Da Blog conciliazione (link)
di Simona
Silvani*
Come
mediatore penale mi sono formata nell’ambito del c.d. modello
umanistico-dialogico, ideato e proposto da Jacqueline Morineau. È un modello di mediazione, peraltro passibile di
applicazione nei diversi ambiti della mediazione (dunque non solo in campo
penale), che si concentra sul percorso di riconoscimento personale e profondo
tra le due parti in conflitto, attivato attraverso la parola e l’ascolto.
Nella
mediazione penale (più correttamente, mediazione reo/vittima) c.d. umanistica,
il dialogo è inteso come lo strumento per innescare un processo trasformativo che permette alle parti che siedono in mediazione
– un autore di reato e una vittima – di evolvere dalla fissità dei ruoli in cui
il conflitto generato o esacerbato dalla commissione di un reato le ha
relegate, di evolvere dalle rispettive visioni e posizioni cristallizzate per
aprirsi verso l’altro.
Nella
mediazione reo/vittima, proprio perché si parte da un fatto di reato o, più
correttamente, da un’ipotesi di reato,
si entra in contatto con sentimenti profondi e violenti (paura, odio,
umiliazione, senso di ingiustizia, rabbia, desiderio di vendetta) e si offre
uno spazio protetto in cui questi sentimenti possono trovare accoglienza, senza
giudizio.
Nell’esperienza
della mediazione reo/vittima, ciò che irrompe sulla scena sono senza dubbio le
emozioni, forti e distruttive, e
una delle più importanti ‘abilità’ che il mediatore penale è chiamato a
sviluppare è proprio la capacità di stare in mezzo, con la propria verticalità,
a queste emozioni, per aiutare le parti a dare loro un nome e avviare un
dialogo sui valori e sui bisogni.
Questo
aspetto legato all’importanza delle emozioni, anche se non solo questo aspetto,
si riflette nel metodo elaborato da Jacqueline Morineau. In base ad esso, la mediazione si articola in
diversi momenti: dopo il primo contatto con le parti, volto ad acquisire il
loro consenso alla mediazione, segue la fase dei c.d. colloqui preliminari, in
cui ciascuna della parti incontra separatamente i mediatori; a tali colloqui,
sempre che le parti abbiano confermato il loro consenso alla mediazione,
seguirà l’incontro vero e proprio, che si terrà alla presenza di entrambe le
parti e dei mediatori.
La
previsione di colloqui individuali preliminari (che, rispetto a ciò che accade nella mediazione
civile e commerciale – dove la sessione congiunta precede, di norma, i c.d.
caucuses – appare come un’inversione metodologica), consente una preparazione
importantissima al successivo momento dell’incontro mediativo. Tali colloqui,
infatti, rappresentano uno spazio e un tempo esclusivi, in cui la parte ha la
possibilità di raccontare la propria storia, di fare emergere, dando loro un
primo sfogo, sentimenti ed emozioni spesso rimasti a lungo inespressi, e di
cominciare a lasciare affiorare i bisogni di riparazione e restituzione;
inoltre, durante tali colloqui, i mediatori lavorano per rendere la parte il
più possibile consapevole circa il significato del percorso che ha intrapreso,
preparandola a ciò che l’aspetterà durante l’incontro di mediazione vero e
proprio.
È questo,
a mio avviso, un primo dato metodologico della mediazione reo/vittima su cui
sarebbe utile riflettere anche nello svolgimento delle mediazioni civili e
commerciali. Come mediatore
civile, considero la preparazione delle parti alla mediazione un momento
fondamentale; per questo motivo, cerco di mettere la maggiore cura possibile
nella c.d. fase introduttiva, nella convinzione che in essa si giochi molto
rispetto alla disponibilità delle parti ad un reale e costruttivo confronto
(fermo restando, ovviamente, il lavoro preparatorio, indispensabile e
insostituibile, svolto dai funzionari camerali). Ritengo che l’idea della
responsabilità delle parti rispetto al conflitto nonché l’idea della mediazione
come occasione che è stata loro data – che loro stesse hanno creato – per
lavorare, mettendosi in gioco e confrontandosi, al fine di trovare una
soddisfazione ai propri bisogni e interessi (partendo da e nonostante il
conflitto), debbano in alcuni casi avere un tempo e uno spazio anche riservati,
per potere per essere espresse ed effettivamente introiettate da ciascuna
parte, in vista dell’incontro con l’altra.
Si
potrebbe dunque ragionare, prendendo spunto dalla mediazione reo/vittima, sull’opportunità che questo tempo e questo spazio
riservati, anche utili per dare un primo sfogo alle emozioni, riducendo così il
rischio che il loro esplodere improvviso possa compromettere l’incontro o
rendere molto più difficoltoso e accidentato il percorso verso il
raggiungimento di un accordo, vengano anticipati rispetto al momento di
confronto diretto con l’altro. (Talvolta, in alcune mediazioni particolarmente
difficoltose o fallite, ho avuto la netta impressione che se le parti avessero
avuto modo di confrontarsi prima e separatamente con il mediatore, avrebbero
affrontato diversamente l’incontro, ossia il momento relazionale più
importante.)
Oltre al
dato metodologico appena evidenziato, vi è un secondo aspetto tipico della
mediazione reo/vittima che può
offrire uno spunto di riflessione utile anche alla mediazione civile e
commerciale, e che è rappresentato dalla previsione di una équipe di mediatori
durante tutto il percorso mediativo: due sono i mediatori che ascoltano le
parti durante i colloqui preliminari e tre sono i mediatori che partecipano
all’incontro.
Non si
tratta di una scelta casuale. Il lavoro sulle emozioni che irrompono in
mediazione penale è faticoso. Per
citare Morineau, nei conflitti i mediatori possono trovare schegge delle loro
esperienze personali, e, per quanto non direttamente implicati, non possono
rimanere estranei di fronte a vissuti di sofferenza. Queste implicazioni e
irruzioni del vissuto del mediatore nel conflitto sono imprevedibili e
rischiano di comprometterne l’equi-vicinanza rispetto alle parti. Da qui
l’esigenza di lavorare in team: il mediatore penale deve avere l’‘umiltà’ di
riconoscere il proprio coinvolgimento e, una volta riconosciuto ciò, deve avere
la possibilità di lasciare spazio agli altri co-mediatori.
Anche
partendo da questa scelta metodologica potrebbe essere avviata una riflessione
sul metodo della mediazione civile e commerciale. Si potrebbe riflettere, in particolare,
sull’opportunità di prevedere il lavoro in team – in co-mediazione – in tutti
quei casi e in tutte quelle di controversie, in cui, per la stessa materia
oggetto del conflitto (si pensi alla responsabilità medica o alla diffamazione
a mezzo stampa) o per i rapporti che intercorrono tra le parti coinvolte (si
pensi alle controversie che vedono contrapposti i membri di una stessa famiglia
o colleghi di lavoro) è più probabile che irrompano emozioni forti e vissuti di
sofferenza.
*Mediatore
civile-commerciale e Mediatore penale.
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