Dal sito de Il Sole 24 ore, un bel contributo di Teresa Laviola e Massimo Silvano Galli (dell’Osservatorio sulla mediazione familiare), dal titolo Mediazione: “non luogo” a procedere.
Da questo ho ripreso la bella definizione del mediatore del titolo, apparentemente esperto di cose “impossibili”, ma che, nella “concretezza” della sua attività, diventano più che possibili.
Ottimo da leggere, anche per ricordare a noi stessi che la mediazione E’, a prescindere da quello che qualcuno cerca di far diventare…
Mediazione: “non luogo” a procedere
di Teresa Laviola, Avvocato e Massimo Silvano Galli, pedagogista
Da Il Sole 24 ore - 8 aprile 2014
"L'amore alla fine dell'amore", questo dovrebbe auspicare ogni sano percorso di mediazione della coppia in crisi: che un amore rinasca dalle ceneri dell'amore finito. Un amore diverso, a volte ricostruibile sotto lo stesso tetto, a volte irrimediabilmente evirato da qualsivoglia forma di convivenza, ma sempre disposto a ri-credere nell'Altro come occasione di riscatto per entrambi.
Questa, in estrema sintesi, è per noi la mediazione e sarà nostra cura, attraverso questo particolare binocolo, cercare qui di raccogliere tutte quelle argomentazioni, quei suggerimenti, quei materiali, quelle proposte, quelle suggestioni, capaci di circumnavigare questa disciplina chiamata a governare l'amore quando questo giunge alla sua fine e mostra le sue braci, a volte le sue ceneri…
Compito utopico, si dirà, che va contro tutti i luoghi comuni, i consigli degli amici e dei parenti, la subcultura dei rotocalchi e dei programmi televisivi; paradigmi che, di fronte al capitolare delle relazioni d'amore, sembrano incitare alla lotta, quando non al conflitto totale, alla vendetta o, nel migliore dei casi, alla rimozione.
Ma il mediatore della coppia in crisi, armato di sapere e di pazienza, deve almeno provare a sostare nel territorio dell’utopia.
Come un tour operator esperto in viaggi impossibili, deve almeno provare ad accompagnare le parti su quell'isola che non c'è, dove gli amori alla fine dell'amore possono trovare un approdo di rinnovato ben-essere, anzitutto riconoscendosi come entità di una storia comune che, per quanto a un bivio (e comunque vada) li terrà uniti per sempre -soprattutto se, da quella relazione, ne è disceso quel testimone estremo di ogni amore (anche dell'amore più subitaneo) che chiamiamo figlio.
Sostare nel campo dell'utopia è dunque il principio primo di ogni mediazione che non si voglia rassegnare alla sterilità di un accordo che, per quanto giuridicamente fondamentale, non potrà mai disciplinare, per davvero e fino in fondo, un'adeguata e efficace comunicazione, un sano e costruttivo conflitto, l'esercizio di una fattiva bigenitorialità o, più genericamente, l'elastica capacità di soprassedere ad ogni rigidità per un bene e un benessere che la regola non sa e non può contenere e che prende il nome di cura, di empatia, di attenzione, di rispetto.
Sostare nel campo dell'utopia non significa, per altro, come vorrebbe il luogo comune, auspicare l'impossibile, bensì cercare, per il bene della coppia e degli eventuali figli coinvolti, quel non luogo (u-topos) in cui ogni apparentemente impossibile può trovare dimora.
Ma affinché ciò accada, affinché abbia la possibilità di accadere, è necessario che il mediatore per primo creda in questo "possibile impossibile", in questo spazio diversamente abitabile e trasformi anzitutto il suo studio in questo non-luogo: una superficie da cui il mondo coi suoi dettami, le sue regole, i suoi codici, le sue coercizioni, i suoi dogmi, è volontariamente escluso. Solo in questo modo sarà possibile aiutare la parti a cercare dentro di loro, e rispetto alla specificità della loro relazione, le "leggi" più adeguate per disciplinare il conflitto che stanno vivendo, trasformandolo da distruttivo a costruttivo.
In questo senso, la mediazione può essere intesa come un'utopia, un u-topos, un senza luogo, che proprio nel non-luogo che il mediatore allestisce può trovare dimora.
In questa rubrica, che qui inauguriamo, vogliamo allora correre il rischio di agitare questo sguardo capace di disegnare un possibile cammino utopico per tutti quei contesti, più o meno conflittuali, che vedono uomini e donne, un tempo innamorati, mettere in discussione la loro relazione credendo di dover ricorrere al più pragmatico dei realismi: dividere beni mobili e immobili, spartisti affetti, cercare di ottenere di più e di meglio… Quando, invece, quel che a nostro avviso occorre, è uno sforzo suppletivo per andare oltre la patina di troppa realtà che rischia di annebbiarci la vista e, attraverso un vero e proprio esercizio ermeneutico, ritornare -appunto- alla radice etimologica dell'utopia, quel senza luogo che si apre alla ricerca di un "amore diverso" con nuovi spazi e situazioni che è salvifico continuamente sperimentare e provare ad abitare.
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