sabato 21 luglio 2012

Recensione del film "The way back"


Il regista Peter Weir ci ha spesso regalato splendidi film, con ottimi spunti di riflessione da utilizzare nella aule di formazione (da L'attimo fuggente a Master and Commander, da Witness – Il testimone a The Truman show, solo per citarne alcuni). Non fa eccezione The way back, che racconta la storia (vera) di un gruppo di persone in fuga da un gulag sovietico durante la seconda guerra mondiale. Il film è liberamente ispirato al volume di Sławomir Rawicz dal titolo La lunga marcia.

Ed è appunto una lunga marcia quella che porta il gruppo di fuggiaschi dalla Siberia all'India, in un percorso di oltre 6.000 km passando attraverso pericoli ed insidie di ogni genere, rappresentati dalla natura (probabilmente la vera protagonista del film), prima ancora che dai carcerieri sovietici.

Un film sulla resilienza, sulla "feroce" determinazione dei protagonisti a raggiungere l'obiettivo della tanto agognata libertà, nonostante ogni tipo di ostacolo gli si frapponga sulla propria strada (le tempeste di neve e i lupi della Siberia, le zanzare fameliche del lago Bajkal, il deserto in Mongolia e, infine, le montagne dell’Himalaya).

Nel film, inoltre, troviamo anche una scena che presenta molte affinità con la mediazione e il lavoro di gruppo. Infatti, proprio in prossimità del lago Bajkal il gruppo (tutto al maschile) incontra una giovane donna, fuggiasca anch'essa, che si aggiunge nella marcia verso la libertà. La presenza della donna rappresenta un elemento fondamentale (per la storia del film, per il gruppo ed anche per gli utilizzi in formazione) perché è soprattutto attraverso la sua attività di dialogo e di comunicazione tra tutti e con tutti che le persone cominciano a conoscersi davvero, a condividere informazioni (chi sono, da dove vengono, di cosa si occupano, ecc.).

La protagonista femminile incarna la metafora della "shuttle diplomacy" (diplomazia della navetta), in cui il mediatore fa la spola tra una parte e l’altra per favorire il “circolo comunicativo” e costruire la fiducia reciproca. Infatti, parlando con tutti, scambia informazioni che poi condivide con e tra le persone, favorendo al massimo la conoscenza tra loro.

Ed è anche attraverso la sua attività di “catalizzatore” della comunicazione che un insieme di individui con un obiettivo più o meno chiaro (la fuga verso sud) e una ripartizione più o meno definita dei ruoli (l’ideatore della fuga che, abituato a vivere in montagna, aiuta gli altri a muoversi nella “giungla” delle foreste innevate e ha chiara la direzione da seguire sulla strada verso la libertà, chi cucina le scarse risorse a disposizione o che si trovano lungo la strada, chi provvede a pescare, il criminale che, grazie al suo coltello, rappresenta l’elemento difensivo ed offensivo del gruppo, ecc.) si trasforma, poco a poco, in un gruppo (che vive e ragione come tale), acquisendo altri importanti aspetti come la fiducia reciproca e un patrimonio informativo comune. Elementi necessari per una “mission impossible” come quella dei protagonisti del film…

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