Da Francesco Varanini un bell’articolo sul “ruolo”
del formatore ed ai suoi cambiamenti rispetto alla legge che prevede
l'istituzioni di albi professionali.
All’interno dell’AIF (Ass. Italiana
Formatori, di cui faccio parte come Consigliere del Direttivo del Lazio) è
stato istituito un gruppo di lavoro che sta cercando delle risposte. In ogni
caso, concordo con la proposta di Varanini di mettere a disposizione dei formatori un
albo senza snaturare il nostro essere “altro” rispetto ai “classici” Ordini
professionali.
Di seguito l’articolo…
DOVE STA SCRITTO IL NOME DEI BRAVI FORMATORI
(di Francesco Varanini)
C’è una legge, promulgata in data 14 gennaio 2013,
legge n. 4, che riguarda, tra gli altri, i formatori, e simili figure, coach,
counselor. Il titolo della legge è il seguente: Disposizioni in materia di
professioni non organizzate.
Un’amica mi scrive dicendo che forse sottovaluto
l’importanza di questa legge. “Le amministrazioni pubbliche e anche le aziende
a partecipazione pubblica già cominciano a mettere nei loro bandi che i
professionisti che partecipano devono essere iscritti a uno dei registri delle
associazioni ‘riconosciute’”. “Non essere iscritti significherà spesso non
poter lavorare”.
Non so se se sottovaluto o no la portata della nuova
norma. Penso solo che di fronte a simili norme si debba cercare di dare
risposte ben pensate. Non solo adeguandosi a quella che appare a qualche
esperto l’interpretazione più comune della norma. Ma anche, se del caso,
andandoci a cercare l’esperto che ci aiuti ad interpretare la norma in base ad
una strategia, in base ad un nostro progetto.
Parlo in generale -le professioni e quindi le
associazioni chiamate a gestire un elenco di professionisti sono molte- ma
anche in particolare: mi riferisco ad una professione in cui mi riconosco:
quella del formatore; e ad una associazione cui appartengo: l’Aif, Associazione
Italiana Formatori.
Parto da quello che mi pare lo spirito della norma.
Si vuole garantire la libera circolazione dei professionisti nell’ambito
dell’Europa comunitaria. Si vuole, sopratutto, garantire gli utenti dei
servizi, garantendo loro la qualità e l’esperienze del professionista.
Noto anche una ambiguità, una sottile
contraddizione. E’ comune e giustamente diffusa la critica agli ordini, agli
albi esistenti. Consideriamo tutto ciò una limitazione alla libera concorrenza
ed una difesa di tariffe minime, a danno degli utenti dei servizi. Si ha anche
motivo di sostenere, credo con motivo, che gli albi, gli elenchi, chiamiamoli
come vogliamo, rischiano di negare valore al merito. Si lavora perché si è
iscritti all’albo, non perché si è bravi, non perché si gode di buona
reputazione.
Tutti abbiamo motivo, nell’Italia imbalsamata di
oggi, di considerare dannosi gli atteggiamenti corporativi. Leggo sul
Dizionario Treccani la definizione dell’aggettivo: “in senso polemico e
deprezzativo, riferito ad atteggiamenti e comportamenti di piccoli gruppi
chiusi a difesa dei proprî interessi e privilegi di categoria”.
Ecco, quello che non vorrei è che cadessimo in
questo. Perciò vedo con timore la creazione di un elenco. E credo che la prima
cosa, in assoluto la più importante, siano i criteri in base ai quali si
accolgono i professionisti nell’elenco.
Poiché ritengo che le associazioni perdano senso se
si allontanano dal puro spirito di servizio, vorrei sgombrare il campo
dall’idea che la costituzione dell’elenco possa diventare, per una qualsiasi
associazione, l’occasione per ‘vivere tranquilli’. Qualcuno potrebbe pensare:
non avremo più problemi a raccogliere soci, perché l’iscrizione, alla nostra o
a un’altra associazione diverrà obbligatoria.
Vorrei insomma ci tenessimo lontani da qualsiasi
indulgenza ad un vincolo protettivo, vorrei invece guardassimo a quello che mi
pare il punto chiave del testo di legge. Il punto in cui all’articolo 4 si dice
che: “L’esercizio della professione è libero e fondato sull’autonomia, sulle
competenze e sull’indipendenza di giudizio intellettuale e tecnica”, e sulla
“responsabilità del professionista”.
Perciò credo un’associazione orientata alla libertà
di mercato, al riconoscimento del merito, e all’assunzione di responsabilità
personale da parte di ognuno, dovrebbe offrire il servizio stesso
gratuitamente, sia a chi è socio pagante, sia a chi non lo è.
Credo anche che l’inserimento nell’elenco non
dovrebbe essere fondato sul superamento di un qualche esame, o sulla
partecipazione a quel tal o tal altro percorso, o sulla dimostrazione del
possesso di questo o di quest’altro requisito. L’inserimento dovrebbe essere
aperto a tutti, e fondato su una mera autocertificazione da parte dei
professionisti: che ognuno dichiari un modo trasparente, assumendosene la
responsabilità, cosa ha fatto fino ad ora, cosa sostiene di saper fare. Ognuno
potrà poi aggiornare in continuo la sua dichiarazione, via via che accumula
altre esperienze.
Ci dovrà essere, immagino un comitato di garanti:
ma li immagino intenti non a valutare, o a depennare i nomi di qualcuno, ma
piuttosto ad indicare i criteri in base ai quali ognuno possa più efficacemente
raccontare chi è, e cosa fa.
Se l’associazione continuerà a condurre innanzi una
solida politica culturale, se l’associazione coltiverà la propria reputazione
di ente attento all’interesse collettivo – questo costituirà un deterrente: i
professionisti saranno da ciò stimolati a non millantare, a dare di sé
un’immagine onesta.
Questo testo appare come Editoriale su Persone
& Conoscenze, ottobre 2013
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