domenica 9 dicembre 2012

LE SENTENZE NON SI CRITICANO (una domanda alla Corte costituzionale)????

Ospito nel mio blog un commento molto interessante dell'amico e collega Andrea Melucco. Da leggere perché offre utili spunti di riflessione sulla sentenza 272/2012 della Corte Costituzionale.
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Nella giornata di giovedì è stata finalmente pubblicata la sentenza della Corte costituzionale (sentenza 6 dicembre 2012 n.272 in corso di pubblicazione sulla GU) che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art.5 comma prima del d.lgs. 28 2010.

La motivazione chiarisce che la censura che la Consulta ha ritenuto di accogliere è quella (e, precisiamolo subito) soltanto quella relativa all'eccesso di delega per:
a) non avere il legislatore delegante (art.60 della l.69/2009) espressamente indicato tra i caratteri dell'istituto quello della obbligatorietà
b) non avere le fonti comunitarie (di cui si ritiene impropriamente, come chiarito dalla sentenza del TAR Lazio) indicato come cogente la previsione dell'obbligatorietà, ma avendo (anzi) lasciato ampi libertà al legislatore nazionale sulle forme e modalità di introduzione dell'istituto.
c) nell'avere anzi il legislatore delegante "disseminato" nelle previsioni dettate, indizi che militano in senso contrario alla ipotesi dell'obbligatorietà o che comunque si pongono sostanzialmente in problematico coordinamento con essa [tra tutti la circostanza che il legale debba (obbligo) informare la parte della facoltà (e non obbligo) di accedere alla mediazione].

Se la caducazione è relativa SOLO al primo comma dell'articolo 5, se ne deve trarre la conseguenza che le altre forme di (accesso al procedimento di) mediazione siano comunque appieno salvaguardate, anche perchè NON INCISE dalle censure formulate dai Giudici rimettenti.

Eppure, a ben vedere, non è così. La pronuncia, infatti, a conclusione di una motivazione incentrata come detto solo sui profili relativi all'eccesso di delega (nella prima parte) ed alla inapplicabilità (direi più esattamente non pertinenza) al caso di specie dei principi enunciati dalla stessa Consulta con la pronuncia 2276/2000 che ritenne legittima la previsione del tentativo obbligatorio di conciliazione nel rito del lavoro (nella seconda) conclude affermando 11) l'illegittimità costituzionale dell'art.5 comma 1 del d.lgs. 28/22010 e 2) in via consequenziale anche l'illegittimità costituzionale di una serie di nome correlate.

Vorrei concentrarmi su tale passaggio, perché - sia consentito – desta gravi perplessità almeno su un profilo. Alla lettera h) del punto 2 infatti, la declaratoria di illegittimità investe anche la previsione di cui al comma 5 dell'art.8.

Tale norma, come noto, prevedeva originariamente solo la facoltà per il Giudice di trarre argomenti di prova (ex art.11 secondo comma cpc) dal contegno serbato dalle parti (non solo nel corso del giudizio ma anche) a cagione della mancata partecipazione al procedimento di mediazione senza giustificato motivo.

Tale previsione, era stata successivamente modificata, prevedendo che il Giudice condanni la parte che non abbia partecipato (senza giustificato motivo) alla mediazione al pagamento in favore dello Stato di una somma pari al contributo unificato dovuto per il giudizio. La norma precisa(va) "nei casi previsti dall'art., facendo quindi riferimento non solo alla mediazione obbligatoria ma anche alla mediazione delegata (art.5 comma secondo) ed alla mediazione negoziale (art.5 comma quinto).

Se tanto pare lineare, non si comprende per quali ragioni – peraltro neppure espressamente indicate - la Consulta ha inteso fulminare di illegittimità derivata una previsione relativa alle forme di (introduzione del procedimento di) mediazione DIVERSE da quella obbligatoria, che - come accennato - appaiono assolutamente indenni dalla declaratoria di illegittimità costituzionale.

Ma, quel che sorprende maggiormente, è che la Consulta non abbia tenuto (apparentemente) in alcuna considerazione che la novellazione dell'art. 8 comma quinto sia avvenuto per mezzo di una norma di legge ordinari. La modifica e' stata infatti introdotta dall' art. 2 comma 35 sexies del decreto legge 13 agosto 2011 n. 138 convertito con modificazioni dalla legge 14 settembre 2011 n. 148.

Appare dunque assai problematico immaginare che l'illegittimità di una norma per eccesso di delega possa travolgere anche - in via derivata – una norma che riguarda istituti che non sono da un lato affetti dal medesimo vizio e dall'altra norme che appaiono assolutamente estranee allo stesso vizio dichiarato e sanzionato.

La domanda con cui ho aperto è retorica. Non spetta alla Consulta rimediare a quello che - dal punto di vista sostanziale e formale - appare un vulnus non necessario che è stato inferto alla normativa sulla mediazione.

Sul piano formale perchè si ritiene che la non meglio motivata illegittimità derivata non fosse in alcun modo sussistente. Sul piano sostanziale, perchè rimuove uno dei pochi strumenti che potevano aiutare la parte interessata a "costringere" la controparte al dialogo pur in presenza di una mediazione meramente volontaria.

Come infatti ho avuto occasione di ribadire in molteplici interventi in questa lunga attesa della motivazione, il nostro ordinamento non ha alcun bisogno della mediazione OBBLIGATORIA quanto di una mediazione che aiuti le parti a COSTRINGERE l'altra parte al dialogo, se lo ritiene utile. Spero sia sufficientemente chiaro che le due prospettive sono assolutamente difformi.

Il paternalismo della norma bocciata dalla Consulta (e dai cittadini) non aiuta (perchè non consente alla parte di fare la PROPRIA PROPOSTA) chi vuole davvero trovare un accordo ovvero mettere dei paletti chiari che non siano l'imprevedibile determinazione del mediatore.
Il dirigismo di prevedere una sola forma di mediazione (anzichè il pluralismo del multidoor options) è tutto italico e duro a morire.

Questo (a mio sommesso avviso) infortunio del Giudice delle leggi costringerà tutti ad interrogarci davvero non tanto sulla reintroduzione della OBBLIGATORIETA' quanto su quali strumenti effettivi vogliamo davvero dare AI CITTADINI per governare compiutamente un area della propria sfera patrimoniale (i diritti disponibili) che dovrebbe (in uno stato liberale degno di questo nome) essere rimessa alla LIBERA determinazione delle parti stesse.

Ci riusciremo ????
Buona riflessione a tutti
Andrea Melucco

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