Visualizzazione post con etichetta conseguenze mancata accettazione proposta. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta conseguenze mancata accettazione proposta. Mostra tutti i post

venerdì 28 dicembre 2012

Niente “penalità” per chi non partecipa (di Marco Marinaro)


Fonte: Il Sole 24 ore (Link)

24 dicembre 2012

___________________________________

La sentenza 272 del 2012 con cui la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità della mediazione obbligatoria sotto il profilo dell'eccesso di delega legislativa porta con sé uno strascico di incostituzionalità "consequenziali" o "derivate". Infatti, la Consulta, oltre ad avere dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 5, comma 1, del decreto legislativo 28 del 2010, ha deciso, «in via consequenziale», come si legge nella sentenza, anche l'incostituzionalità di alcune norme dello stesso decreto legislativo.

In particolare, sono oggetto di censura non solo norme direttamente connesse all'articolo 5, comma 1, che ha previsto la mediazione obbligatoria, ma anche disposizioni che vengono fatte cadere in via derivata, anche se non sono oggetto di specifica impugnazione.

Più nel dettaglio, è il caso, in primo luogo, dell'articolo 8, comma 5, del decreto legislativo 28/2010, composto di due norme diverse. Il primo periodo, infatti, precisa che «dalla mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento di mediazione il giudice può desumere argomenti di prova nel successivo giudizio ai sensi dell'articolo 116, secondo comma, del Codice di procedura civile». Si tratta di una disposizione che la dottrina aveva ritenuto di poter applicare a tutti i procedimenti di mediazione e non solo a quelli imposti come condizione di procedibilità per legge. 

La Consulta ha però assunto una posizione diversa, dichiarando l'incostituzionalità della norma. L'articolo 8, comma 5, del decreto legislativo 28/2010, al secondo periodo, dispone poi che «il giudice condanna la parte costituita che, nei casi previsti dall'articolo 5, non ha partecipato al procedimento senza giustificato motivo, al versamento all'entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio». In questo caso, il riferimento, fatto dalla norma, all'articolo 5 del decreto legislativo 28/2010 ha portato la Consulta a decidere l'illegittimità. Questo anche se, dato che non rimanda al comma 1 dell'articolo 5, la disposizione non rimandava solo all'obbligatorietà legale, ma anche alle altre modalità di accesso alla mediazione previste dall'articolo 5: su invito del giudice (comma 2) e per contratto (comma 5).

Tra le incostituzionalità derivate dichiarate dalla Consulta ci sono poi anche l'articolo 11, comma 1, ultimo periodo (che prevede che il mediatore informi le parti sul contenuto dell'articolo 13), e l'articolo 13 (che disciplina la ripartizione delle spese processuali in caso di mancata accettazione della proposta di mediazione) del decreto legislativo 28/2010. In particolare, l'articolo 13 esclude, quando il provvedimento che definisce il giudizio corrisponde interamente al contenuto della proposta di mediazione, la ripetizione delle spese sostenute dalla parte vincitrice che ha rifiutato la proposta, riferibili al periodo successivo alla sua formulazione; anzi: prevede che la parte vincitrice sia condannata al rimborso delle spese sostenute dalla parte soccombente relative allo stesso periodo e al versamento allo Stato di un'altra somma pari al contributo unificato. 

La Corte costituzionale ha dunque collegato strettamente queste norme all'articolo 5, comma 1, del decreto legislativo 28/ 2010 – in via interpretativa: nel testo delle disposizioni non ci sono richiami espliciti –, stabilendo un nesso tra la mediazione obbligatoria, la proposta del mediatore e le conseguenze sanzionatorie derivanti dalla mancata accettazione della stessa secondo i parametri fissati.

giovedì 6 dicembre 2012

Il commento di Marco Marinaro alla sentenza della Consulta


Da Il Sole 24 ore – 6 dicembre 2012 (link)

La pubblicazione di un laconico comunicato stampa all’esito dell’udienza del 23 ottobre con il quale si preannunciava una declaratoria di illegittimità costituzionale della mediazione obbligatoria sotto il profilo dell’eccesso di delega aveva aperto a reazioni di segno opposto ed a ulteriori contrasti tra coloro che ritenevano lo strumento dell’obbligatorietà un male necessario e chi invece ne avversava la sua esistenza quale limite eccessivo all’accesso alla giurisdizione.

