giovedì 5 novembre 2015

La multiculturalità... integrarsi, per non disgregarsi

Foto scattata allExpo, padiglione dell'Austria
Nella puntata di lunedì scorso di Così parlò Cerathustra 2.0 abbiamo parlato della multiculturalità (link al podcast). 

Sono state quasi due ore di riflessioni sulla multiculturalità, scaturite dalla visita all’Expo che ho fatto la scorsa settimana. 

Sulle note della splendida La tierra del olvido, di Carlos Vives, nel mio monologo finale ho voluto tratteggiare i contorni del mio significato di multiculturalità. Riporto di seguito l’intervento… lo trovate a partire da 1h37’15”.



Il contatto con gli altri, con persone e culture apparentemente distanti anni luce… E ti scopri a ballare al ritmo di una salsa colombiana, anche se a te questa musica non è mai piaciuta… ma la musica è sempre musica, sempre sette note sono… è sempre vita, è sempre pulsare del sangue nelle tue vene.

Ed allora pensi che, in fondo, anche per le culture è così… differenti magari, sconosciute forse, ma sempre frutto del pensiero, delle emozioni e della vita delle persone. Come puoi giudicare qualcosa che non conosci? Come puoi dire che qualcosa sia “meglio” e altro “peggio”? Perché prima di parlare non approfondiamo quello di cui parliamo, a volte con troppa superficialità?

Ecco, questo per me è stato l’Expo… non entro nelle polemiche pro e contro la manifestazione… stasera voglio pensare che sia importante uscire da un padiglione, che in fin dei conti rappresenta tutto un mondo, per abbracciarne subito un altro. Mondi che esistono, sono presenti lì davanti a noi e che hanno tutti uguale dignità. Senza distinzioni, perché un paese conta come gli altri… certamente ogni paese è diverso, ma - in fin dei conti - sono tutti uguali perché tutti hanno una forte identità e una grande tradizione, perché rappresentano un popolo, un paese, qualcosa di vero, autentico, un senso di patria e di nazione… chissà, come quella patria e quella nazione che in Italia, storicamente, forse non abbiamo mai avuto granché, se non nella mente e nel cuore di quei patrioti che nell’800 pensavano ad un’entità di sogno, chiamata Italia.

La metafora del viaggio… bastano davvero pochi passi per rendersi conto di come il mondo, in fondo, sia piccolo… siamo noi, con le nostre paturnie, le nostre differenze, spesso supposte più che reali, a farlo grande, più grande di quanto possiamo pensarlo e di quanto sia effettivamente. 

Basta uscire dalla logica del turista per entrare in quella del viaggiatore… ricordo che anni fa andai in Giordania e ricordo di aver fatto uno dei giri più belli nel paese, quello dei castelli nel deserto vicino la capitale Amman. Di fronte a tutte le mie curiosità e le domande che gli feci, la guida che ci accompagnava ad un certo punto mi disse: “Stefano, tu non sei un turista… tu sei decisamente un viaggiatore!”. 

La guida era un ragazzo giovane che conosceva bene l’Italia, l’aveva visitata parecchie volte e parlava un ottimo italiano… Ora, io non so se fosse stanco di avere qualcuno che gli chiedeva qualcosa cosa… non so se voleva dirmi che ero un rompono di portata cosmica… ovviamente questo non lo so.
Sta di fatto che, indirettamente, mi fece un complimento… non solo perché mi ha detto - e questo è vero - che di un paese io voglio conoscere tutto, per entrare in quella cultura, cominciare a parlare la lingua, anche se non ho la minima idea della struttura grammaticale. Mangiare il cibo locale e non andare all’estero per mangiare italiano e scoprire, magari, che il ristorante italiano è gestito da spagnoli.

Ed il complimento - per me - è stato che delle cose voglio sempre saperne di più, voglio andare a fondo, capire, perché la comprensione è conoscenza, la comprensione è consapevolezza… le sole strade per arrivare all’autonomia della persona.

Ecco, questo è un po’ il significato del metaforico viaggio che l’Expo mi ha permesso di fare, in due giorni…. in poche ore ho fatto il giro del mondo, un giro del mondo dicevo metaforico perché fatto, ancora una volta all’interno di me stesso… il solo possibile, ma che, una volta fatto, ti fa vedere le cose, le situazioni, le persone, in modo completamente diverso…
Poi sì c’è stato il casino, ci sono state le file, c’è stato il festival del business e del consumismo… c’e stato tutto questo, non dico di no… tuttavia tutto questo non può farmi dimenticare la straordinaria opportunità che l’Expo ha rappresentato, di conoscenza delle diverse culture, per me ma soprattutto per mio figlio. 

Perché per qualche mese ogni paese è stato più vicino agli altri e ci ha permesso di vedere il mondo con occhi diversi… E poi, come diceva Marcel Proust, “La vera scoperta non consiste nel trovare nuovi territori, ma nel vederli con nuovi occhi”. Ecco, vedere le cose con nuovi occhi… è stato questo uno degli aspetti del mio viaggio…

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