giovedì 6 dicembre 2012

Il commento di Marco Marinaro alla sentenza della Consulta


Da Il Sole 24 ore – 6 dicembre 2012 (link)

La pubblicazione di un laconico comunicato stampa all’esito dell’udienza del 23 ottobre con il quale si preannunciava una declaratoria di illegittimità costituzionale della mediazione obbligatoria sotto il profilo dell’eccesso di delega aveva aperto a reazioni di segno opposto ed a ulteriori contrasti tra coloro che ritenevano lo strumento dell’obbligatorietà un male necessario e chi invece ne avversava la sua esistenza quale limite eccessivo all’accesso alla giurisdizione.

Ma già il comunicato, pur nella sua essenzialità, aveva lasciato ben intendere che la decisione era circoscritta ad un tema estremamente legato alla tecnica legislativa se pure di notevole importanza, piuttosto che alle questioni di opportunità politico-normativa circa la necessità e/o utilità di tale strumento preventivo in una logica deflattiva.

Con la decisione assunta il 24 ottobre 2012 e depositata (sentenza n. 272) il 6 dicembre successivo la Corte costituzionale ha messo la parola “fine” alla querelle delle ultime settimane, aprendo tuttavia – adesso sì – ad un nuovo dibattito sulla possibile reintroduzione di forme di obbligatorietà della mediazione focalizzato nel ricercare ed adottare strumenti condivisi utili a rendere più efficace l’accesso alla giurisdizione.

La previsione cioè di sistemi diversi che anche attraverso meccanismi incentivanti o sanzionatori, di indirizzo o prescrittivi, siano in grado di offrire percorsi rapidi, accessibili ed economici per la soluzione negoziale delle controversie.

L’ampia pronuncia della Consulta, che ricostruisce analiticamente tutte le numerose ordinanze di rimessione delle varie questioni di legittimità (dalla prima e più famosa ed articolata del Tar Lazio a quelle dei diversi Tribunali ordinari e dei Giudici di pace), si incentra e si esaurisce nell’esame di una questione che diviene immediatamente assorbente.

L’articolata disamina circa la possibilità di ricondurre la previsione dell’obbligatorietà di cui all’art. 5, comma 1, Dlgs 28/2010 ai princìpi e criteri direttivi di cui all’art. 60 legge 69/2009, anche attraverso una ricostruzione del percorso comunitario che parte dalla Direttiva 52/UE, conduce la Corte alla declaratoria di incostituzionalità proprio sotto il profilo dell’eccesso di delega. La conclusione è inevitabile nell’iter argomentativo della Consulta e quindi all’operatore non resta che prendere atto che il Governo nell’emanare il Dlgs 28/2010 in relazione alla condizione di procedibilità ha esorbitato dalle attribuzioni che allo stesso erano state conferite dal Parlamento.

Per cui con la sentenza n. 272/2012 la Consulta dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 5, comma 1, del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28 ed altresì in via consequenziale, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, anche l’incostituzionalità (derivata) di una serie di norme.

Tra le norme che cadono sotto la scure della Corte per illegittimità derivata (che peraltro non trova una specifica motivazione nel corpo della decisione) si deve rimarcare:

- la incostituzionalità dell’art. 8, comma 5, Dlgs 28/2010 che si ricorderà era composto di due norme. La prima in base alla quale «Dalla mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento di mediazione il giudice può desumere argomenti di prova nel successivo giudizio ai sensi dell'articolo 116, secondo comma, del codice di procedura civile». Al riguardo si deve rilevare come la dottrina aveva ritenuto di poter ritenere la stessa applicabile a tutti i procedimenti di mediazione e non soltanto quelli derivanti dalla condizione di procedibilità ex lege. Appare evidente che la Consulta assume sulla questione una diversa posizione dichiarandone l’incostituzionalità. Con riferimento invece alla seconda norma contenuta nel comma 5 dell’art. 8, Dlgs 28/2010, secondo la quale «Il giudice condanna la parte costituita che, nei casi previsti dall'articolo 5, non ha partecipato al procedimento senza giustificato motivo, al versamento all'entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio» (norma introdotta dall'art. 2, comma 35-sexies, D.L. 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla L. 14 settembre 2011, n. 148), il generico richiamo all’art. 5 Dlgs 28/2010 conduce alla decisione di illegittimità pur dovendo rilevare come la mancata specificazione del comma 1 non consentiva di ricondurre tale previsione alla sola obbligatorietà legale, ma altresì anche alle altre modalità di accesso alla mediazione quali quelle previste dal comma 2 (mediazione su invito del giudice) e dal comma 5 (mediazione ex contractu) del medesimo art. 8 Dlgs 28/2010;

- cade l’ultimo periodo del comma 1 dell’art. 11 in conseguenza della demolizione dell’art. 13 Dlgs 28/2010. Anche in questo caso la Corte collega strettamente (ma il dato è meramente interpretativo e non testuale) queste norme all’art. 5, comma 1, Dlgs 28/2010, stabilendo un nesso di interdipendenza necessaria tra la mediazione obbligatoria, la proposta del mediatore e le conseguenze sanzionatorie derivanti dalla mancata accettazione della stessa secondo i parametri ivi fissati.

E proprio questa declaratoria di illegittimità derivate costituisce il vero dato nuovo ed inatteso della pronuncia, sulla quale non possono non palesarsi seri dubbi (ci si riferisce chiaramente all’art. 8, comma 5, ed all’art. 13 Dlgs 28/2010) e sulla quale gli interpreti dovranno approfonditamente confrontarsi.

La pronuncia riapre dunque il confronto che dovrà riuscire a muoversi nel solco di un dialogo costruttivo, individuando i comuni obiettivi che possono ricondursi all’esigenza di un riequilibrio fisiologico del rapporto tra domanda ed offerta di giustizia, aprendo a nuove forme di soluzione delle controversie negoziali e non, senza mai prescindere dal riaffermare il diritto alla giurisdizione, nella consapevolezza che la stessa è una risorsa limitata (come ha anche ribadito di recente il Primo Presidente della Corte di Cassazione Ernesto Lupo) e occorre renderla sostenibile, perché possa essere non solo dichiarata come accade troppo frequentemente a causa delle croniche e profonde inefficienze dell’attuale sistema giudiziario.

Di Marco Marinaro

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