Ma già il comunicato, pur nella sua essenzialità, aveva lasciato ben intendere che la decisione era circoscritta ad un tema estremamente legato alla tecnica legislativa se pure di notevole importanza, piuttosto che alle questioni di opportunità politico-normativa circa la necessità e/o utilità di tale strumento preventivo in una logica deflattiva.

Con la decisione assunta il 24 ottobre 2012 e depositata (sentenza n. 272) il 6 dicembre successivo la Corte costituzionale ha messo la parola “fine” alla querelle delle ultime settimane, aprendo tuttavia – adesso sì – ad un nuovo dibattito sulla possibile reintroduzione di forme di obbligatorietà della mediazione focalizzato nel ricercare ed adottare strumenti condivisi utili a rendere più efficace l’accesso alla giurisdizione.

La previsione cioè di sistemi diversi che anche attraverso meccanismi incentivanti o sanzionatori, di indirizzo o prescrittivi, siano in grado di offrire percorsi rapidi, accessibili ed economici per la soluzione negoziale delle controversie.

L’ampia pronuncia della Consulta, che ricostruisce analiticamente tutte le numerose ordinanze di rimessione delle varie questioni di legittimità (dalla prima e più famosa ed articolata del Tar Lazio a quelle dei diversi Tribunali ordinari e dei Giudici di pace), si incentra e si esaurisce nell’esame di una questione che diviene immediatamente assorbente.

L’articolata disamina circa la possibilità di ricondurre la previsione dell’obbligatorietà di cui all’art. 5, comma 1, Dlgs 28/2010 ai princìpi e criteri direttivi di cui all’art. 60 legge 69/2009, anche attraverso una ricostruzione del percorso comunitario che parte dalla Direttiva 52/UE, conduce la Corte alla declaratoria di incostituzionalità proprio sotto il profilo dell’eccesso di delega. La conclusione è inevitabile nell’iter argomentativo della Consulta e quindi all’operatore non resta che prendere atto che il Governo nell’emanare il Dlgs 28/2010 in relazione alla condizione di procedibilità ha esorbitato dalle attribuzioni che allo stesso erano state conferite dal Parlamento.

Per cui con la sentenza n. 272/2012 la Consulta dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 5, comma 1, del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28 ed altresì in via consequenziale, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, anche l’incostituzionalità (derivata) di una serie di norme.

Tra le norme che cadono sotto la scure della Corte per illegittimità derivata (che peraltro non trova una specifica motivazione nel corpo della decisione) si deve rimarcare:

- la incostituzionalità dell’art. 8, comma 5, Dlgs 28/2010 che si ricorderà era composto di due norme. La prima in base alla quale «Dalla mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento di mediazione il giudice può desumere argomenti di prova nel successivo giudizio ai sensi dell'articolo 116, secondo comma, del codice di procedura civile». Al riguardo si deve rilevare come la dottrina aveva ritenuto di poter ritenere la stessa applicabile a tutti i procedimenti di mediazione e non soltanto quelli derivanti dalla condizione di procedibilità ex lege. Appare evidente che la Consulta assume sulla questione una diversa posizione dichiarandone l’incostituzionalità. Con riferimento invece alla seconda norma contenuta nel comma 5 dell’art. 8, Dlgs 28/2010, secondo la quale «Il giudice condanna la parte costituita che, nei casi previsti dall'articolo 5, non ha partecipato al procedimento senza giustificato motivo, al versamento all'entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio» (norma introdotta dall'art. 2, comma 35-sexies, D.L. 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla L. 14 settembre 2011, n. 148), il generico richiamo all’art. 5 Dlgs 28/2010 conduce alla decisione di illegittimità pur dovendo rilevare come la mancata specificazione del comma 1 non consentiva di ricondurre tale previsione alla sola obbligatorietà legale, ma altresì anche alle altre modalità di accesso alla mediazione quali quelle previste dal comma 2 (mediazione su invito del giudice) e dal comma 5 (mediazione ex contractu) del medesimo art. 8 Dlgs 28/2010;

- cade l’ultimo periodo del comma 1 dell’art. 11 in conseguenza della demolizione dell’art. 13 Dlgs 28/2010. Anche in questo caso la Corte collega strettamente (ma il dato è meramente interpretativo e non testuale) queste norme all’art. 5, comma 1, Dlgs 28/2010, stabilendo un nesso di interdipendenza necessaria tra la mediazione obbligatoria, la proposta del mediatore e le conseguenze sanzionatorie derivanti dalla mancata accettazione della stessa secondo i parametri ivi fissati.

