venerdì 24 ottobre 2014

Daniel Pennac: “Insegnare significa spiegare agli alunni che esiste un futuro”

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Riporto nel mio blog una bella intervista (da la Repubblica del 20 ottobre) di Ezio Mauro allo scrittore francese Daniel Pennac. 

Un bel dialogo sul ruolo che l'educazione ha nei confronti dei giovani e, ampliando lo sguardo alla formazione per gli adulti, sull’apprendimento e di come esso comporti un “inguaribile” ottimismo, non vuoto e basato solo su una generica "speranza" ma consapevole, circa il futuro e le sue opportunità. 

Una riflessione che può essere utile per capire non solo dove siamo manche cosa è possibile ed opportuno fare per “alzare la testa, oltre che lo sguardo”…


Pennac: "Ragazzi, non ascoltate chi vi dice che non valete niente"
Lo scrittore dialoga con Ezio Mauro "Insegnare significa spiegare agli alunni che esiste un futuro. E se non lo capiscono, spiegarglielo di nuovo"
di Sara Scarafia - La Repubblica, 20 ottobre 2014

PALERMO. Una scuola che insegni agli allievi a essere “sovrani di se stessi”. L' ultimo appuntamento di Repubblica delle Idee a Palermo – il dialogo tra lo scrittore francese Daniel Pennac e il direttore Ezio Mauro – incomincia dalle parole di Don Milani, il maestro di Barbiana. "Sovrani di se stessi", una citazione di Lettera a una professoressa, si intitolava l'evento clou, introdotto da Fabio Gambaro, della due giorni di incontri, confronti e dibattiti durante i quali si è tracciato il profilo della scuola del futuro. Pennac e Mauro hanno parlato a una platea affollatissima: tutti i 1300 posti a sedere del Teatro Massimo di Palermo erano occupati, decine di persone hanno assistito in piedi.

Lo scrittore francese e il direttore hanno immaginato una scuola che non è più un problema e diventa un'opportunità. Una scuola che salva tutti, anche i somari, proprio com'era il Pennac studente. Dal palco del Massimo l'amatissimo papà della famiglia Malaussène ha rivolto agli insegnanti l'invito a liberare i ragazzi “dall' incubo di ritenersi senza futuro”.

Mauro: 
Siamo qui per parlare di libertà attraverso la cultura. Allora è giusto partire da Don Milani che diceva che solo la lingua ci fa uguali.
Pennac: 
La lingua ci unisce a condizione che non venga confiscata da parte di nessuno. La maggior parte dei problemi incontrati dagli allievi delle classi svantaggiate sono legati alla lingua, alla non comprensione di quello che viene detto loro, del modo in cui il professore parla loro. Solo se i professori riescono a farsi capire, a utilizzare una lingua che non terrorizzi, solo allora si creano le condizioni di uguaglianza di cui parlava Don Milani. Per creare questo sentimento di fiducia il primo lavoro di un docente deve essere quello di lottare con accanimento contro la paura del bambino di non capire la domanda che gli è stata posta e di conseguenza di fare la figura dell' imbecille.

Mauro: 
Antonio Gramsci diceva che cultura «è la capacità che la nostra mente ha di comprendere la vita» e che chiunque può essere filosofo, basta vivere da uomini tenendo gli occhi aperti e curiosi su tutto, non addormentarsi e non impigrirsi mai. È per questo che andiamo a scuola e per tutta la vita non smettiamo di studiare?
Pennac: 
«La lingua è fascista», disse Roland Barthes al Collège de France destando scandalo, perché il potere totalitario confisca il linguaggio. Quando il potere viene incarnato da certi individui diventa il primo nemico della scuola. E oggi bisogna lottare contro la nuova confisca del linguaggio, quella che l' Italia ha subito per vent'anni e la Francia per cinque (applausi, ndr). Quella di chi dice tutto e niente usando il tono di chi dice una verità. Per esempio che la giustizia non esiste e che è una vittima delle istituzioni perché subisce cinque processi.

Mauro: 
Secondo il premio Nobel per la pace Malala Yousafzai, la giovane attivista pachistana che si è battuta per il diritto delle ragazze all'istruzione, «un bambino, un insegnante, un libro, una penna, possono cambiare il mondo». E per questo che l'istruzione fa paura ai potenti, l'istruzione è sovversiva?
Pennac: 
Direi di sì. L'istruzione è un modo di destare la coscienza degli uomini. Ma c'è molto lavoro ancora da fare.

Mauro: 
In una società che ha perso la nozione del bene comune, gli insegnanti possono farcela a riaccendere il fuoco della coscienza pubblica?
Pennac: 
Se chiediamo loro questa cosa li terrorizziamo. Ma ogni giorno in una classe c’è un docente che ha vinto la paura dei suoi alunni. E ogni giorno nelle aule ci sono bambini ai quali si illuminano gli occhi perché hanno finalmente capito qualcosa che era per loro del tutto incomprensibile.

Mauro: 
Nel libro Diario di scuola tu stesso ti metti dal lato dei somari, dalla parte di chi rischia di perdere la battaglia della scuola. La democrazia non contempla le esclusioni, che pure cominciano sui banchi. La cultura può salvare un ragazzo?

Pennac: 
Quando i professori mi dicevano che ero un cretino io ci credevo, credevo di non avere futuro. Vivevo nel presente dell'indicativo come tanti bambini che pensano che non ce la faranno mai. Il ruolo dell'insegnante è quello di spiegare una seconda volta, di ripescare i somari. Insegnare loro che il vero coraggio è sapere tante cose. Perché sapere tante cose significa vivere.

Mauro: 
Parli spesso della figura del "bambino-cliente": non c'è il rischio che l'illusione di un mondo facile, che una delega totale alla rete possa mettere fuori gioco la scuola?
Pennac: 
I bambini guardano in tv la pubblicità che stimola il desiderio consumistico. Così molti ritengono che la loro identità sia costituita dal sentire il desiderio e dal soddisfarlo. In classe il professore deve dimostrare loro che la vita della mente passa attraverso l'accettazione del suo insegnamento, che si rivolge ai loro bisogni e non ai loro desideri.

Mauro: 
Tu dici che il verbo leggere non tollera l'imperativo e che la lettura non è un obbligo morale. La cultura è più importante di tutto, ma la libertà è più importante della cultura?
Pennac: 
Sì perché ci sono persone che non ce l’hanno.


L’intervista è ripresa da mondodigitale.it

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