La mediazione dopo la Consulta: nulla è accaduto
Di Maria
Martello - Fonte: Altalex.it (link)
Povera una mediazione che ha bisogno di
“protezionismo”. Ma è davvero l’obbligatorietà di cui ha bisogno la mediazione
per accreditarsi? Non arriveremo mai a capo di qualcosa in questo modo.
Sballottati tra facili entusiasmi ed inesorabile depressione. Uno scenario che
oltretutto poco si addice alla cultura stessa della mediazione e dei mediatori!
Oggi organismi in seduta plenaria per decretare la
morte della mediazione, raffiche di telefonate e di mail alla ricerca di
conferme autoconsolatorie o allarmistiche. Ieri, vale a dire solo qualche anno
fa, annunci trionfalistici di visioni salvifiche della giustizia, troppo
gravata dal contenzioso, paure e catastrofismi da parte degli avvocato che
vedevano compromessa la loro professione, slancio salvifico di schiere di
mediatori pronti ad accaparrare fette di business.
Gli entusiasmi che hanno accompagnato, specie nelle
proclamazioni ministeriali, l’istituzione dell’obbligatorietà ad opera del
d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28, sono rapidamente venuti meno, e non pochi danni già
possono cogliersi in conseguenza di una situazione diventata alquanto
difficile. Anzi non è stata foriera di nulla di buono in quanto i cittadini non
hanno ricevuto una significativa informazione sui vantaggi della composizione
delle liti secondo modalità inedite, pacifiche e costruttive, e si è perduta
l’occasione di far sperimentare che ciò è realmente possibile a prescindere
dall’obbligo di esperire - in taluni casi - il tentativo di mediazione prima di
iniziare un contenzioso giudiziario.
E’ sintomatico che anche gli organi di stampa che
maggiormente dovrebbero condividere la funzione sociale della mediazione, in
primis quella di garantire l’accesso alla giustizia, hanno dato prova sia di
una certa superficialità, sia di scarse conoscenze, condite da una buona dose
di demagogia. Comunque a parte l’iniziale interessamento con articoli più o
meno documentati e corretti presto anche ogni attenzione è scemata e la
mediazione è caduta pressoché nell’oblio.
Facilmente i potenziali fruitori sono stati vittime
delle strategie di dissuasione poste in atto dai legali che male vedono questa
innovazione, e di conseguenza di frequente non si sono presentatii di fronte al
mediatore o, presentandosi, hanno corso sovente il rischio di trovarsi di
fronte a mediatori alle prime armi e non adeguatamente competenti.
Anche gli effetti deflattivi del carico di lavoro
degli organi giudiziari sono stati pressoché inesistenti, ad onta delle
mirabolanti previsioni del ministro che tanto si impegnò in questa riforma
unicamente quale strumento per il recupero della produttività del sistema della
giustizia civile; al contempo il servizio reso ai confliggenti è stato
impalpabile e certo non ne sono validi promotori gli avvocati, che
innegabilmente godono di una posizione privilegiata nell’indirizzare le scelte
dei clienti.
Di fronte a questo scenario si coglie da tempo in
molti protagonisti della mediazione, delusione, preoccupazione, sfiducia: sono,
infatti, già in crisi, anche economica, innumerevoli organismi di mediazione -
circa mille - in tanti casi costituiti nella sincera convinzione di assolvere
ad una importante funzione sociale, nel mentre l’enorme numero di mediatori
abilitati - notizie di stampa riportano circa cinquantamila - hanno operato
poco o nulla a causa dell’esiguità della domanda. Il primo impatto con le
sedute di mediazione porta i mediatori più sensibili a provare insoddisfazione,
e maturare la consapevolezza di necessitare di un bagaglio di competenze più
profonde, solide, incisive. Le prime esperienze rafforzano altresì, nei
soggetti di maggior spessore, l’esigenza di approfondimento dei modelli di
mediazione, facendo sorgere il desiderio di meglio conoscerli, meglio
apprenderne i valori, le implicazioni, le tecniche.