E proprio questa declaratoria di illegittimità derivate costituisce il vero dato nuovo ed inatteso della pronuncia, sulla quale non possono non palesarsi seri dubbi (ci si riferisce chiaramente all’art. 8, comma 5, ed all’art. 13 Dlgs 28/2010) e sulla quale gli interpreti dovranno approfonditamente confrontarsi.

La pronuncia riapre dunque il confronto che dovrà riuscire a muoversi nel solco di un dialogo costruttivo, individuando i comuni obiettivi che possono ricondursi all’esigenza di un riequilibrio fisiologico del rapporto tra domanda ed offerta di giustizia, aprendo a nuove forme di soluzione delle controversie negoziali e non, senza mai prescindere dal riaffermare il diritto alla giurisdizione, nella consapevolezza che la stessa è una risorsa limitata (come ha anche ribadito di recente il Primo Presidente della Corte di Cassazione Ernesto Lupo) e occorre renderla sostenibile, perché possa essere non solo dichiarata come accade troppo frequentemente a causa delle croniche e profonde inefficienze dell’attuale sistema giudiziario.

Di Marco Marinaro

Da Blog conciliazione - Uscito il testo della sentenza sulla mediazione


Estratto dal post pubblicato su Blog conciliazione - 6 dicembre 2012 (link).

Un primo commento. E’ confermato l’eccesso di delega. Quindi si tratta di un difetto “sanabile”. La domanda è: vale la pena porvi rimedio? E in che modo? E chi mai potrà farlo, vista la situazione politica?

Ma ci sono altre vittime non del tutto prevedibili: l’art.8, comma 5 (che peraltro era norma non connessa alla sola obbligatorietà) e l’art.13, sulle spese processuali (e lì si capisce di più).

Così su due piedi, senza l’art.8 comma 5, la mediazione ridiventa totalmente volontaria. Non è detto che sia un male ma è un ritorno alle origini (per chi ha vissuto i tempi pionieristici della mediazione).”

Link ai cambiamenti apportati al d.lgs. 28/2010 (dal sito della Camera arbitrale di Milano) in seguito alla sentenza della Corte Costituzionale.

venerdì 6 luglio 2012

Invio delle parti dal mediatore, ma con una precisazione


Condivido nel mio blog una notizia che ritengo molto interessante, ripresa dal blog Lex Formazione, riguardo un’ordinanza del Tribunale di Vasto con la quale il giudice ha inviato le parti al tavolo della mediazione, così come previsto dall’art. 5, secondo comma, del D. L.gs. 4 marzo 2010, n. 28.

La particolarità dell’ordinanza è che il giudice ha precisato che le parti dovranno rivolgersi ad enti “il cui regolamento non contenga clausole limitative del potere, riconosciuto al mediatore dall’art. 11, secondo comma, del D. Lgs. n. 28/10, di formulare una proposta di conciliazione quando l’accordo amichevole tra le parti non è raggiunto, in particolare restringendo detta facoltà del mediatore al solo caso in cui tutte le parti gliene facciano concorde richiesta”.

L’ipotesi di cui parla il giudice di Vasto mi sembra una sorta di compromesso tra la proposta così come prospettata dalla precedente normativa (d.lgs. 5/2003 e successive modifiche – proposta del mediatore solo se richiesta dalle parti) e la formulazione della prima bozza di quello che sarebbe diventato il decreto 28 (la controversia si doveva concludere o con l’accordo tra le parti o con una proposta del mediatore).

