In questi giorni mi sto
dedicando alla scrittura di un volume sulle tecniche di mediazione, in compagnia di
alcuni ottimi colleghi (spero di darvi presto notizie!), e sto riprendendo alcuni
appunti sul conflitto.
Mi capitano così
sottomano alcune cose che avevo scritto su questo sito a proposito dell'Ubuntu (vedi "Ubuntu,
ovvero l'"arte della reciproca necessità", pubblicato
nel settembre 2011), parola in xhosa (uno dei dialetti sudafricani) che
può essere tradotta con "umanità".
Il concetto rimanda
all'idea di riconciliazione e tolleranza ("Ciò che riguarda te, riguarda
me...", "Una persona è una persona perchè esistono gli altri...")
ed è stato uno dei pilastri fondamentali dell'attività della Commissione di
Verità e Riconciliazione in Sudafrica. E' un concetto che trovo utilissimo per
descrivere "simbolicamente" la mediazione.
Da un contributo sulla
pagina FB di Marco (che ringrazio per lo spunto!) prendo queste sue
considerazioni:
«Una persona che
viaggia attraverso il nostro paese e si ferma in un villaggio non ha bisogno di
chiedere cibo o acqua: subito la gente le offre del cibo, la intrattiene. Ecco,
questo è un aspetto di Ubuntu, ma ce ne sono altri. Ubuntu non significa non
pensare a se stessi; significa piuttosto porsi la domanda: voglio aiutare la
comunità che mi sta intorno a migliorare?»
(Nelson Mandela).
L'ubuntu esorta a sostenersi e aiutarsi reciprocamente, a prendere coscienza non solo dei propri diritti, ma anche dei propri doveri, poiché è una spinta ideale verso l'umanità intera, un desiderio di pace. Viene sfruttato in Sudafrica in una campagna nazionale per la promozione della società.
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