sabato 27 ottobre 2012

Articolo di Maria Martello su Altalex


La mediazione dopo la Consulta: nulla è accaduto
Di Maria Martello - Fonte: Altalex.it (link)


Povera una mediazione che ha bisogno di “protezionismo”. Ma è davvero l’obbligatorietà di cui ha bisogno la mediazione per accreditarsi? Non arriveremo mai a capo di qualcosa in questo modo. Sballottati tra facili entusiasmi ed inesorabile depressione. Uno scenario che oltretutto poco si addice alla cultura stessa della mediazione e dei mediatori!

Oggi organismi in seduta plenaria per decretare la morte della mediazione, raffiche di telefonate e di mail alla ricerca di conferme autoconsolatorie o allarmistiche. Ieri, vale a dire solo qualche anno fa, annunci trionfalistici di visioni salvifiche della giustizia, troppo gravata dal contenzioso, paure e catastrofismi da parte degli avvocato che vedevano compromessa la loro professione, slancio salvifico di schiere di mediatori pronti ad accaparrare fette di business.

Gli entusiasmi che hanno accompagnato, specie nelle proclamazioni ministeriali, l’istituzione dell’obbligatorietà ad opera del d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28, sono rapidamente venuti meno, e non pochi danni già possono cogliersi in conseguenza di una situazione diventata alquanto difficile. Anzi non è stata foriera di nulla di buono in quanto i cittadini non hanno ricevuto una significativa informazione sui vantaggi della composizione delle liti secondo modalità inedite, pacifiche e costruttive, e si è perduta l’occasione di far sperimentare che ciò è realmente possibile a prescindere dall’obbligo di esperire - in taluni casi - il tentativo di mediazione prima di iniziare un contenzioso giudiziario.

E’ sintomatico che anche gli organi di stampa che maggiormente dovrebbero condividere la funzione sociale della mediazione, in primis quella di garantire l’accesso alla giustizia, hanno dato prova sia di una certa superficialità, sia di scarse conoscenze, condite da una buona dose di demagogia. Comunque a parte l’iniziale interessamento con articoli più o meno documentati e corretti presto anche ogni attenzione è scemata e la mediazione è caduta pressoché nell’oblio. 

Facilmente i potenziali fruitori sono stati vittime delle strategie di dissuasione poste in atto dai legali che male vedono questa innovazione, e di conseguenza di frequente non si sono presentatii di fronte al mediatore o, presentandosi, hanno corso sovente il rischio di trovarsi di fronte a mediatori alle prime armi e non adeguatamente competenti.

Anche gli effetti deflattivi del carico di lavoro degli organi giudiziari sono stati pressoché inesistenti, ad onta delle mirabolanti previsioni del ministro che tanto si impegnò in questa riforma unicamente quale strumento per il recupero della produttività del sistema della giustizia civile; al contempo il servizio reso ai confliggenti è stato impalpabile e certo non ne sono validi promotori gli avvocati, che innegabilmente godono di una posizione privilegiata nell’indirizzare le scelte dei clienti.

Di fronte a questo scenario si coglie da tempo in molti protagonisti della mediazione, delusione, preoccupazione, sfiducia: sono, infatti, già in crisi, anche economica, innumerevoli organismi di mediazione - circa mille - in tanti casi costituiti nella sincera convinzione di assolvere ad una importante funzione sociale, nel mentre l’enorme numero di mediatori abilitati - notizie di stampa riportano circa cinquantamila - hanno operato poco o nulla a causa dell’esiguità della domanda. Il primo impatto con le sedute di mediazione porta i mediatori più sensibili a provare insoddisfazione, e maturare la consapevolezza di necessitare di un bagaglio di competenze più profonde, solide, incisive. Le prime esperienze rafforzano altresì, nei soggetti di maggior spessore, l’esigenza di approfondimento dei modelli di mediazione, facendo sorgere il desiderio di meglio conoscerli, meglio apprenderne i valori, le implicazioni, le tecniche.

