mercoledì 11 giugno 2014

Essere umili? Un punto di forza, non un segno di debolezza...

Dal sito di Officine Einstein (dove trovo spesso tanti spunti interessanti), ne riporto oggi uno particolarmente significativo, sull’umiltà, che trovo interessante e possa far riflettere tutti quelli che ritengono che la presunzione (appena hai imparato due-tre cose) sia un segno dell’“essere di successo”.

Al contrario, ritengo invece che sia sempre importante mantenere la “disponibilità di fondo a essere e a mantenersi umili quel tanto che basta per non perdere il rispetto e la considerazione nei confronti degli altri” (come sottolinea Marmello nel suo articolo), soprattutto in un paese come il nostro, in cui il “lei non sa chi sono io”, “perchè te lo dico io”, “perchè si fa così”, affini e collaterali, sono - purtroppo - all’ordine del giorno.

E poi, come sottolineava lo stesso Einstein, “non cercare di diventare un uomo di successo… Piuttosto cerca di diventare un uomo di valore”. Appunto, il “valore” (ed in esso rientra anche la capacità di essere umili) è quello che cerco, nella mia vita, e che - soprattutto - cerco e cercherò di insegnare ai miei figli… Perché è solo dal confronto, dovunque e con chiunque, che si può imparare… Sperando di essere, per loro, sempre un esempio da imitare e non da evitare…


L’umiltà come indicatore di successo
da Officine Einstein
di Franco Marmello
7 giugno 2014

Chi lavora per obiettivi e riesce a raggiungerli in una percentuale soddisfacente costruisce, in parallelo al suo know how tecnico, una speciale capacità di comunicare con le persone coinvolte nel suo progetto.
Parliamo di un venditore quando visita un cliente; di un manager quando crea la cooperazione intorno a sé e delle persone che egli stesso invita a contribuire alla realizzazione del risultato con idee e soluzioni nuove; parliamo di un trainer sportivo e dei suoi giocatori; parliamo dei genitori a confronto con i loro figli; aggiungiamo gli insegnati, i politici, i religiosi; chiunque insomma abbia qualcosa da dire a qualcuno per convincerlo a riconoscergli una qualsiasi forma di guida, di leadership.

Un comunicatore così, dopo aver sviluppato perseveranza, ottimismo, coraggio, buone idee, spirito di iniziativa, capacità di decisione, ambizione, larghezza di vedute e capacità di autovalutazione, deve impegnarsi a restare umile, alla portata di ognuna delle persone che vuole conquistare.

Com’è umano lei...
Di umanità siamo tutti un po' carenti.
Ricordate gli sketch di Paolo Villaggio?  Il comico genovese all'inizio della sua carriera televisiva impersonava il Fracchia, un impiegato frustrato (il cinema più tardi l'avrebbe trasformato in Fantozzi). Il Fracchia per un nonnulla, per un piccolo sorriso che il suo capo gli regalava, esclamava: «Com'è umano lei...! »

Se è vero che crescere e migliorare, diventare imbattibili, essere i primi nella vita, essere all'avanguardia nel mondo d'oggi è una meta ambita per molti, è anche però vero che il pericolo in agguato sulla strada del cosiddetto successo è quello di diventare, sentirsi, a un certo punto, dei padreterni.

Questo sentirsi tali, ancorché inconsciamente, nel processo di comunicazione colpisce molto negativamente il nostro interlocutore.
Quanti padreterni abbiamo visto cadere rovinosamente e farsi male sul serio?!

Un po’ di umiltà
Una qualità c'è allo sviluppo della quale occorrerebbe dedicare più attenzione proprio quando si è tentati di pensare di essere finalmente cresciuti.
Si tratta di una buona e sana forma di umiltà che caratterizza il comportamento delle persone veramente arrivate.

