedicato l’intero art. 11 alla competenza e alla conoscenza del procedimento da parte di chi svolge attività di mediazione (3).
Per quanto riguarda invece la normativa italiana, l’art. 4.4.a del DM 222/2004 ha disciplinato i requisiti professionali dei conciliatori: infatti, fatta eccezione per i professori universitari in discipline economiche o giuridiche, i professionisti iscritti ad albi professionali nelle medesime materie con anzianità di iscrizione di almeno quindici anni e i magistrati in quiescenza (i c.d. “conciliatori di diritto”) per gli altri era necessario il possesso di una specifica formazione acquisita tramite la partecipazione a corsi di formazione tenuti da enti pubblici, università o enti privati accreditati. Il risultato di tale previsione fu che i conciliatori con anzianità “quindicennale” (la maggior parte dei quali all’oscuro, o quasi, delle tecniche di negoziazione) dilagarono con ovvie ripercussioni sulla qualità dei procedimenti. Il decreto dirigenziale del luglio 2006 ha cercato di ovviare a queste difficoltà, stabilendo che i corsi abilitanti all’attività di conciliazione dovevano essere di 40 ore, di cui: non meno di 4 riservate alla valutazione; non meno di 16 alla pratica; per lo meno 32 riservate alla teoria.
Si arriva poi al Decreto del Ministero della Giustizia 180 del 18 ottobre 2010 (d’ora in poi DM 180), che prevede, art. 18.2.f (4), che la formazione dei mediatori (5) debba avere una durata non inferiore alle 50 ore ed essere articolata in corsi teorici e pratici («sessioni simulate partecipate dai discenti») - senza tuttavia indicare per questi ultimi la durata minima - con valutazione finale di almeno 4 ore. Al punto successivo il DM 180 prevede per i mediatori anche un percorso di aggiornamento formativo di durata non inferiore a 18 ore biennali. Infine, l’art. 4.3.b dello stesso decreto (così come modificato dal DM 145/2011) prevede che, nello stesso biennio, il mediatore debba anche partecipare, in forma di “tirocinio assistito”, ad almeno venti casi di mediazione svolti presso organismi iscritti (che nei chiarimenti previsti dalla circolare ministeriale dello scorso 20 dicembre assume le caratteristiche di una specie di “uditorato", nel quale il tirocinante deve limitarsi ad un’attività di osservazione del lavoro del collega senza intervenire, in nessun modo, nella procedura).
Ora, talvolta l’impressione è che il massimo che si riesce a fare in aula non è tanto formare alla mediazione, bensì riuscire ad informare i partecipanti sulla mediazione. Infatti, pur tenendo conto dell’aumento del numero di ore del corso - peraltro minimo - rispetto alla normativa del 2004, accade che, nei programmi proposti dagli enti di formazione, la parte teorica e normativa “assorba” spesso almeno l’80% del totale di ore. Per cui alla parte pratica si finisce per riservare solo un esiguo numero di ore di formazione, di gran lunga insufficiente rispetto alle esigenze dei partecipanti. In più, se consideriamo anche che nelle materie del percorso formativo previste dall’art. 18.2.f del DM 180 trovano poco spazio le tecniche di gestione dei conflitti e le modalità relazionali e comunicative, la provenienza quasi esclusivamente giuridica dei formatori, la mancanza di chiarezza su cosa debba intendersi per formazione teorica e pratica (infatti ogni ente di formazione deve presentare un percorso formativo e di aggiornamento che deve essere autorizzato dal Ministero) la mia impressione è che, alla fine, molti dei programmi sono orientati su una formazione di tipo essenzialmente normativo e di carattere nozionistico.

Quali competenze per i formatori?
Il decreto del 2006 ha stabilito che i formatori fossero persone «in possesso dei requisiti di qualificazione professionale dei conciliatori» e che avessero «maturato esperienza almeno triennale quali docenti in corsi di formazione nelle materie giuridiche o economiche». «In sostanza docenti universitari in diritto processuale civile, canonico, internazionale privato o esperti nella teoria neoclassica della determinazione del prezzo in un mercato in equilibrio perfetto» (6). La domanda è: Quanti di loro avevano sentito parlare di empatia, ascolto attivo e dinamiche della facilitazione (tanto per fare qualche esempio sugli argomenti relazionali e comunicativi) e/o di interessi e posizioni, migliori alternative all’accordo negoziato, creazione di opzioni negoziali, fasi della procedura di mediazione (sempre in tema di esempi, riguardo gli specifici argomenti relativi a negoziazione e mediazione), ma soprattutto... quanti di loro erano esperti negli aspetti legati alla gestione delle dinamiche d’aula?