I risultati complessivi sono stati quantitativamente deludenti, se non addirittura frustranti ed, in ogni caso, permane incertezza in merito agli stessi tratti della mediazione, alle sue interazioni con molteplici aspetti del diritto - procedurale e sostanziale - ed i cittadini ignorano i benefici che dalla pratica della mediazione deriverebbero per la qualità della loro vita.

Crediamo di conoscere la mediazione. La mediazione è senza dubbio un paradosso: è l’utopia di far trovare la pace a chi, invece, vorrebbe confliggere. Le forme di giustizia negoziata soddisfano, infatti, esigenze che vanno ben oltre l’effetto deflattivo del quale l’amministrazione giudiziaria può, eventualmente, giovarsi, poiché è in gioco, la possibilità stessa per cittadini ed imprese di comporre senza onerosi traumi i conflitti che li vedono parte. La mediazione deve oggi essere percepita dalle parti, e da chi le assiste, quale concreta opportunità di evitare l’azione in sede giudiziale, non già -analogamente a quanto è stato nella sfera giuslavoristica- come un ineludibile, quanto inutile, passaggio obbligato per poter promuovere il giudizio, cui ci si accinge già sapendo che il tentativo fallirà per la mancata comparizione di una delle parti.

La Corte Costituzionale ha dichiarata la illegittimità costituzionale per eccesso di delega legislativa del d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28 nella parte in cui ha previsto il carattere obbligatorio della mediazione. Non sembra invece che sia entrata nel merito della illegittimità della obbligatorietà in sè. Si tratta di un profilo ampiamente noto, almeno quanto è noto il caso inverso: il difetto di delega, essendosi il legislatore delegato astenuto dal sistematizzare, uniformare e coordinare - come invece avrebbe dovuto - tutte le forme di tentativo di conciliazione disseminate nell’ordinamento. Il governo, o meglio ancora il parlamento, possono facilmente porvi rimedio, ripristinando - almeno - la obbligatorietà, dotandola di un valido background normativo.

A mio avviso potrebbe, anzi, essere l’occasione per recepire quegli indirizzi già emersi nel corso dell’iter che portò al d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28, secondo i quali l’obbligatorietà del ricorso alla mediazione avrebbe dovuto sempre configurarsi prima di intraprendere qualsivoglia giudizio civile: questa soluzione potrebbe realmente comportare una diminuzione della conflittualità in sede giudiziaria.

Comunque vada, non può che rammentarsi che la mediazione è, in ogni caso, uno strumento che risulta tanto più efficace quanto basato sulla reale volontà delle parti, ma difficilmente oggi questa via verrebbe liberamente scelta dal cittadino che nulla sa di qualcosa di così nuovo da poco inserito nell’ordinamento giuridico fin qui noto e fruito. Ciò che, in realtà, deve restare fondato sulla assoluta libertà di scelta è la decisione di giungere, o meno, ad un accordo. Altro è il porre le condizioni che ciò avvenga, se è l’utente a decidere. E l’obbligatorietà di accedere alla procedura di mediazione può rappresentare una via efficace anche per radicare una inedita cultura dell’approccio al contenzioso.

La pronuncia della Corte Costituzionale, oggi comunque riporta la mediazione al suo senso originario di scelta elettiva e non di un obbligo subito. Non un “matrimonio riparatore ma d’amore”, non una imposizione ma una condivisione, una scelta. Ma ovviamente deve avere una forza qualitativa dirompente, innovativa, di alto valore, di efficacia maggiore rispetto a quella fin ora mediamente offerta.

Altri sono a mio parere le questioni che rendono alquanto incerto il futuro della mediazione. La prassi attuativa della mediazione non è coadiuvata da una efficace formazione dei mediatori. Sono sorti moltissimi enti di formazione: all’opinabile livello qualitativo medio - in presenza dei requisiti essenzialmente formali richiesti per ottenere l’accreditamento del ministero della giustizia, si associa una durata risibile del percorso formativo - come è noto solo cinquanta ore! - con la conseguenza che qualsiasi modalità formativa venga individuata, anche nei termini di mero addestramento, essa non può che risultare superficiale e limitata.

