Il regista Peter Weir
ci ha spesso regalato splendidi film, con ottimi spunti di riflessione da
utilizzare nella aule di formazione (da L'attimo
fuggente a Master and Commander,
da Witness – Il testimone a The Truman show, solo per citarne
alcuni). Non fa eccezione The way back,
che racconta la storia (vera) di un gruppo di persone in fuga da un gulag
sovietico durante la seconda guerra mondiale. Il film è liberamente ispirato al
volume di Sławomir Rawicz dal titolo La
lunga marcia.
Ed è appunto una lunga
marcia quella che porta il gruppo di fuggiaschi dalla Siberia all'India, in un
percorso di oltre 6.000 km passando attraverso pericoli ed insidie di ogni
genere, rappresentati dalla natura (probabilmente la vera protagonista del
film), prima ancora che dai carcerieri sovietici.
Un film sulla
resilienza, sulla "feroce" determinazione dei protagonisti a
raggiungere l'obiettivo della tanto agognata libertà, nonostante ogni tipo di
ostacolo gli si frapponga sulla propria strada (le tempeste di neve e i lupi
della Siberia, le zanzare fameliche del lago Bajkal, il deserto in Mongolia e,
infine, le montagne dell’Himalaya).
Nel film, inoltre, troviamo
anche una scena che presenta molte affinità con la mediazione e il lavoro di
gruppo. Infatti, proprio in prossimità del lago Bajkal il gruppo (tutto al
maschile) incontra una giovane donna, fuggiasca anch'essa, che si aggiunge
nella marcia verso la libertà. La presenza della donna rappresenta un elemento
fondamentale (per la storia del film, per il gruppo ed anche per gli utilizzi
in formazione) perché è soprattutto attraverso la sua attività di dialogo e di
comunicazione tra tutti e con tutti che le persone cominciano a conoscersi
davvero, a condividere informazioni (chi sono, da dove vengono, di cosa si
occupano, ecc.).
La protagonista
femminile incarna la metafora della "shuttle
diplomacy" (diplomazia della navetta), in cui il mediatore fa la spola
tra una parte e l’altra per favorire il “circolo comunicativo” e costruire la
fiducia reciproca. Infatti, parlando con tutti, scambia informazioni che poi
condivide con e tra le persone, favorendo al massimo la conoscenza tra loro.
Ed è anche attraverso
la sua attività di “catalizzatore” della comunicazione che un insieme di
individui con un obiettivo più o meno chiaro (la fuga verso sud) e una
ripartizione più o meno definita dei ruoli (l’ideatore della fuga che, abituato
a vivere in montagna, aiuta gli altri a muoversi nella “giungla” delle foreste
innevate e ha chiara la direzione da seguire sulla strada verso la libertà, chi
cucina le scarse risorse a disposizione o che si trovano lungo la strada, chi
provvede a pescare, il criminale che, grazie al suo coltello, rappresenta
l’elemento difensivo ed offensivo del gruppo, ecc.) si trasforma, poco a poco,
in un gruppo (che vive e ragione come tale), acquisendo altri importanti aspetti
come la fiducia reciproca e un patrimonio informativo comune. Elementi
necessari per una “mission impossible” come quella dei protagonisti del film…
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