lunedì 5 gennaio 2015

Da Huffington Post - Il 2015 sarà l'anno della speranza?

Riporto nel mio blog un bel contributo di Davide Ricca tratto da Huffington Post sulla “speranza” e sulla nostra capacità di recuperarla. In realtà quello che mi piace non è tanto il post in se, quanto la riflessione, su ciò che ci aspetta in questo anno e, più in generale, nel futuro. 

E soprattutto, la risposta che noi daremo alle sfide, personali e professionali, che ci attendono… aprirsi agli altri (speranza, integrazione, collaborazione) o chiuderci in noi stessi (timore, paura, competizione)? E’ dalla risposta personale che daremo a questo “dilemma” che scaturirà anche il sentimento con cui vivremo questo 2015, aldilà delle emozioni, delle cose e delle “rogne” che vivremo in questi 365 giorni… una rilettura di un altro e famoso dilemma, del “negoziatore”. Su cui tanto ho scritto anche nel mio blog…

E allora, buona speranza a tutti… ma anche buona consapevolezza, per il 2015
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Il 2015 sarà l'anno della speranza?
di Davide Ricca - Huffington Post, 30 dicembre 2014

Fine anno. Tempo di verifiche e di rendiconti. Ci si guarda indietro e si fa il bilancio di quello che è successo. Difficile, però, estrapolare 365 giorni da un contesto complessivo. Credo, infatti, che ci troviamo di fronte ad un passaggio che ha una dimensione storica innegabile, difficilmente comprimibile nello spazio di un anno. E come se in questi ultimi anni il mondo, o meglio il nostro pezzo di mondo, stia uscendo da un'epoca per entrare in una nuova.

L'Occidente lascia l'era del dubbio e della paura per entrare lentamente, molto lentamente, nel tempo della speranza e della fiducia. Fin dall'inizio della crisi, finanziaria prima ed economica poi, in molti hanno sentenziato che ne saremmo venuti fuori diversi da come ne eravamo entrati. Io sono tra coloro che, umilmente, hanno sostenuto questa tesi e credo che sia proprio quello che sta avvenendo.

Tutto questo ha un impatto prepotente in ogni ambito della vita; come non può averlo sulla politica? Le grandi dottrine e certezze del Novecento, che si giustificavano a vicenda e che giocavano tutto sulle categorie della paura, del conflitto (anche per giusta causa) e sulla definizione di un gruppo, di una categoria o di una classe come migliore rispetto ad un'altra, sono ormai definitivamente inadeguate rispetto a nuovi scenari in cui, nell'incertezza di un crisi vissuta e non ancora superata, è necessario rintracciare nuovi elementi di speranza indispensabili a quell'inesauribile necessità che gli esseri umani hanno di ri-partire, di ri-costruire, di ri-nascere.

Nuove categorie, nuove definizioni, nuovi linguaggi e quindi partiti e movimenti nuovi o almeno rinnovati. Gli stessi concetti di destra e di sinistra sono da ripensare e ricostruire. Paul Ricoeur, nel 1965, non a caso definiva Frederick Nietzsche, Sigmund Freud e Carl Marx come i "maestri del sospetto" (Dell'interpretazione. Saggio su Freud). Un sospetto che, nell'era che ci lasciamo alle spalle, arriva a comprendere l'intera concezione classica dell'uomo, tanto che Francis Fukuyama nel 1989 teorizzò la "fine della storia" dell'uomo e della sua capacità di sviluppo economico, politico e sociale (La fine della storia e l'ultimo uomo). Eppure, in un certo senso il sospetto era legittimo e la storia, quella che pone al centro dell'Universo l'uomo occidentale, con la variante Wasp (White anglo-saxon protestant) statunitense, è finita sul serio.

Ora ne incomincia - o meglio ne è già cominciata - un'altra, dove il concetto di "E pluribus unum" assume un significato universale che va ben oltre l'integrazione di tredici colonie tra loro. Ogni rivoluzione porta con se una normale reazione, spesso anche cruda e cruenta, di chi si vede messo da parte, di chi ne esce sconfitto, di chi vede pian piano svanire privilegi e rendite, spesso immeritati. Gli esempi sono molteplici. Ogni rivoluzione porta con se anche delle contraddizioni e dei "surfisti", ovvero quelli che restano a galla ma che, per l'appunto, più che nuotare galleggiano. Oggi siamo di fronte ad un rivoluzione che non vedrà più l'uomo occidentale come baricentrico, bensì come parte di un tutto molto più grande e meraviglioso, ma come tale pieno di insidie.

Quale sarà la risposta a tutto questo? Sì, perché probabilmente è proprio sul tipo di risposta che daremo che ci divideremo e costruiremo nuove appartenenze. Ci sarà chi risponderà ancora con il dubbio e la paura, chi riproporrà la logica del diverso da cui difendersi, chi si rifugerà in piccole comunità chiuse e arroccate ed edificherà nuovi muri a difesa della bella identità perduta e dei bei tempi andati, e chi invece reagirà con la logica della speranza, del lavoro quotidiano, della comunità aperta, della capacità di riconoscere nell'altro un pezzo di se stessi che, come diceva Emmanuel Levinas "Mi guarda, tutto in lui mi guarda niente mi è indifferente" (Altrimenti che essere o al di là dell'essenza).

I nuovi leader dovranno decidere in che direzione condurre l'umanità. Credo che la destra e la sinistra si riconosceranno rispettivamente proprio per chi si schiererà per la conservazione e la chiusura e chi per l'innovazione e l'apertura.

Non so se a sinistra tutto sia facilmente riconducibile alla terza via, ma di certo i vari Clinton, Blair, Prodi, hanno incominciato a tessere, a cavallo tra il XX e il XXI secolo, le maglie di una tela con cui oggi chi vuole rinnovare e guidare lo schieramento progressista deve per forza fare i conti. Dalla politica estera di Barack Obama, dal cambio verso del Pse a guida Renzi, dall'improcrastinabile confronto tra labours e libdems nel Regno Unito, va riaperto un cantiere della speranza che deve saper coniugare la sfida dei nuovi diritti con quella delle nuove responsabilità dell'uomo verso i suoi simili e verso il mondo.

Paura contro speranza dunque? Bene, e allora che il 2015 sia l'anno della rivincita della seconda sulla prima. "Hope" e auguri a tutti.

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