I risultati complessivi sono stati
quantitativamente deludenti, se non addirittura frustranti ed, in ogni caso,
permane incertezza in merito agli stessi tratti della mediazione, alle sue
interazioni con molteplici aspetti del diritto - procedurale e sostanziale - ed
i cittadini ignorano i benefici che dalla pratica della mediazione deriverebbero
per la qualità della loro vita.
Crediamo di conoscere la mediazione. La mediazione
è senza dubbio un paradosso: è l’utopia di far trovare la pace a chi, invece,
vorrebbe confliggere. Le forme di giustizia negoziata soddisfano, infatti,
esigenze che vanno ben oltre l’effetto deflattivo del quale l’amministrazione
giudiziaria può, eventualmente, giovarsi, poiché è in gioco, la possibilità
stessa per cittadini ed imprese di comporre senza onerosi traumi i conflitti
che li vedono parte. La mediazione deve oggi essere percepita dalle parti, e da
chi le assiste, quale concreta opportunità di evitare l’azione in sede
giudiziale, non già -analogamente a quanto è stato nella sfera giuslavoristica-
come un ineludibile, quanto inutile, passaggio obbligato per poter promuovere
il giudizio, cui ci si accinge già sapendo che il tentativo fallirà per la
mancata comparizione di una delle parti.
La Corte Costituzionale ha dichiarata la
illegittimità costituzionale per eccesso di delega legislativa del d.lgs. 4
marzo 2010, n. 28 nella parte in cui ha previsto il carattere obbligatorio
della mediazione. Non sembra invece che sia entrata nel merito della
illegittimità della obbligatorietà in sè. Si tratta di un profilo ampiamente
noto, almeno quanto è noto il caso inverso: il difetto di delega, essendosi il
legislatore delegato astenuto dal sistematizzare, uniformare e coordinare -
come invece avrebbe dovuto - tutte le forme di tentativo di conciliazione
disseminate nell’ordinamento. Il governo, o meglio ancora il parlamento,
possono facilmente porvi rimedio, ripristinando - almeno - la obbligatorietà,
dotandola di un valido background normativo.
A mio avviso potrebbe, anzi, essere l’occasione per
recepire quegli indirizzi già emersi nel corso dell’iter che portò al d.lgs. 4
marzo 2010, n. 28, secondo i quali l’obbligatorietà del ricorso alla mediazione
avrebbe dovuto sempre configurarsi prima di intraprendere qualsivoglia giudizio
civile: questa soluzione potrebbe realmente comportare una diminuzione della
conflittualità in sede giudiziaria.
Comunque vada, non può che rammentarsi che la
mediazione è, in ogni caso, uno strumento che risulta tanto più efficace quanto
basato sulla reale volontà delle parti, ma difficilmente oggi questa via
verrebbe liberamente scelta dal cittadino che nulla sa di qualcosa di così
nuovo da poco inserito nell’ordinamento giuridico fin qui noto e fruito. Ciò
che, in realtà, deve restare fondato sulla assoluta libertà di scelta è la
decisione di giungere, o meno, ad un accordo. Altro è il porre le condizioni
che ciò avvenga, se è l’utente a decidere. E l’obbligatorietà di accedere alla
procedura di mediazione può rappresentare una via efficace anche per radicare
una inedita cultura dell’approccio al contenzioso.
La pronuncia della Corte Costituzionale, oggi
comunque riporta la mediazione al suo senso originario di scelta elettiva e non
di un obbligo subito. Non un “matrimonio riparatore ma d’amore”, non una
imposizione ma una condivisione, una scelta. Ma ovviamente deve avere una forza
qualitativa dirompente, innovativa, di alto valore, di efficacia maggiore
rispetto a quella fin ora mediamente offerta.
Altri sono a mio parere le questioni che rendono
alquanto incerto il futuro della mediazione. La prassi attuativa della
mediazione non è coadiuvata da una efficace formazione dei mediatori. Sono
sorti moltissimi enti di formazione: all’opinabile livello qualitativo medio -
in presenza dei requisiti essenzialmente formali richiesti per ottenere
l’accreditamento del ministero della giustizia, si associa una durata risibile
del percorso formativo - come è noto solo cinquanta ore! - con la conseguenza
che qualsiasi modalità formativa venga individuata, anche nei termini di mero
addestramento, essa non può che risultare superficiale e limitata.