Analizzando i percorsi attualmente proposti dagli enti che erogano formazione, si nota un vistoso sbilanciamento verso la semplice informazione sul dettato legislativo, con qualche timido accenno alla pratica operativa, in uno stile esercitativo connotato da tecniche di pura imitazione di schemi precostituiti, senza adeguata cura della preparazione della persona: componente questa che dovrebbe invece costituire l’aspetto più impegnativo ed importante dell’obbligo formativo.

Eppure non se ne sanno individuare modalità e contenuti per una valida concretizzazione, finendo con il proporre modelli sovente tra loro assai differenti, e non di rado acriticamente utilizzati. Spesso i moduli formativi fanno leva su formali canoni di competenza, maggiormente riscontrabili e rassicuranti, ma atti a generare la pericolosa illusione di essere preparati a far fronte a qualsiasi situazione. Il risultato è un superficiale indottrinamento, che arreca un danno alla collettività, a disposizione della quale vi sono mediatori inidonei in quanto sprovvisti di adeguata preparazione.

Ahimè, quando la formazione non è avvenuta in modo compiuto, o non è avvenuta del tutto, certe modalità o strategie relazionali sono adottate da mediatori addestrati senza una vera e propria padronanza e consapevolezza del loro operare: questa improvvisazione da parte di chi eroga i servizi conciliativi non giova ad alcuno ed aumenta la diffidenza in chi potrebbe accedere con fiducia e convinzione a questo strumento così diverso dalla giustizia ordinaria.

Se si sposta lo sguardo dalla formazione alla manualistica ad essa relativa, non può che constatarsi come non poche fra le sempre più numerose opere parafrasano con monotonia e superficialità le pagine dei più noti testi di scuola harwardiana sulle tecniche che il mediatore deve padroneggiare senza che traspaia in alcun modo la visione complessiva delle relazioni fra le mere tecniche e gli obiettivi rilevanti anche nella prospettiva sociale dell’access to justice.

Accade così che spesso si finisca, fruitori ed operatori, frettolosamente, con il ritenere inefficace l’istituto della mediazione, ancor prima di averlo adeguatamente conosciuto, appreso ed utilizzato senza distinguere il valore in sé dai limiti della norma, dalle carenze delle metodologie applicate, dalle peculiarità delle condizioni culturali in cui si opera e porvi rimedio in tempo.

I pericoli, già tempestivamente segnalati, ai primi indizi, sono essenzialmente quindi rappresentati dalla debolezza deontologica degli operatori, dalle carenze culturali degli organismi di mediazione nonché degli enti di formazione dei mediatori, dall’incertezza della prassi, dalla scarsa consapevolezza dell’importanza della nuova figura, da un percorso di formazione approssimativo.

Ma, soprattutto, la cultura della mediazione è ancora estranea non soltanto ai cittadini, ma altresì alla gran parte degli operatori per loro scelta deputati ad offrire il servizio. Il cammino appare, quindi, denso di difficoltà che devono essere superate per giungere a radicare una mediazione non contaminata da prassi che con essa hanno poco o nulla da spartire: certamente il percorso sarà ancora più difficoltoso qualora l’impegno di chi ha responsabilità sociali, politiche e culturali non assumerà iniziative nel segno di un serio, costante, approfondito e sinergico intervento.

Necessario sarebbe dare ai cittadini qualche motivo per incuriosirsi e proseguire nella scoperta di quanto la mediazione risponda a loro bisogni reali: dietro la voglia di litigare vi è spesso la recondita speranza che, all’improvviso, come per magia tutto appaia una finzione e che sia possibile pervenire ad un accordo fondato sulla ricerca dell’armonia e la salvaguardia del rispetto reciproco.

