Da Mondo ADR – (link)
di Giuseppe De Palo
La Consulta ha deciso che il tentativo obbligatorio
di conciliazione, in talune cause civili, non poteva essere introdotto dal
Governo con il D.lgs 28/2010. La legge delega doveva essere più chiara sul
punto. Di più, da un comunicato stampa di due righe, al momento non si può
dire. Senza le motivazioni della sentenza, sia l’entusiasmo di chi dichiara
scongiurata una perniciosa “privatizzazione della giustizia”, sia l’allarmismo
di chi intravede la fine del “movimento ADR” in Italia, e auspica un immediato
intervento riparatorio del Parlamento, sono quindi ingiustificati.
Nell’interesse collettivo, è però sperabile che la
Corte non si limiti a motivare l’eccesso di delega (cioè, il vizio formale del
Dlgs 28/2010, oggetto del comunicato), ma intervenga, sia pure indirettamente,
sul merito delle questioni più spinose, tra cui l’obbligatorietà e l’onerosità
del tentativo. Questo intervento, sia esso “in positivo” (ad esempio, con
l’indicazione dei termini di durata massima della mediazione), o “in negativo”
(con l’esclusione, sempre in ipotesi, che vi possano essere conseguenze
negative per chi non accetta la proposta del mediatore) servirà a guidare il
Parlamento nella riscrittura della mediazione, cui l’Italia non può proprio
rinunciare, e che dovrà comunque includere sanzioni e incentivi.
Questo per una serie di motivi concatenati. Il
primo, condiviso anche dagli avvocati, è che la mediazione puramente volontaria
non funziona; da qui la richiesta unanime di “incentivi”, che però, specie di
questi tempi, sono merce rarissima. Il secondo è che il nostro Governo lo ha
promesso nella risposta alla famosa lettera della Commissione europea, ove tra
le misure indicate per migliorare l’efficienza della giustizia civile, a pagina
34 si menziona addirittura la … further expansion of mediation as a condition
of admissibility (“estensione della mediazione come condizione di
procedibilità”). Il terzo è un’interrogazione dell’Europarlamento alla
Commissione europea, il 12 ottobre scorso, ove si chiede di verificare che l’attuazione
della Direttiva del 2008 sulla mediazione sia effettiva; cioè, che i tentativi
di conciliazione si facciano davvero. Diversamente, il diritto comunitario va
considerato violato.
Con il Dlgs 28/2010 l’Italia era sulla strada
giusta: lo strumento stava iniziando a funzionare e le riforme necessitano di
tempo per produrre risultati, ha affermato a caldo il Ministro Severino. Quella
strada non può essere abbandonata, pena un’ulteriore aggravamento della crisi
generale. La situazione d’incertezza creatasi (si pensi alle quasi centomila
mediazioni conclusesi sino ad oggi, e a tutte quelle pendenti), il prospettato
intervento d’urgenza del Parlamento per porvi rimedio e la verosimile
prosecuzione della battaglia legale tra l’avvocatura e il resto del Paese sulla
mediazione sono le proverbiali grandi difficoltà capaci di tradursi in
altrettante opportunità: una legge, un clima e una giustizia civile (anche solo
un poco) migliore.
Basta che il Parlamento lo voglia, e soprattutto
provarci tutti seriamente. In proposito, un tentativo obbligatorio di
conciliazione “a tempo” – sufficiente alla mediazione per mostrare il proprio
potenziale (con il supporto dell’avvocatura), ma anche per valutarne i
risultati sul campo (la percentuale di adesione, il tasso di successo nei vari
settori etc.) – prima di consolidarlo, eliminarlo o estenderlo, potrebbe in
effetti essere la soluzione migliore per tutti. La Consulta non potrà
ovviamente spingersi fino a questo punto, ma le sue indicazioni saranno
determinanti.
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