Analizzando i percorsi attualmente proposti dagli
enti che erogano formazione, si nota un vistoso sbilanciamento verso la
semplice informazione sul dettato legislativo, con qualche timido accenno alla
pratica operativa, in uno stile esercitativo connotato da tecniche di pura
imitazione di schemi precostituiti, senza adeguata cura della preparazione
della persona: componente questa che dovrebbe invece costituire l’aspetto più
impegnativo ed importante dell’obbligo formativo.
Eppure non se ne sanno individuare modalità e
contenuti per una valida concretizzazione, finendo con il proporre modelli
sovente tra loro assai differenti, e non di rado acriticamente utilizzati.
Spesso i moduli formativi fanno leva su formali canoni di competenza,
maggiormente riscontrabili e rassicuranti, ma atti a generare la pericolosa
illusione di essere preparati a far fronte a qualsiasi situazione. Il risultato
è un superficiale indottrinamento, che arreca un danno alla collettività, a
disposizione della quale vi sono mediatori inidonei in quanto sprovvisti di
adeguata preparazione.
Ahimè, quando la formazione non è avvenuta in modo
compiuto, o non è avvenuta del tutto, certe modalità o strategie relazionali
sono adottate da mediatori addestrati senza una vera e propria padronanza e consapevolezza
del loro operare: questa improvvisazione da parte di chi eroga i servizi
conciliativi non giova ad alcuno ed aumenta la diffidenza in chi potrebbe
accedere con fiducia e convinzione a questo strumento così diverso dalla
giustizia ordinaria.
Se si sposta lo sguardo dalla formazione alla
manualistica ad essa relativa, non può che constatarsi come non poche fra le
sempre più numerose opere parafrasano con monotonia e superficialità le pagine
dei più noti testi di scuola harwardiana sulle tecniche che il mediatore deve
padroneggiare senza che traspaia in alcun modo la visione complessiva delle
relazioni fra le mere tecniche e gli obiettivi rilevanti anche nella
prospettiva sociale dell’access to justice.
Accade così che spesso si finisca, fruitori ed
operatori, frettolosamente, con il ritenere inefficace l’istituto della
mediazione, ancor prima di averlo adeguatamente conosciuto, appreso ed
utilizzato senza distinguere il valore in sé dai limiti della norma, dalle
carenze delle metodologie applicate, dalle peculiarità delle condizioni
culturali in cui si opera e porvi rimedio in tempo.
I pericoli, già tempestivamente segnalati, ai primi
indizi, sono essenzialmente quindi rappresentati dalla debolezza deontologica
degli operatori, dalle carenze culturali degli organismi di mediazione nonché
degli enti di formazione dei mediatori, dall’incertezza della prassi, dalla
scarsa consapevolezza dell’importanza della nuova figura, da un percorso di
formazione approssimativo.
Ma, soprattutto, la cultura della mediazione è
ancora estranea non soltanto ai cittadini, ma altresì alla gran parte degli
operatori per loro scelta deputati ad offrire il servizio. Il cammino appare,
quindi, denso di difficoltà che devono essere superate per giungere a radicare
una mediazione non contaminata da prassi che con essa hanno poco o nulla da
spartire: certamente il percorso sarà ancora più difficoltoso qualora l’impegno
di chi ha responsabilità sociali, politiche e culturali non assumerà iniziative
nel segno di un serio, costante, approfondito e sinergico intervento.
Necessario sarebbe dare ai cittadini qualche motivo
per incuriosirsi e proseguire nella scoperta di quanto la mediazione risponda a
loro bisogni reali: dietro la voglia di litigare vi è spesso la recondita
speranza che, all’improvviso, come per magia tutto appaia una finzione e che
sia possibile pervenire ad un accordo fondato sulla ricerca dell’armonia e la
salvaguardia del rispetto reciproco.