Il mio timore, anche alla luce della mia esperienza come formatore accreditato presso il Ministero della Giustizia, è che queste domande possano essere considerate valide anche alla luce della normativa attuale, che ha certamente innalzato i requisiti dei docenti (7), ma che tuttavia non risolve le perplessità riguardo la definizione delle competenze dei formatori, dando per scontato che le docenze fatte (anche poche, visto che non è previsto un numero minimo) comportino automaticamente l’acquisizione di competenze di gestione d’aula.
Gli enti di formazione cercano sempre di “strutturare” il corso in maniera tale da utilizzare i “docenti giusti al posto giusto” (il Ministero della Giustizia ha sottolineato che siano previsti almeno due diversi docenti: uno per la parte teorica e uno per quella pratica (8)). Tuttavia, alle volte si assiste ad un eccessivo “frazionamento” del corso, nel senso che nell’ambito delle 50 ore si registra un vero e proprio “valzer” di docenti, con evidente mancanza di continuità (infatti interviene l’esperto di normativa, quello di tecniche di comunicazione, quello di metodologie di mediazione, quello di tecniche di mediazione, l’esperto in PNL, ecc.). In ogni caso questo non elimina la questione di fondo, ossia: quali specifiche competenze di formazione hanno i docenti sulla mediazione? Infatti, se è vero che in generale parlare di certificazione delle competenze dei formatori è sempre un argomento delicato e particolare, mi sembra, onestamente, che manchino specifiche competenze di gestione dei processi formativi.
Infatti, vedo in giro troppi colleghi preoccupati unicamente di reperire “batterie di slides da mostrare in sequenza”, senza un’adeguata analisi sulla progettazione dell’intervento formativo o  su quali potrebbero essere gli strumenti utilizzare (spezzoni di filmati, role-play, esercitazioni, lavori di gruppo, ecc.). Inoltre, ci si preoccupa ancora poco di “lavorare” sul gruppo di partecipanti, sul clima d’aula, sul necessario coinvolgimento di tutti, a partire dalle loro specifiche esigenze e così via. In breve - anche confrontandomi con diversi colleghi - la mia impressione è che, in generale, i docenti sulla mediazione civile e commerciale (teorici o pratici che siano) in realtà siano più “esperti dei contenuti” che formatori veri e propri (e comunque poco esperti nei processi formativi). Peraltro, nei requisiti del DM 180 non si parla di un numero minimo di ore di docenze effettuate, per cui, in linea teorica, è sufficiente che qualcuno abbia modo di partecipare a qualche convegno come relatore (soprattutto se organizzato da enti riconosciuti) per acquisire il requisito delle docenze.
Tutto ciò, a mio avviso, può incidere molto sulla qualità dei corsi (e quindi sulla preparazione dei mediatori e di conseguenza sulla qualità delle procedure di mediazione), anche in considerazione del fatto che ai corsi partecipano persone con background i più diversi tra loro (9) e la capacità di facilitazione e di gestione dell’aula diventa una sfida - anche per i formatori con grande esperienza - e un vero e proprio valore aggiunto. Infatti, se è vero che in questo primo anno di corsi le aule potevano dirsi più o meno omogenee (poiché la maggioranza dei partecipanti aveva una preparazione giuridica, 2 su 3 secondo le statistiche), oltre che piene fin quasi alla massima capienza potenziale di 30 persone - stabilito sempre dal DM 180, è altrettanto vero che i partecipanti ai corsi hanno competenze e professionalità diverse (commercialisti, ingegneri, geometri, medici, psicologi, sociologi, ecc.) e l’esigenza di “personalizzare” diventa al tempo stesso sempre più pressante e sempre più difficile.