Se penso all’impostazione data dal nostro Legislatore (mediazione facilitativa che può evolvere verso forme valutative, così come riportato anche nella relazione illustrativa del D. Lgs. 28/2010), credo abbia senso l'impostazione del giudice di Vasto (seppure ritengo la proposta fatta autonomamente dal mediatore una “forzatura” rispetto alla volontà ed all’autonomia negoziale delle parti).

Tuttavia, è curioso ed interessante che, a fronte di un numero ancora basso di mediazioni delegate (il 2% circa rispetto al numero totale), il giudice in questione non solo invita le parti ad andare in mediazione ma addirittura presso organismi che prevedono la proposta autonoma del mediatore. In pratica, è come se avesse detto alle parti: "Non vi fate più vedere!".

Seriamente, credo che sia una notizia destinata ad aprire un dibattito. E chissà che non serva finalmente a discutere di un argomento ancora poco trattato (anche nei testi di molti autori italiani), ossia l’attività di “valutazione” del mediatore... 

mercoledì 27 giugno 2012

Punito tre volte chi non concilia


Segue il post di ieri; tratto dal blog di Luca Tantalo.

Di Redazione MondoADR

Chi rifiuta l’accordo non ha diritto al processo breve, nè all’indennizzo per il processo lungo. È questa una delle novità del decreto legge 83/2012, in pubblicazione oggi sulla Gazzetta Ufficiale, che introduce misure urgenti per la crescita. Tra queste, le modifiche alla legge Pinto. L’articolo 54 del decreto sulla crescita modifica l’articolo 2 della legge Pinto (n. 89/2001) e aggiunge il comma 2-quinquies, in cui si elencano i casi in cui non è riconosciuto l’indennizzo, anche se il processo è durato per un tempo irragionevole.

Tra queste ipotesi spicca il caso di cui all’articolo 13, primo comma, primo periodo, del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28 (provvedimento sulla conciliazione). Ai sensi dell’articolo 13 citato, quando il provvedimento che definisce il giudizio (celebrato a seguito del fallimento della mediazione) corrisponde interamente al contenuto della proposta, il giudice esclude la ripetizione delle spese sostenute dalla parte vincitrice che ha rifiutato la proposta, riferibili al periodo successivo alla formulazione della stessa, e la condanna al rimborso delle spese sostenute dalla parte soccombente relative allo stesso periodo, nonché al versamento all’entrata del bilancio dello stato di un’ulteriore somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto. Quindi chi vince paga le spese, se la sentenza che gli dà ragione è esattamente corrispondente alla proposta di mediazione rifiutata dall’interessato.

Ora non solo chi vince deve pagare le spese del processo (per sé e per chi ha perso la causa), non solo deve pagare allo stato una sanzione pari al contributo unificato: oltre a tutto ciò perde il diritto all’indennizzo se il processo è durato oltre il termine ragionevole (sei anni per tutti e tre i gradi di giudizio). L’indennizzo, invece, spetta nel caso in cui il provvedimento che definisce il giudizio non corrisponde interamente al contenuto della proposta (articolo 13, comma 2, del dlgs 28/2010): in questo caso il giudice, se ricorrono gravi ed eccezionali ragioni, può escludere la ripetizione delle spese sostenute dalla parte vincitrice per l’indennità corrisposta al mediatore e altre spese affrontate durante la mediazione.

La novità sulla esclusione dell’equo indennizzo vuole incentivare il più possibile la mediazione e si colloca sulla scia di altre disposizioni del medesimo tenore. Si consideri, a questo proposito, l’articolo 8 del dlgs 28/2010. Questo articolo punisce chi non partecipa alla mediazione: innanzi tutto dalla mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento di mediazione il giudice può desumere argomenti di prova nel successivo giudizio (una sorta di ammissione di colpa); ma soprattutto il giudice deve condannare la parte costituita che, nei casi di mediazione obbligatoria, non ha partecipato al procedimento senza giustificato motivo, al versamento all’entrata del bilancio dello stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio. 

Potrebbe verificarsi anche il caso di chi non partecipa alla mediazione e rifiuta la proposta di mediazione (che comunque l’altra parte ha chiesto che venisse formulata, sempre se previsto dal regolamento dell’organismo di mediazione). Se così fosse, si rischia di pagare tre volte il contributo unificato.