martedì 9 aprile 2013

Mediazione all’interno delle organizzazioni


Da Blog Conciliazione (8 aprile 2013) un post molto interessante di Eugenio Vignali (vedi link) sugli strumenti per la gestione delle controversie all’interno delle organizzazioni. 

Da ex dipendente di una multinazionale mi ci ritrovo in diversi concetti trattati dall’autore ed essi stimolano la mia riflessione sulla “necessità” (per diversi motivi) del recupero della capacità (in azienda) di prevenire le controversie e gestirle, quando insorgono. 

Tuttavia faccio volutamente una provocazione (anzi due...): i manager ed i responsabili di ufficio, unità organizzativa, ecc. sono “pronti” a gestire le persone come un “patrimonio” ed una risorsa per il gruppo e per l’azienda? E le persone sono “pronte” ad essere consapevoli di come anche il singolo possa "fare la differenza”?
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Secondo ricerche pubblicate negli USA, è risultato che circa due terzi  dei problemi di tipo organizzativo nelle aziende derivano non da mancanze nelle capacità o nelle motivazioni individuali, ma da relazioni non ottimali fra i dipendenti, tanto che i manager spendono mediamente un terzo del loro tempo a risolvere i conflitti interni all’organizzazione. Anche per questo motivo, oltre il 90% delle prime mille aziende statunitensi hanno dichiarato di aver fatto ricorso all’intervento di un mediatore per la risoluzione di conflitti interni, con l’obiettivo di migliorare il clima aziendale, risparmiando tempo e risorse. 

Stress,  irritabilità, ansia, alienazione, depressione, burnout, sono solo alcuni degli effetti che il conflitto che si può manifestare ad ogni livello nel luogo di lavoro ha sugli individui. Concretamente, si comincia con la chiusura dei canali comunicativi, con il conseguente blocco dei flussi di informazione e l’emergere di un atteggiamento ostruzionistico, per arrivare ad una reale e concreta difficoltà ad eseguire le proprie mansioni e ad ottenere i risultati perseguiti. I casi più gravi di conflitto possono poi portare al fenomeno del mobbing con i suoi effetti distruttivi sul singolo e sulle dinamiche del gruppo. 

In generale, sulla base della ultradecennale esperienza d’oltreoceano, la mediazione si è rivelata uno strumento molto efficace per il ripristino di un sano clima aziendale e relazionale, attraverso l’introduzione di un procedimento volontario e collaborativo nel quale un terzo soggetto neutrale assiste le parti nella ricerca ed elaborazione di soluzioni che, partendo da elementi sia oggettivi sia soggettivi, contemperino sia i loro reali interessi, sia quelli dell’organizzazione a cui appartengono.

La gestione di tale procedimento può essere incorporata all’interno delle funzioni aziendali, prevedendo uno specifico ruolo nell’organico (usualmente in posizione di staff nell’area della gestione del personale) quale parte del più ampio sviluppo di una cultura aziendale sensibile alla risoluzione dei conflitti interni attraverso strumenti conciliativi e in un’ottica win-win. Ciò comporta la necessità di diffondere fra tutti i dipendenti la conoscenza di strumenti basilari che consentano una prima auto-gestione dei conflitti secondo pochi principi e regole condivisi, per poi ricorrere solo in seconda istanza al responsabile del servizio interno, specificamente formato per assistere le parti quale terzo imparziale e neutrale.

Quando le dimensioni strutturali dell’impresa non consentono di prevedere uno specifico ruolo interno di mediatore delle controversie (come può essere il caso del 95 % delle imprese italiane, che sono sotto i 15 dipendenti) tale funzione può essere delegata ad un professionista esterno, il quale potrà elaborare un progetto di intervento formativo del management e della cultura aziendale,  o, se richiesto, intervenire direttamente a fronte di una particolare situazione creatasi fra due o più soggetti o all’interno di un gruppo di lavoro.

Gli strumenti della mediazione e del conflict management sono particolarmente utili anche nei processi di team-building, nei quali la creazione di un gruppo di persone che condivide una visione e una missione professionale e le motivazioni per perseguirle, deve necessariamente essere supportata dalla capacità dei suoi membri di affrontare e risolvere in modo positivo e costruttivo i conflitti fra di loro. L’azione del mediatore all’interno delle organizzazioni (non solo aziende, ma anche associazioni, ecc.) contiene in sé i valori propri della cosiddetta “giustizia ristorativa” (v. Kidder) che risultano in questo caso particolarmente appropriati ed efficaci in quanto il contesto in cui si opera è quello di una piccola “comunità” con la sua struttura relazionale formale che si sovrappone a quella informale di cui sono portatori i suoi membri.

Pertanto gli aspetti della partecipazione (ovvero il coinvolgimento diretto delle parti ed il ripristino della comunicazione fra di loro), della riparazione (una delle più potenti forme di riparazione sono le scuse) e del reintegro (il reinserimento armonico all’interno del gruppo dopo aver eliminato i fattori di conflitto e riportato equilibrio fra i suoi membri) fanno della mediazione uno strumento sicuramente efficace per risolvere questo tipo di conflitti. 

In pratica l’intervento del mediatore si svolge nelle modalità consuete, dedicando però più tempo all’approfondimento individuale (e separato) degli aspetti soggettivi di ciascuna parte di quanto avvenga normalmente nei caucuses in ambito civilistico-commerciale e magari anche preparando le parti all’incontro con sessioni propedeutiche separate di pre-mediazione (mediation coaching). Non tutte le persone che si trovano in una situazione di conflitto sono infatti pronte per affrontare una mediazione, che, di fatto, si sostanzia in una negoziazione, pur assistita e moderata da un terzo.

Taluni hanno infatti  bisogno di sviluppare alcune abilità personali e (nella mia esperienza) soprattutto di acquisire maggiore chiarezza rispetto alle vere cause del conflitto, ai reali interessi in gioco e alle opzioni alternative. Proprio perché nella maggior parte dei casi gli aspetti prevalenti nei conflitti interni ad un gruppo o ad una organizzazione non sono tanto di tipo oggettivo-quantitativo, ma piuttosto di tipo soggettivo-qualitativo, è necessario che il mediatore amplii il proprio raggio di analisi per includere necessariamente aspetti di ordine psico-emotivo, senza, ovviamente, entrare nel merito di specifiche problematiche personali che devono essere affrontate da ruoli funzionali diversi dal suo.

In conclusione la mediazione all’interno dell’azienda comprende in sé caratteristiche proprie anche del counseling aziendale e persino del coaching, richiedendo al mediatore ulteriori conoscenze e abilità che ne fanno un professionista capace non solamente di aiutare ad elaborare soluzioni pratiche a problemi contingenti, ma di influire profondamente sulla capacità del singolo e dell’intera organizzazione di affrontare anche in futuro simili situazioni di conflitto in modo autonomo e addirittura di prevenirle.

Questo breve accenno alla vasta tematica della mediazione aziendale non include volutamente gli aspetti relativi al rapporto di lavoro fra datore e dipendente, che necessitano di essere trattati separatamente per la delicata e complessa interazione della funzione del mediatore con la normativa sul diritto del lavoro e le recenti riforme in materia.

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