Conclusioni
Concludendo, alla luce dell’esperienza acquisita alla luce del DM 180, è possibile disegnare uno scenario per la formazione sulla mediazione? Intanto, tracciando un bilancio che sia il più possibile oggettivo, direi che, nonostante le difficoltà, se valutiamo con l’occhio rivolto al passato non possiamo non constatare comunque un miglioramento nella definizione dei requisiti e delle caratteristiche della formazione per i mediatori (per es. non ci sono più i “conciliatori di diritto” ed è stato allargato il campo dei potenziali mediatori - anche se quest’ultimo punto è stato oggetto di critiche per la mancanza, almeno stando all’opinione di alcuni, delle “necessarie” competenze giuridiche) e nella definizione dei requisiti per i formatori (per i teorici è stato previsto un numero minimo di contributi scientifici e per i pratici un numero minimo di mediazioni svolte).
In futuro auspico che, come miglioramento della situazione attuale, anche la formazione diventi un oggetto di attenzione specifica da parte del Ministero, soprattutto dal punto di vista di una migliore qualificazione professionale dei docenti, così come d’altra parte sta avvenendo anche per i mediatori. In fin dei conti la crescita degli attori principali del processo di formazione (nei quali consideriamo, ovviamente, anche gli enti di formazione e i Responsabili scientifici), può creare efficaci sinergie in vista delle crescita dell’intero sistema della mediazione. In tal senso un’occasione opportuna sarà sicuramente fornita dalla risoluzione 2011/2026 del Parlamento europeo (della metà di settembre) che ha sottolineato l’importanza di definire standard di qualità per la formazione dei mediatori e il loro accreditamento nell’Unione. La speranza è che, alla luce dell’esperienza maturata in questo primo periodo, questa “sensibilità” sulla formazione a livello europeo trovi il nostro paese pronto a fare il passo successivo. 
L'articolo, in parte "riarrangiato" dalla redazione, è stato pubblicato nel numero di febbraio di AIF Learning News (anno VI, n.2), rivista on-line dell'Associazione Italiana Formatori.
Note:
(1) Kohlrieser, La scienza della negoziazione, Sperling&Kupfer, Milano, p. XXII.
(2) Che significa assenza di legami e di interessi con le parti e assenza di interessi nei confronti dell’esito della controversia.
(3) «Elementi rilevanti comprendono una formazione adeguata e un continuo aggiornamento della propria istruzione e pratica nelle capacità di mediazione [...]».
(4) L’art. 18 fa parte del Capo V, che riguarda anche gli Enti di formazione (che organizzano gli interventi di formazione per i mediatori) e i Responsabili scientifici (che hanno il compito di garantire l’idoneità dell’attività svolta dagli Enti di formazione). Tuttavia in questo articolo preferisco limitare la mia attenzione ai requisiti di formazione ed i formatori, preferendo approfondire gli aspetti legati agli Enti di formazione ed ai Responsabili scientifici in altra sede.
(5) Si parla di mediatori e non di conciliatori poiché il DM 180 (e prima ancora il d.lgs 28/2010) ha introdotto la distinzione tra mediazione e conciliazione, intendendo con la prima il procedimento e con la seconda l’esito positivo del procedimento. Tuttavia, nella pratica, mediatore e conciliatore sono utilizzati ancora come sinonimi.
(6) Matteucci, Mediazione avanti tutta. Ma... la formazione?, in Altalex, 3 gennaio 2012, Link: www.altalex.com/index.php?idstr=24&idnot=16703&mid=56.
(7) Per i docenti “teorici”, la pubblicazione di almeno tre contributi scientifici in materia di mediazione, conciliazione e risoluzione alternativa delle controversie; per i docenti “pratici”, aver svolto almeno tre mediazioni; per tutti i docenti, aver svolto attività di docenza in corsi o seminari in materia di mediazione, conciliazione e risoluzione alternativa della controversie presso ordini professionali, enti pubblici o loro organi, università pubbliche o private riconosciute nazionali o straniere (art. 18.3.a del DM 180).
(8) Vedi FAQ del Ministero: https://www.giustizia.it/giustizia/prot/it/mg_3_4_15.wp?tab=f.
(9) L’art. 4.3 del DM 180 stabilisce che per diventare mediatori è necessario un titolo di studio non inferiore alla laurea triennale o, in alternativa, essere iscritti a un ordine o a un collegio professionale.

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