martedì 11 dicembre 2012

Il Sole 24 ore - Mediaconciliazione, la delega escludeva l’obbligatorietà


Da Guida al Diritto
Di Filippo Martini
11 dicembre 2012
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Le tanto attese motivazioni della sentenza della Corte Costituzionale, che ha dichiarato la incostituzionalità della così detta mediazione  obbligatoria, sono dunque pervenute e la decisione - letta con attenzione e senza condizionamenti di parte - è, come era lecito attendersi, assai interessante.

La sentenza n. 272 depositata il 6 dicembre 2012 passerà certo alle cronache come una decisione che, nel bene e nel male, incide sul sistema giudiziario italiano, colpito nel suo ordinario ed istituzionale svolgimento da una disciplina (quella del Dlgs 4 marzo 2010 n. 28) che si è caratterizzata fin da subito per la sua grossolana elaborazione e per la macchinosa creazione di strumenti sanzionatori preferiti a più auspicabili meccanismi incentivanti (cosa che ha portato all'alto costo della procedura non sostenibile per l'utenza e per la collettività).

Ma, poiché la Corte era chiamata a decidere preliminarmente sulla violazione delle basilari norme di legiferazione, stante la assoluta incongruenza normativa tra legge delega (articolo 60 legge 18 giugno 2009 n. 69) e la sua traduzione dispositiva da parte dell'allora Governo (con particolare riguardo all'articolo 5 del decreto 28/2010), i commenti che si sono succeduti allo scarno comunicato, col quale veniva annunciata la incostituzionalità della mediazione obbligatoria, si erano concentrati sulla previsione di quali sarebbero stati gli spunti di valutazione del supremo Collegio su aspetti di merito, uscendo  dal mero contesto di censura preliminare.

Ebbene, la attenta lettura della decisione porta a ritenere che, pur nella limitata efficacia legata alla declaratoria di incostituzionalità assorbente dei profili di censura ad essa logicamente  succedanei, siano almeno due gli elementi di riflessione ed i solchi che i giudici della Corte pongono come traccia non prescindibile, nemmeno in un'ottica di eventuale rielaborazione normativa.

La disciplina comunitaria

Si allude qui alla ampia trattazione con la quale la Corte, dopo avere rammentato l'ispirazione comunitaria della legge e richiamato alla necessaria coerenza con la normativa dell'Unione europea, precisa che la mediazione obbligatoria codificata in Italia  si sia disancorata dai dettami comunitari tratti dalla direttiva 2008/52/CE, proprio nella parte in cui è stata disciplinata la sua obbligatorietà.

Così dopo l'ampia e completa ricognizione dei principi comunitari che devono ispirare la disciplina transnazionale ed interna, la Corte rileva che dagli atti della Unione europea "non si desume alcuna esplicita o implicita opzione a favore del carattere obbligatorio dell'istituto della mediazione".

Né è equivocabile sul punto il pensiero della Corte laddove riferisce che "Pertanto, la disciplina dell’UE si rivela neutrale in ordine alla scelta del modello di mediazione da adottare, la quale resta demandata ai singoli Stati membri, purché sia garantito il diritto di adire i giudici competenti per la definizione giudiziaria delle controversie. Ne deriva che l’opzione a favore del modello di mediazione obbligatoria, operata dalla normativa censurata, non può trovare fondamento nella citata disciplina".

Ha trovato dunque conforto l'osservazione da più parti sollevata che la  legislazione nazionale, nell'introdurre la obbligatorietà della mediazione, si pose al di fuori del contesto disciplinare comunitario, ideando un meccanismo unico in Europa, per la sua macchinosa struttura coercitiva  e per la ampiezza dei procedimenti e delle materie coinvolte.
Ma non è tutto.

Il silenzio voluto della delega

Per non cadere in una lettura semplicistica della ampia motivazione della Corte, occorrerà infatti dare il giusto risalto anche al passaggio ove il Collegio rileva che la legge delega aveva omesso di introdurre l'obbligatorietà non per una mera dimenticanza, ma per scelta legislativa adottata proprio in esito al dibattito ed ai lavori parlamentari.

Si legge infatti nella ampia riflessione della Corte sul tema, che "Eppure, non si può certo ritenere che l’omissione riguardi un aspetto secondario o marginale. Al contrario, la scelta del modello di mediazione costituisce un profilo centrale nella disciplina dell’istituto, come risulta sia dall’ampio dibattito dottrinale svoltosi in proposito, sia dai lavori parlamentari durante i quali il tema dell’obbligatorietà o meno della mediazione fu più volte discusso".

Non fu quindi una dimenticanza ma una ben più cosciente e meditata scelta legislativa, dalla quale dunque per  affrancarsi occorrerebbe non un mero passaggio parlamentare ma una riflessione di ispirazione dottrinale che portasse ad approdi opposti ai quali giunsero  il legislatore ed il Parlamento solo tre anni fa con l'emanazione della legge n. 69/2009.

Dirimente sul punto è il passaggio con il quale la Corte rammenta che "in realtà, con il censurato articolo 5 comma 1 si è posto in essere un istituto che non soltanto è privo di riferimenti ai principi e criteri della delega, ma almeno in due punti, contrasta con la concezione della mediazione come vista dalla normativa delegata".

Non sufficiente un semplice passaggio parlamentare per l’obbligatorietà
Non si tratta, quindi, di una carenza emendabile con un semplice passaggio parlamentare, ma di una esplicita scelta legislativa, per dissociarsi dalla quale occorrerebbe rivisitare l'intero impianto normativo della legge n. 69 del 2009, per giungere ad un approdo che non trovò nell'Inter parlamentare di allora una giuridica soluzione positiva, men che meno, riteniamo, nella previsione di un impedimento concreto e non superabile all'esercizio dell'azione giudiziaria quando siano coinvolti diritti primari della persona (il bene salute in primis), ai quali la nostra Carta costituzionale riconosce una  inalienabile ed intangibile tutela primaria.

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