Chi siamo? O meglio, cosa siamo diventati? E cosa influenza il nostro divenire? Quali "passaggi" percorriamo e attraverso quali nodi della nostra vita passiamo per poter affermare di essere "ciò che siamo”?
Queste sono, a mio avviso alcune delle domande che si pone In Trance, film del regista inglese Danny Boyle (già autore di splendide produzioni come Trainspotting e The Millionaire, tanto per dirne qualcuna, con quest’ultima che gli è valsa anche il premio Oscar come miglior regista).
E' una storia dalle molte storie (un vero e proprio film-puzzle), che ha per protagonisti (James Mc Avoy, Vincent Cassel - perfetto nel "suo" tipico ruolo, un criminale francese dal cuore tenero - e la sensuale Rosario Dawson che, e la cosa non stupisce affatto, finisce per far innamorare entrambi). Al centro della vicenda troviamo un quadro di inestimabile valore che viene rubato da una famosa casa d'aste dove lavora Simon (James Mc Avoy).
Già rubato.. Ma da chi? E soprattutto, che fine fa il quadro? Eh sì perché Simon, durante la rapina viene colpito alla testa (da Frank, ossia Vincent Cassel) e non ricorda più che fine abbia fatto il quadro.
Ed è qui che entra in scena l’ipnoterapeuta Elizabeth (Rosario Dawson) e, come nelle migliori tradizioni, non tutto ciò che sembra corrisponde alla verità e ben presto al tema principale del film si aggiungono altri temi che riguardano, soprattutto, la costruzione della nostra identità, quella identità che Simon faticosamente cerca di ricostruire proprio con l’aiuto dell’ipnosi. Su questo tema c'è una bella frase di Elizabeth, che spiega che "Quello che siamo e' la somma di tutto quello che abbiamo fatto, detto e provato... Il tutto avvolto in un'unica trama che è costantemente rivista e ricordata. Quindi, per essere te stesso devi costantemente ricordare te stesso... E' un lavoro a tempo pieno, ma è così che funziona".
Il significato e' che la nostra identità ha costantemente bisogno di essere ricordata da noi stessi per essere vissuta soprattutto, tenuta presente… Come spiegare altrimenti certe "cadute", anche di autostima, che viviamo, magari in un momento difficile, in cui tutte le nostra certezze (ancore?) fanno fatica ad emergere nel “mare” di incertezza?
Altro passaggio riguarda la gestione della rabbia, rispetto la quale sempre Elizabeth, a proposito di una fallita relazione sentimentale del passato - sottolineando che la rabbia non ha molto senso - dice un’altra cosa molto interessante: "Se mi arrabbio divento una vittima... Io ho voltato pagina. Questa e' l'unica vera vittoria...". Non è la rabbia quindi che ci da forza; magari essa rappresenta una reazione (a volte anche salutare), ma poi deve necessariamente essere gestita per darci vera elaborazione e superamento. Quando qualcosa finisce non esiste solo rivalsa, anzi la vera rivalsa, in effetti, è la ritrovata serenità, quella che ci fa dire: “Io non ti permetterò più di farmi male…”. Vedendo il film poi si scoprirà come lei sia riuscita a gestire questa rabbia ed il danno subito. Un modo decisamente “creativo”, anche se non proprio ortodosso…
Infine, a chiusura del film, abbiamo "la" vera domanda (accompagnata dalle note della canzone che riporto alla fine del post), quella che - sono sicuro ci sarà capitato di farci almeno una volta nella vita - ossia, posti di fronte a qualcosa che ci ha turbato, come vogliamo comportarci? Vogliamo gestire, faticosamente, magari dolorosamente il ricordo oppure preferiremmo dimenticare? Frank sta li' li' per cedere alla tentazione di dimenticare, ma poi...
Be', io, con lui, ho risposto istintivamente, sotto-voce: ricordare sempre e dimenticare mai. Solo così possiamo realmente crescere ed andare avanti, più forti di prima. Perchè, sarà una frase fatta ma profondamente vera… le cose vanno attraversate, mai evitate...
Un thriller che mi è piaciuto molto perchè, oltre a tanto ritmo (tipico dei film di Danny Boyle) fa riflettere e su argomenti che riguardano la forza della mente, l'identità ed anche le proprie capacità di resilienza. In breve, un film come non capita tanto spesso di vederne…
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