sabato 10 marzo 2012

Recensione de "La promessa della mediazione"


Trovo che il volume di Baruch Bush e Folger sia decisamente interessante e metta in luce un approccio alla gestione delle controversie, il modello trasformativo, decisamente diverso da quello “tradizionale. Soprattutto se lo mettiamo in relazione al panorama editoriale di questo ultimo periodo (vale a dire dal d. lgs. 28/2010 in poi), che per quanto molto “ricco” (forse anche troppo) e con pubblicazioni sicuramente di rilievo, in realtà riporta approcci e modelli applicativi alla mediazione che sono tutti simili, poiché improntati all’approccio basato sulla soddisfazione degli interessi e dei bisogni.
Ecco quindi che l’approccio di cui ci parla “La promessa della mediazione” “spicca” proprio perché focalizza l’attenzione sulla trasformazione della relazione tra le parti in conflitto, considerandola forse ancora più importante rispetto alla stessa soluzione della controversia.
Ma l’importanza del volume non risiede solo in questo (per la verità, sarebbe già abbastanza) perché in realtà offre tanti diversi spunti di riflessione che meritano un approfondimento per gli studiosi e gli appassionati di mediazione. Solo allo scopo di fare una breve e sintetica “guida alla lettura”, ho cercato di estrapolarne qualcuno.

“Modelli” di mediazione in Italia
Uno dei primi aspetti importanti riguarda la considerazione dei curatori dell’edizione italiana (Scotto e Castoldi), i quali sottolineano (pag. 9) che nel nostro paese la mediazione appare sotto diverse forme interpretative, mancando « un unico modello […] dominante in tutti gli ambiti». Piuttosto, «in ciascun settore troviamo uno o più indirizzi o modalità di intervento applicate, come il problem-solving e l’approccio di Harvard (Nicosia 2008) (1), la mediazione umanistica sviluppata da Jacqueline Morineau (Morineau, 2004) (2), gli approcci sistemico e simbolico-relazionale nella mediazione familiare (Scabini Rossi 2008) (3), la facilitazione di processi decisionali partecipativi (4)».

Le quattro storie della mediazione
Altro aspetto importante del volume (a mio avviso uno dei migliori contributi dei due autori al “pensiero” sulla risoluzione alternativa delle controversie) riguarda le quattro forme di “narrazione” sulla mediazione, distinte e divergenti tra loro, che spiegano, secondo diverse prospettive e chiavi interpretative, cosa essa rappresenti e come si sia evoluta nel tempo.
La prima “storia” è quella della “soddisfazione” che vede nella mediazione uno strumento efficace e creativo per soddisfare i bisogni personali e per ridurre il disagio delle parti in conflitto.
La seconda, della “giustizia sociale”, considera la mediazione come uno strumento efficace per organizzare gli individui intorno ad interessi comuni, aiutando la costruzione e il consolidamento dei legami sociali e aumentando così il potere negoziale dei meno abbienti.
La terza storia è quella della “trasformazione” ed è questa che, secondo Baruch Bush e Folger, realizza la “promessa” della mediazione perché permette di trasformare la qualità dell’interazione conflittuale, dando nuovo vigore all’energia personale e alla capacità di comprensione. 
Infine la quarta storia è quella della “oppressione” (potremmo definirla “il lato oscuro della mediazione”) che vede in essa uno strumento nelle mani del potere statuale per accrescere il proprio controllo e per esercitare pressioni e manipolazioni, creando anche condizioni di iniquità per gli svantaggiati.

Empowerment e riconoscimento
Per gli autori queste sono le due dimensioni-chiave della trasformazione della controversia (che è il punto focale delle “storie” della mediazione, in particolare della terza). Empowerment (auto-capacitazione, rafforzamento) «significa il ristabilimento negli individui della percezione del proprio valore, della propria forza, della propria capacità di prendere decisioni e di gestire i problemi della vita». Riconoscimento invece «è l’evocazione di una conferma, di comprensione o di empatia nei confronti dell’altro e del suo punto di vista» (pag. 32).

Dalla risoluzione del conflitto alla trasformazione della relazione
Nel modello trasformativo uno degli aspetti certamente più interessanti è che al centro dell’attenzione dell’attività del mediatore non è tanto la “soluzione” della controversia (l’esito positivo o conciliazione) quanto la trasformazione dell’interazione tra le parti, attraverso il ristabilimento dei canali di comunicazione e di dialogo e la piena “esplorazione” nella gestione delle emozioni.
In questo sta anche la differenza con la mediazione “tradizionale”, definita dai due autori transactional, che si concretizza, a livello di procedimento, in due differenze fondamentali rispetto all’attività del mediatore: il diverso “taglio” della conversazione d’apertura e l’approccio verso gli incontri riservati.  A proposito della prima, nell’approccio trasformativo il mediatore considera l’apertura della seduta come una conversazione “negoziale” con le parti (su vari argomenti: i loro obiettivi riguardo la procedura, eventuali linee-guida, le loro aspettative sulla riservatezza, ecc.), e non come una dichiarazione formale da fare alle parti. Per quanto riguarda invece i caucus, questi si fanno nella trasformativa solo qualora le parti ne avvertano la reale necessità.

Conclusioni
Dall’idea che mi sono fatto leggendo il volume esistono a mio avviso diversi elementi in comune tra il modello trasformativo e l’approccio che si basa sulla soddisfazione degli interessi e bisogni. Certo, non si può trascurare che gli autori non considerano i due modelli integrabili, giustificando questo con il fatto che non sarebbe possibile integrare la visione del futuro (tipica nella mediazione tradizionale) con l'invito alle parti a guardare al passato (caratteristica del modello trasformativo).
Tuttavia, soprattutto se penso al ruolo del mediatore come facilitatore della comunicazione e della negoziazione fra le parti, sinceramente trovo che tanti elementi e tecniche della mediazione trasformativa potrebbero tornare davvero utili al mediatore che adotta uno stile facilitativo. Chissà allora che il modello trasformativo non possa diventare, in generale, un obiettivo cui tendere, a mio avviso non tanto per applicarlo pienamente, ma soprattutto per “arricchire” la cassetta degli attrezzi del mediatore attraverso una più ampia gamma di strumenti, tecniche e interventi.

(1) Nicosia P., Mediazione e conciliazione societaria, Ed. Carlo Amore, Roma, 2008.
(2) Morineau J., Lo spirito della mediazione, Milano, Franco Angeli, 2004.
(3) Scabini E. – Rossi G. (a cura di), Rigenerare i legami: la mediazione nelle relazioni familiari e comunitarie, V&P Università, Milano, 2004.
(4) Sclavi M., Avventure urbane. Progettare la città con gli abitanti, Eleuthera, Milano, 2002.

5 commenti:

  1. grazie per questa disamina accurata (per quello che consente lo spazio e lo strumento) degli elementi distintivi

    Stefania Pieroni

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  2. Grazie Stefania, credo che la crescita della "cultura" della mediazione passi attraverso azioni concrete... Spero che questo blog possa dare un piccolo contributo in tal senso :)

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  3. Grazie Stefano ti nomino guru ufficiale della nostra squadra di mediatori! Buon lavoro!
    Lucia Castigliego

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  4. http://www.virtualmediationlab.com/virtual-mediation-lab-italia/mediazione-trasformativa-intervista-a-massimo-silvano-galli/

    http://www.virtualmediationlab.com/virtual-mediation-lab-italia/mediazione-trasformativa-intervista-con-skype-a-carlo-mosca/

    Stefania Pieroni

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