I responsabili degli organismi di mediazione ed i
mediatori, superato lo sgomento dell’attuale sentenza della Corte
Costituzionale potrebbero meglio indagare il senso del futuro possibile
investendo nel consolidamento della pratica della mediazione attraverso il
miglioramento delle competenze; gli enti di formazione, invece, prospettare un
modello di formazione più incisivo ed efficace. E’ serio impegnarsi a tutti i
livelli per cercare le strade affinché la mediazione abbia gli sviluppi che
sono auspicabili, a condizione che sia praticata con il rispetto che si deve ad
un procedimento che agisce nel profondo delle persone, che non può essere
ridotto ad una forma di giustizia ‘minore’, ma –al contrario- favorisce una
evoluzione del diritto e della giustizia medesima.
E’ il momento di pensare ad una giustizia non
togata, come bene ha detto Cesare Vaccà, di prossimità, che abbatta i tempi ed
i costi del contenzioso, ma forte nei contenuti, fraterna per dirla con Eligio
Resta. Una giustizia che sappia percorrere nuove strade, che vadano ben oltre
le ragioni ed i fatti, restituendo alle parti il potere decisionale, senza
deleghe. Una provocazione intellettuale che non dovrebbe lasciare spazio ad
interventi estemporanei e dilettantistici. Non è fuori luogo immaginare che il
futuro sarà del solo mediatore di qualità. Ciò ora è più che mai possibile
prima che si diffonda un senso di inadeguatezza, o che ci si rassegni a
prestazioni di basso profilo.
E’ necessario contemporaneamente un piano capillare
di sensibilizzazione dei cittadini sull’importanza di risolvere le liti con gli
strumenti alternativi alle vie giudiziarie, ma soprattutto alternativi alla
logica della estremizzazione delle posizioni e della vittoria unilaterale
sull’altro. E’ necessario educare, ad ogni età ed indipendentemente dal ruolo,
il maggior numero di persone alla consapevolezza che negoziamo sempre, anche se
non ce ne rendiamo conto. In ogni situazione, dalla più semplice a quelle più
complesse, di natura tanto personale, quanto professionale, ci confrontiamo con
altri e conduciamo trattative. A volte proficue, altre vane. Di regola senza
conoscere le basi più profonde delle dinamiche relazionali ed, al contempo, le
modalità più efficaci per comunicare ed agire. E da qui avviare un recupero
delle carenze con un percorso di formazione strutturato, ben oltre l’apprendimento
spontaneistico per prove ed errori, che coinvolga tutti i percorsi formativi,
dai livelli primari a quelli della formazione continua degli adulti.
E’ necessario formare professionisti ‘forti’,
capaci, in grado di rappresentare gli inediti modi di intendere le relazioni
umane alla base delle nuove formule proposte facendo ricorso ad una salda
mentalità mediativa, oltre che alle tecniche adeguate. E’ doveroso, considerata
la novità di questa metodologia, soffermarsi ad esplicitare i significati che
implicitamente le si attribuiscono e che oggi rappresentano una babele: ognuno
ha una sua idea, poco le si condivide, poco o nulla si ricerca, poco si dedica
alla messa a punto di un pensiero e di una metodologia.
Comunque la posta in gioco è molto alta. Dalla
mediazione può cominciare un’opera di ricostruzione culturale, ma anche morale
e civile della società italiana, che mai come in questi tempi ne ha estremo
bisogno. È ancora possibile raggiungere una solida ed effettiva applicazione
della mediazione che consenta ai mediatori ed agli organismi di proporsi con
piena dignità nel mondo del lavoro e nella vita sociale. Ma a tal fine è
indispensabile accostarvisi con un mutato e diverso atteggiamento. E la
pronuncia della Corte Costituzionale che sgombra il campo da posizioni di
privilegio rappresentati dal ricorso obbligatorio alla mediazione attivi
l’impegno degli operatori del settore a crearsi la credibilità conquistandola
con i meriti reali del loro operato.
E’ un dovere civico, un modo serio di essere
cittadini responsabili e membri della società civile. E’ è un atto politico,
attraverso il quale si partecipa alla polis.
Nessun commento:
Posta un commento