I responsabili degli organismi di mediazione ed i mediatori, superato lo sgomento dell’attuale sentenza della Corte Costituzionale potrebbero meglio indagare il senso del futuro possibile investendo nel consolidamento della pratica della mediazione attraverso il miglioramento delle competenze; gli enti di formazione, invece, prospettare un modello di formazione più incisivo ed efficace. E’ serio impegnarsi a tutti i livelli per cercare le strade affinché la mediazione abbia gli sviluppi che sono auspicabili, a condizione che sia praticata con il rispetto che si deve ad un procedimento che agisce nel profondo delle persone, che non può essere ridotto ad una forma di giustizia ‘minore’, ma –al contrario- favorisce una evoluzione del diritto e della giustizia medesima.

E’ il momento di pensare ad una giustizia non togata, come bene ha detto Cesare Vaccà, di prossimità, che abbatta i tempi ed i costi del contenzioso, ma forte nei contenuti, fraterna per dirla con Eligio Resta. Una giustizia che sappia percorrere nuove strade, che vadano ben oltre le ragioni ed i fatti, restituendo alle parti il potere decisionale, senza deleghe. Una provocazione intellettuale che non dovrebbe lasciare spazio ad interventi estemporanei e dilettantistici. Non è fuori luogo immaginare che il futuro sarà del solo mediatore di qualità. Ciò ora è più che mai possibile prima che si diffonda un senso di inadeguatezza, o che ci si rassegni a prestazioni di basso profilo.

E’ necessario contemporaneamente un piano capillare di sensibilizzazione dei cittadini sull’importanza di risolvere le liti con gli strumenti alternativi alle vie giudiziarie, ma soprattutto alternativi alla logica della estremizzazione delle posizioni e della vittoria unilaterale sull’altro. E’ necessario educare, ad ogni età ed indipendentemente dal ruolo, il maggior numero di persone alla consapevolezza che negoziamo sempre, anche se non ce ne rendiamo conto. In ogni situazione, dalla più semplice a quelle più complesse, di natura tanto personale, quanto professionale, ci confrontiamo con altri e conduciamo trattative. A volte proficue, altre vane. Di regola senza conoscere le basi più profonde delle dinamiche relazionali ed, al contempo, le modalità più efficaci per comunicare ed agire. E da qui avviare un recupero delle carenze con un percorso di formazione strutturato, ben oltre l’apprendimento spontaneistico per prove ed errori, che coinvolga tutti i percorsi formativi, dai livelli primari a quelli della formazione continua degli adulti.

E’ necessario formare professionisti ‘forti’, capaci, in grado di rappresentare gli inediti modi di intendere le relazioni umane alla base delle nuove formule proposte facendo ricorso ad una salda mentalità mediativa, oltre che alle tecniche adeguate. E’ doveroso, considerata la novità di questa metodologia, soffermarsi ad esplicitare i significati che implicitamente le si attribuiscono e che oggi rappresentano una babele: ognuno ha una sua idea, poco le si condivide, poco o nulla si ricerca, poco si dedica alla messa a punto di un pensiero e di una metodologia.

Comunque la posta in gioco è molto alta. Dalla mediazione può cominciare un’opera di ricostruzione culturale, ma anche morale e civile della società italiana, che mai come in questi tempi ne ha estremo bisogno. È ancora possibile raggiungere una solida ed effettiva applicazione della mediazione che consenta ai mediatori ed agli organismi di proporsi con piena dignità nel mondo del lavoro e nella vita sociale. Ma a tal fine è indispensabile accostarvisi con un mutato e diverso atteggiamento. E la pronuncia della Corte Costituzionale che sgombra il campo da posizioni di privilegio rappresentati dal ricorso obbligatorio alla mediazione attivi l’impegno degli operatori del settore a crearsi la credibilità conquistandola con i meriti reali del loro operato.

E’ un dovere civico, un modo serio di essere cittadini responsabili e membri della società civile. E’ è un atto politico, attraverso il quale si partecipa alla polis.

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