E' una carattersitica considerata piccola, insignificante, poco rappresentativa, sorpassata. Una caratteristica però in grado di creare equilibrio nella mente e nel cuore di chiunque sia in corsa per la sua giusta e sacrosanta razione di successo e che per questo tipo di conquista sia costretto a comunicare ogni giorno con interlocutori diversi, dall'adesione dei quali dipendono i suoi risultati.

Ma come si fa?
Come si fa a coltivare una qualità di questo tipo? Una qualità oggi misconosciuta.

Generalmente viene confusa con atteggiamenti servili, poco dignitosi che, invece, poco hanno a che spartire con una vera disponibilità di fondo a essere e a mantenersi umili quel tanto che basta per non perdere il rispetto e la considerazione nei confronti degli altri.
E come si fa, di contro, a un certo punto della nostra crescita professionale e umana, a non inciampare nelle nuvole della presunzione?

E’ una questione di partenza
Questione di come noi atteggiamo la mente nei confronti degli obiettivi e di come scegliamo le strategie di comunicazione più adeguate.
Per fare un esempio concreto, in molte aziende con reali problemi di salute economica (faccio il consulente di direzione) ciò che spesso si rileva è:
  • una profonda mancanza di cultura d’impresa;
  • l'assenza di un bagaglio culturale accettabile che permetta a chi lavora per obiettivi di smetterla con atteggiamenti che lo fanno sembrare tutto fuorchè capace di comunicare per risolvere;
  • tutto fuorchè cresciuto e pronto nella difficilissima impresa della riuscita.
Il mercato e la società in genere mutano di continuo e i vecchi parametri tramontano.

Il soggetto in questione spesso appare aggressivo, perfino furbo. In realtà ha soltanto paura:
  • chi gli spiega che l'umiltà è una grossa dote, un grande talento da riscoprire e coltivare da parte di chiunque desideri conservare, mentre cresce, la sua naturalità?
  • chi gli spiega che restare umani e umili è l'unica strada per continuare a meritarsi la simpatia, l'aiuto, l'amore del prossimo?
 Alcuni imprenditori che pérdono, invece di aiutare i loro manager ad accedere a piani di formazione adeguati ai tempi, continuano ad aizzarli affinché diventino sempre più bravi e aggressivi nell'incastrare il cliente.

Di simpatia e di amore da parte dei propri interlocutori, per fare un esempio ancora più specifico, ogni negoziante ha bisogno per piazzare la sua merce, ma ne ha soprattutto bisogno per rendere il cliente fedele nel futuro.
Pertanto non può limitarsi a vendere, deve essere in grado di risolvere davvero un problema a qualcuno se vuole sopravvivere. Il fenomeno si chiama customer satisfaction, ma alcuni sono rimasti al mero budget. E’ una questione di partenza.

Parlando di riuscita. Lo spiega bene Maxwell Maltz padre della psicocibernetica, uno non dovrebbe mai sentirsi un successo, ma cercare con impegno di avere costantemente successo.

Comunicatori etici
Chissà se un giorno assisteremo alla vera crescita di una classe di comunicatori professionalmente in gamba e umanamente a posto?

Grandi comunicatori etici ce ne sono, ma siamo in molti ad intuire (in prima fila chi ha bisogno di essere servito e di fidarsi del servizio fornitogli) che potrebbero essercene tanti di più. Sul mercato come nel sociale.
Questo però a patto che si riesca a essere (o perlomeno tentare di diventare) sufficientemente maturi per capire che qualità umane tipo l'umiltà possono essere coltivate.
A patto che si riesca a spiegare questa dote ai giovani futuri manager. E non soltanto in campo aziendale, in quanto manager è uno che gestisce il problema fino in fondo in ogni ambito della vita umana; aiutandoli a difendere il loro essere se stessi (magari umili, perché no?) senza sentrirsi fessi.

Hanno ragione i nostri interlocutori quando bocciano la nostra mostruosa presunzione e danno retta al primo venuto, secondo noi meno capace, ma, secondo loro, meno saccente e più reale di noi.


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